Amministrazione di sostegno  -  Federico Basso  -  02/10/2023

Mandato, rappresentanza e amministrazione di sostegno: problemi irrisolti e nuove prospettive interpretative

  1. Introduzione

I rapporti tra rappresentanza e amministrazione di sostegno costituiscono uno dei problemi e dei profili più delicati dell’intera disciplina dell’amministrazione di sostegno.

Invero, come noto, sono assai frequenti le situazioni nelle quali un soggetto, magari anziano, abbia conferito un mandato o una procura generale ad una persona di fiducia, affinché costei possa curare i suoi interessi e compiere gli atti che il primo non è più in grado di porre in essere da sé.

I maggiori problemi, tuttavia, sorgono allorquando all’interessato venga successivamente nominato un amministratore di sostegno: da qui la necessità di comprendere quale sia la sorte del mandato e/o della procura precedentemente conferita e, dunque, in ultima istanza, quali siano i rapporti tra gli istituti in esame.

Ebbene, tale questione, seppur caratterizzata da un’indubbia rilevanza pratica, risulta assai poco indagata sia in dottrina sia in giurisprudenza, nell’ambito delle quali, peraltro, gli interpreti paiono spesso sovrapporre tra loro aspetti problematici che, in realtà, andrebbero opportunamente distinti al fine di giungere a soluzioni maggiormente chiare ed organiche.

Alla luce di tali considerazioni pare, quindi, necessario, fin dal principio, individuare le principali problematiche in materia e successivamente procedere alla loro trattazione separata, onde fornire al lettore un quadro preciso e, quanto più possibile, schematico.

Orbene, gli aspetti problematici in materia si snodano lungo due direttrici: da un lato, occorre comprendere se sia possibile sottoporre ad amministrazione di sostegno un soggetto che già gode di un’adeguata protezione dei suoi interessi personali e patrimoniali, grazie, come spesso avviene, al contributo di familiari e/o parenti ovvero di persone cui l’interessato abbia già conferito mandato o procura generale. Dall’altro, occorre capire se, sul piano astratto, la nomina dell’amministratore di sostegno comporti la necessaria revoca delle procure e/o dei mandati già conferiti e se essa, pro futuro, impedisca al beneficiario di nominare altri soggetti quali mandatari e/o procuratori per il compimento di ulteriori e specifici affari.

L’indagine del presente contributo si articolerà, pertanto, nell’analisi distinta delle predette problematiche, onde ricercare una soluzione che sia il più possibile coerente col sistema e con lo spirito della legge introduttiva dell’amministrazione di sostegno, senza, tuttavia, tralasciare qualche breve cenno introduttivo sugli istituti in esame.

 

Come noto, l’amministrazione di sostegno è stata introdotta nel nostro codice civile dalla legge n. 6/2004, al fine di predisporre uno strumento di tutela più duttile e meno invasivo rispetto all’interdizione e all’inabilitazione, ma parimenti efficace nella protezione dei soggetti non più in grado di provvedere personalmente ai propri interessi.

Invero, il principio cardine dell’intero impianto normativo è quello della massima conservazione della capacità di agire del beneficiario, principio in virtù del quale la capacità del medesimo potrà essere limitata dal giudice solo per quanto necessario alla tutela della sua persona. In altri termini, la persona soggetta ad amministrazione di sostegno mantiene intatta la propria capacità di agire, salve le espresse limitazioni contenute nel decreto di nomina; tale principio, dunque, svolge un ruolo chiave per la comprensione dell’intero istituto e costituisce, per così dire, la “stella polare” che deve guidare l’interprete nella risoluzione dei vari problemi applicativi che si possono porre alla sua attenzione.

