A distanza di due anni dal varo della legge n. 6/2004 l’associazione Persona e danno e Diritti in movimento avvertirono la necessità di mettere a punto un progetto abrogativo dell’interdizione e dell’inabilitazione (quest’ultima, invero, già di fatto abbandonata nella pratica).
La necessità di dare un taglio netto alle misure custodialiste si imponeva, ormai, per più di una ragione.
Da una parte, il primo periodo di applicazione della legge 6/2004 aveva mostrato che una parte (sia pur minoritaria) dei giudici continuava a ricorrere all’interdizione, per quanto spesso del tutto a sproposito.
Per quanto in parte alleggerita, poi, l’interdizione conservava integri i propri connotati tradizionali:
- la messa fuori gioco totale della persona, impedita nell’esercizio di diritti fondamentali, quali il matrimonio, il testamento, la donazione, etc.
- lo schiacciamento della dignità della persona
- la mancanza di valore terapeutico e di progettualità
- il perseguimento dei soli interessi patrimoniali di terzi
- la sostanziale irrevocabilità della misura
- il conseguente aperto contrasto con i principi dettati dalla Convenzione internazionale sui diritti dei disabili
- la mancanza di garanzie sul piano procedimentale.