Invero, proprio mediante l’applicazione di tali coordinate ermeneutiche sono stati risolte le principali questioni applicative relative all’istituto in esame, le quali hanno riguardato, essenzialmente, il dubbio circa la possibilità o meno per l’amministrato di compiere gli atti personalissimi non espressamente riservati alle competenze dell’amministratore di sostegno per come delineate nel decreto di nomina. Orbene, la dottrina e la giurisprudenza, sulla scorta del predetto principio, hanno affermato che tali atti (donazione, matrimonio, testamento, consenso ai trattamenti sanitari, riconoscimento di un figlio, ecc.), sempreché non espressamente esclusi nel decreto del giudice, non sono preclusi al beneficiario dell’amministrazione, in quanto costui non può dirsi privato totalmente della propria capacità di agire a seguito dell’applicazione della misura, bensì solo limitatamente agli atti attribuiti alla rappresentanza esclusiva dell’amministratore di sostegno. Di conseguenza, il soggetto sottoposto ad amministrazione di sostegno non potrà dirsi “incapace”, e, dunque, la disciplina del suo status non potrà essere ricavata in via analogica dalle disposizioni dettate dal codice per le persone prive, in tutto o in parte, della capacità di agire, se non in quanto espressamente richiamate nella disciplina dell’amministrazione di sostegno ovvero estese dal giudice nel decreto di nomina ex art. 411, c. 4 c.c.

Ora, effettuate tali considerazioni - le quali risulteranno assai utili nel prosieguo della trattazione per risolvere le problematiche precedentemente illustrate - pare opportuno non soffermarsi oltre sulla disciplina dell’istituto, se non relativamente a due norme di elevato interesse ai nostri fini.

In primis, occorre menzionare l’art. 405 c.c., il quale prevede che nel decreto di nomina il giudice deve indicare espressamente: a) quali atti sono preclusi al beneficiario (che, dunque, può compiere solamente l’amministratore di sostegno in nome e per conto del medesimo) e b) quali atti l’amministrato può compiere con l’assistenza dell’amministratore di sostegno.

In secundis, l’art. 411, c. 4, il quale prevede la possibilità per il giudice tutelare, nel provvedimento di nomina o successivamente, di disporre che determinati effetti, limitazioni e decadenze, previsti da disposizioni di legge per l’interdetto o l’inabilitato, si estendano al beneficiario dell’amministrazione di sostegno, avuto riguardo all’interesse del medesimo e a quello tutelato dalle predette disposizioni.

Orbene, ciò premesso in relazione all’amministrazione di sostegno, come detto, la disciplina della medesima presenta profili particolarmente problematici in relazione agli istituti della procura e del mandato, i quali, parimenti, consentono al rappresentato di incaricare altri del compimento di atti giuridici nel proprio interesse; da qui la possibile intersezione e sovrapposizione tra i vari istituti, con la conseguente necessità di indagarne i rapporti e il rispettivo ambito applicativo.

Come risaputo, gli strumenti predisposti dall’ordinamento ai fini della cooperazione nell’altrui attività giuridica sono costituiti dal mandato e dalla procura, i quali possono essere conferiti ad un medesimo soggetto, che, in tal modo, agirà sia in nome, sia per conto del rappresentato; ciò che avviene, in particolare, nei casi di persone, spesso anziane, che, pur ancora capaci di intendere e di volere, ma non più in grado di curare i propri interessi, conferiscono ad altri, mediante lo strumento della rappresentanza generale o speciale, il potere di agire in proprio nome e per proprio conto negli atti di ordinaria e/o straordinaria amministrazione.

Ebbene, proprio in riferimento a tali fattispecie emergono le maggiori problematiche inerenti alle interferenze tra questi istituti, le quali necessitano di soluzioni il più possibile aderenti al sistema normativo e alle finalità sottese alla misura dell’amministrazione di sostegno.

 

  1. L’ applicabilità dell’amministrazione di sostegno in presenza di una preesistente e adeguata “rete protettiva”.

Come accennato, una prima questione che si è posta all’attenzione della dottrina e della giurisprudenza ha riguardato la possibilità per il giudice di applicare la misura dell’amministrazione di sostegno in tutte quelle situazioni in cui la persona bisognosa di assistenza sia già adeguatamente tutelata in altro modo, ad esempio, per il tramite dell’aiuto fornito da familiari o da parenti ovvero da persone cui l’interessato abbia già conferito poteri di rappresentanza.

Le criticità, peraltro, sono ancora maggiori allorquando in tali casi l’amministrando, ancora capace di intendere e di volere, si opponga espressamente all’applicazione della misura.

Ci si domanda, dunque, se in tali ipotesi il giudice possa ugualmente procedere alla nomina dell’amministratore di sostegno ovvero debba rigettare il ricorso, stante l’inutilità e la manifesta sproporzione della misura.

Sul punto, risultano ravvisabili due tesi in dottrina e in giurisprudenza.

Secondo una prima tesi, allo stato maggioritaria (Trib. Vercelli, decreto 16/10/2015; Trib. Modena, 23/12/2008) e accolta anche dalla giurisprudenza di legittimità (Cassazione civile sez. I - 31/12/2020, n. 29981), in tali casi il giudice tutelare non potrebbe procedere alla nomina dell’amministratore di sostegno.

Ciò in quanto l’applicazione della misura comporterebbe un’indebita compressione della libertà di autodeterminazione del beneficiario, nonché un’indebita privazione della sua capacità di agire (in relazione agli atti a lui preclusi), in palese contrasto con la ratio e la finalità dell’istituto, volto a conservare, quanto più possibile, la capacità del soggetto bisognoso di assistenza. In altre parole, sarebbe assurdo e illogico prevedere una compressione della capacità di agire in tutti quei casi in cui la tutela del beneficiario, cui è volta l’amministrazione di sostegno, sia già sufficientemente garantita aliunde. Sarebbe, infatti, in contrasto con lo spirito stesso della legge 6/2004 dire, da un lato, che mediante l’introduzione dell’amministrazione di sostegno si è voluto tutelare soggetti bisognosi di protezione, cercando di conservarne il più possibile la capacità di agire, e, dall’altro, ammetterne una limitazione in tutte quelle fattispecie in cui le medesime finalità siano già soddisfatte per il tramite di altri mezzi (giuridici e non) assai meno invasivi.

Come si è sottolineato in dottrina e in giurisprudenza[1], l’amministrazione di sostegno, infatti, è caratterizzata da un’intrinseca residualità, nel senso che la sua applicazione può ritenersi giustificata solo ove non sussistano nel caso concreto altre soluzioni che consentano un’adeguata protezione nel soggetto debole; e ciò in ragione della stessa finalità dell’istituto, la quale, altrimenti, verrebbe -in tali casi- tradita, consentendo la nomina di un amministratore di sostegno non necessario e, a ben vedere, al di fuori dei presupposti sanciti dall’art. 404. Tale norma, infatti, sancisce espressamente che l’amministratore di sostegno “può”, e non “deve” essere nominato, lasciando così al giudice la valutazione circa la necessarietà o meno dell’applicazione della misura, con riferimento a tutte le peculiarità del caso concreto.

Infine, secondo i sostenitori di tale opinione, occorre evidenziare, altresì, come il codice (art. 407, c. 2 c.c.) preveda, nei casi in cui il beneficiario, pienamente capace di intendere di volere, si opponga alla nomina dell’amministratore, il giudice sia obbligato a tenere conto, compatibilmente con gli interessi e le esigenze di protezione della persona, delle richieste dell’interessato; altrimenti, l’eventuale nomina si porrebbe in violazione del predetto art. 407, comma 2, in quanto il giudice non terrebbe in debito conto la volontà di quest’ultimo, la quale, tra l’altro, risulterebbe comunque compatibile con i suoi interessi e le sue esigenze di tutela, stante l’esistenza di una adeguata “rete di protezione”[2].

Tali conclusioni sono, invece, contestate da altra (minoritaria) corrente di pensiero, la quale, al contrario, ammette la possibilità di nominare un amministratore di sostegno anche in quei casi in cui l’interessato abbia provveduto in altro modo alla propria tutela (come detto, ad es., conferendo una procura generale a persona di propria fiducia) (in tal senso, Trib. Novara 6/08/2016; Trib. Genova, 25/10/2015).

In tali casi, si dice, la predisposizione di un’adeguata rete familiare o sociale che sia in grado di provvedere ai bisogni dell’interessato non assicurerebbe comunque il medesimo standard protettivo dell’amministrazione di sostegno, giacché tali figure opererebbero pur sempre al di fuori di un controllo di tipo giudiziale. Mediante la nomina di un amministratore di sostegno, invece, l’attività svolta dalle predette figure verrebbe, per così dire, “istituzionalizzata”, sottoponendola ad un controllo di tipo giurisdizionale e pubblicistico, certamente più idoneo a garantire le esigenze di tutela del soggetto debole[3].

Tale ultima impostazione, tuttavia, costituisce, come già accennato, un’opinione minoritaria della giurisprudenza di merito, peraltro, quasi del tutto assente nella giurisprudenza di legittimità, la quale, anche in tempi relativamente recenti, si è attestata nel primo senso (cfr. Cassazione civile sez. I - 31/12/2020, n. 29981), ribadendo la correttezza delle argomentazioni e delle conclusioni della dottrina maggioritaria.

  

  1. L’incidenza della nomina dell’amministratore di sostegno sui preesistenti strumenti rappresentativi.

Come già illustrato, un ulteriore aspetto problematico dei rapporti tra amministrazione di sostegno e rappresentanza è costituito dalla sorte delle precedenti procure e/o mandati conferiti dal beneficiario in un momento anteriore alla applicazione della misura. In particolare, ci si chiede se la nomina di un amministratore di sostegno comporti una revoca implicita del potere rappresentativo già conferito ad altri da parte dell’interessato.

Più nello specifico, il problema nasce, poiché gli artt. 1722, n. 4) e 1728 e l’art. 1389, c. 2 c.c., prevedono, rispettivamente, come causa di estinzione del mandato e della procura l’incapacità (originaria o sopravvenuta) del mandante o del rappresentato, senza fare alcuna menzione del beneficiario dell’amministrazione di sostegno. Orbene, le criticità di tale impianto normativo risultano poi acuite in ragione dell’esclusione di una sua eventuale applicazione analogica ai soggetti sottoposti ad amministrazione di sostegno, giacché esse sono rivolte a soggetti legalmente incapaci, tra i quali, come detto, non possono annoverarsi i beneficiari di amministrazione di sostegno (i quali conservano, in via generale, la capacità di agire, seppur limitata). Da qui l’impossibilità di rinvenire un’identità di ratio tale da giustificarne un’applicazione analogica.

Ebbene, come molte volte accade in ambito giuridico, per uscire dall’impasse interpretativo, occorre ragionare sulla scorta dei fondamenti e dei principi generali sottesi agli istituti, dapprima individuandoli e poi applicandoli alle diverse fattispecie ipotizzabili.

Innanzitutto, nessun problema si pone qualora, ai sensi dell’art. 411, c. 4 c.c., con il decreto di nomina, o successivamente, il giudice tutelare, estendendo al beneficiario dell’amministrazione il disposto degli artt. 1722, n. 4), 1728 e 1389, c. 2 c.c., disponga la revoca delle procure e/o dei mandati (generali e/o speciali) già conferiti e sottragga a questi la potestà di conferirne di ulteriori. In tal caso, dunque, le procure e/o i mandati già conferiti si intenderanno revocati, mentre quelli che l’amministrato dovesse conferire in futuro saranno annullabili ai sensi dell’art. 412 c.c., stante l’incapacità del medesimo in relazione a tali atti, secondo quanto previsto nel decreto di nomina.

Maggiori criticità emergono, invece, allorquando il giudice non si avvalga della predetta facoltà. Come detto, al fine di risolvere tale questione applicativa occorre richiamare i principi generali fondanti l’istituto dell’amministrazione di sostegno e, in particolare, il principio di intangibilità della capacità di agire del beneficiario: come visto, in base a tale principio, quest’ultimo conserva la capacità di agire in relazione a tutti quegli atti che il giudice non ha espressamente attribuito alla competenza dell’amministratore di sostegno nel decreto di nomina.

Ebbene, partendo da tale assunto, può, dunque, affermarsi, in prima battuta, come le procure e/o i mandati speciali già conferiti o da conferirsi relativi ad atti che non rientrano nella competenza esclusiva dell’amministratore di sostegno rimangano validi e ben possano essere conferiti dal beneficiario anche in un momento successivo all’applicazione della misura. Invece, le procure e/o i mandati speciali già conferiti o da conferirsi relativi ad atti rientranti nei poteri dell’amministratore di sostegno (in relazione ai quali, pertanto, il beneficiario perde la capacità di agire) dovranno ritenersi, rispettivamente, revocati implicitamente ovvero annullabili ai sensi dell’art. 412 c.c.

Queste sono le conclusioni a cui giungono la dottrina[4] e la giurisprudenza maggioritarie in relazione all’ipotesi di mandato e/o procura speciale.

Maggiori incertezze si ravvisano, invece, con riferimento all’ipotesi di mandato e/o procura generale.

In tal caso, al contrario, la maggioranza degli interpreti[5] ritiene che le procure e i mandati già conferiti debbano sempre ritenersi implicitamente revocati a seguito della nomina di un amministratore di sostegno, senza che, peraltro, il beneficiario possa conferirne altri in futuro.

A sostegno di tale affermazione si richiama la necessità di evitare che, attraverso la perdurante efficacia di procure o mandati generali già conferiti ovvero mediante il conferimento di nuovi strumenti rappresentativi, possa essere eluso il controllo giudiziario sul soggetto che concretamente compie atti in nome e per conto dell’amministrato, controllo estrinsecantesi, essenzialmente, nel rilascio di autorizzazioni, nell’obbligo di presentazione del rendiconto, ecc. Invero, se un ipotetico procuratore generale conservasse il potere di porre in essere liberamente, al di fuori di qualsiasi controllo, atti di ordinaria o di straordinaria amministrazione, la nomina dell’amministratore di sostegno sarebbe, di fatto, inutiliter data[6].

Inoltre, si sottolinea come, qualora ad essere nominato amministratore di sostegno sia il medesimo soggetto cui precedentemente era stata conferita una procura generale (come spesso accade), la sua accettazione a tale ufficio non può che comportare una revoca tacita di tutti i mandati e le procure a lui eventualmente conferiti in precedenza.

Ebbene, ad avviso di chi scrive, tali conclusioni non paiono del tutto corrette.

Nulla quaestio con riferimento agli atti che il giudice abbia espressamente riservato alla competenza dell’amministratore di sostegno nel decreto di nomina, giacché in relazione a questi il soggetto amministrato perde la capacità di agire e, dunque, anche quella di conferire ad altri il potere per il loro compimento. In tal caso, pertanto, nessun dubbio sussisterà circa la revoca implicita di eventuali precedenti procure e/o mandati, così come la loro annullabilità, qualora dovessero essere conferiti a seguito dell’applicazione della misura.

Con riguardo, invece, agli atti non espressamente riservati alla competenza dell’amministratore di sostegno, se, come detto, il beneficiario conserva la capacità di compierli, in ragione del generale principio di capacità dell’amministrato, non si vede per quale motivo le procure e/o i mandati precedenti aventi ad oggetto il compimento dei predetti atti debbano ritenersi implicitamente revocati e perché a questi sia preclusa la facoltà di conferirne di successivi. In altri termini, seguendo questo ragionamento, la procura e/o il mandato generale precedentemente conferito/i non dovrebbe ritenersi implicitamente revocato in toto, bensì solo in relazione a quegli atti attribuiti espressamente alla competenza esclusiva dell’amministratore di sostegno; il procuratore generale, dunque, non si vedrebbe privato della procura, ma solamente limitato nei suoi poteri, i quali saranno ricavabili, a contrario, dal decreto di nomina[7].

Parimenti, non dovrebbe ritenersi totalmente preclusa all’amministrato la possibilità di conferire in futuro eventuali procure e/o mandati generali ad altri soggetti, ma, più correttamente, i poteri conferiti mediante tali negozi dovrebbero ritenersi implicitamente limitati a quegli atti che il primo conserva la capacità di compiere, con esclusione, pertanto, degli atti espressamente attribuiti alla competenza dell’amministratore di sostegno[8].

Orbene, a sostegno di tali affermazioni, oltre al summenzionato principio di intangibilità della capacità giuridica del soggetto amministrato, possono richiamarsi, altresì, due ulteriori considerazioni.

In primo luogo, come risaputo, l’amministrazione di sostegno può essere disposta anche nei confronti di soggetti pienamente capaci di intendere e di volere, allorquando per una qualsiasi altra causa (ad es. una menomazione fisica) non siano in grado di provvedere autonomamente ai propri interessi. E’ logico come, in tali casi, le limitazioni alla capacità di agire disposte dal giudice saranno minime, se non inesistenti, con la conseguenza per cui pare ingiusto e sproporzionato precludere a tali soggetti la possibilità di nominare procuratori e/o mandatari generali per il compimento di atti non riservati alla rappresentanza esclusiva o concorrente dell’amministratore di sostegno.

In secondo luogo, specialmente nelle ipotesi in cui l’amministrato conservi un’ampia capacità di agire, la temuta elusione del controllo giudiziale, nonché la conseguente sostanziale inutilità della nomina dell’amministratore prefigurati dall’opinione maggioritaria ben potrebbero essere raggiunti, nei fatti, conferendo, antecedentemente o posteriormente alla nomina, una pluralità di procure e/o di mandati speciali ad un unico soggetto. Come detto, infatti, secondo l’opinione maggioritaria, i predetti mandati e/o procure dovrebbero ritenersi in ogni caso validi ed efficaci, stante la perdurante capacità di agire del beneficiario. Tuttavia, ad accogliere tale impostazione, si verificherebbe ugualmente, seppur in via indiretta, la temuta elusione del controllo giudiziale che i sostenitori di tale opinione intendono evitare attraverso la ritenuta inefficacia sopravvenuta dei mandati e/o delle procure generali già conferiti ovvero attraverso la preclusione del loro successivo conferimento.  

Risultano evidenti, pertanto, le contraddizioni insite nel ragionamento dei sostenitori di tale impostazione, i quali, nel ritenere ammissibili i mandati e le procure speciali già conferiti o da conferirsi, in tal modo, aprono le porte ai rischi di elusione dei controlli giudiziali che essi vorrebbero, invece, evitare attraverso la ritenuta inefficacia o l’inammissibilità, rispettivamente, dei mandati e/o delle procure generali già conferite o da conferirsi in futuro.

Da qui la necessità di una rimeditazione di tali conclusioni, seppur accolte attualmente dalla maggioranza degli interpreti.

[1] Così R. MASONI, Amministrazione di sostegno, consenso dell'interessato e rete protettiva tutelante, nota a Cassazione civile, 31 dicembre 2020, n.29981, sez. I, in IUS Famiglie, 24 febbraio 2021. «La misura protettiva sarebbe applicabile nei limiti della stretta necessità, dal momento che la stessa determina, quale primario effetto giuridico, la limitazione, seppur parziale, della capacità di agire della persona; una limitazione giustificabile unicamente nei casi previsti dalla legge.

Pertanto, in presenza di rete protettiva tutelante (familiare amicale e/o istituzionale), la protezione istituzionale ex art. 405 c.c. non andrebbe attivata.

Autorevole dottrina si è espressa per la linea di “non intervento”, richiamando il requisito normativamente inespresso della sussidiarietà (o, altrimenti detta, della c.d. sussidiarietà rimediale), ovvero, anche detto della “non necessità” di intervento protettivo; l'art. 404 c.c. dispone infatti che la persona “priva in tutto o in parte di autonomia può - non “deve” - essere assistita dall'a.d.s.”.

Scrive Cendon: «qualora la rete familiare fosse hic et nunc ben tesa, all'erta, senza smagliature, con tutti gli allarmi accesi, attiva ventiquattrore al giorno, e qualora non vi fosse d'altronde il pericolo dell'innescarsi di conflitti significativi e di ribellioni imbarazzanti tra il disabile ed il suoi congiunti, orbene, la linea del “non facciamo niente”, il diritto lasciamolo da parte, andiamo avanti come prima del code Napoleon, potrebbe ancora aver il suo senso».

Laddove sia in concreto ravvisabile una rete protettiva, familiare, amicale e/o istituzionale, in grado di surrogare, aiutare ed assistere e/o sostituire la persona affetta da disabilità nell'espletamento delle funzioni della vita quotidiana, perché dovrebbe essere attivata la misura di protezione, legittimando l'intervento tribunalizio d'autorità?

In tal caso, difetterebbe il presupposto codicistico costituito dall'incapacità gestionale della persona, presupposto da porre in correlazione inferenziale con quello della disabilità psichica/fisica acclarata. Quindi la misura non andrebbe disposta, dovendo la persona mantenere piena capacità d'agire.

Una diversa impostazione, come si è autorevolmente osservato (Bonilini), finirebbe per comportare “una inammissibile rinunzia alla propria capacità di agire o a parte della medesima”, in presenza di ricorso avanzato dallo stesso beneficiario.

In situazioni consimili, l'intervento delle istituzioni, come pure quello di parenti, familiari, amici o conoscenti, i quali, a motivo di solidarietà sociale o per dovere istituzionale, gestiscono gli “affari altrui” che sono identificabili negli interessi (personali e/o patrimoniali) del disabile (artt. 2028-2031 c.c.), in forza dei principi resta esclusa l'attivazione della protezione istituzionale.

Il disabile non si trova in condizioni di abbandono civilistico e neppure è impossibilitato alla gestione dei propri interessi, sicché risulterebbe, per converso, ingiustificato l'intervento dell'amministratore di sostegno.

D'altro canto, l'intervento giurisdizionale a tutela della persona fragile appare doveroso unicamente quale extrema ratio e nella misura della stretta necessità; quando difettino ulteriori strumenti di protezione civilistici, meno invasivi e maggiormente performanti, quali l'ausilio e l'intervento delle istituzioni, di terzi o di familiari, come pure il provvidenziale conferimento a terzi di una procura sostanziale ad operare nell'interesse altrui (art. 1392 c.c.).

In conclusione, la nomofilachia, con una prima pronunzia del 2017 (Cass. 27 settembre 2017, n. 22602), ha condiviso ed affermato il principio enucleato in dottrina ed applicato dalla giurisprudenza dei giudici tutelari, del “non intervento” autoritativo e protettivo in presenza di rete protettiva attiva e tutelante: «l'amministrazione di sostegno non può essere istituita nei confronti di chi, pienamente lucido, vi si opponga, sempre che il giudice accerti che i suoi interessi siano comunque tutelati, sia in via di fatto dai familiari che per il sistema di deleghe attivato autonomamente dall'interessato. […]

In conclusione, pur a fronte di non infondati entusiasmi che hanno accompagnato l'introduzione della nuova misura di protezione introdotta nel 2004 - meno invasiva, più moderna e personalizzata con riguardo alle esigenze del beneficiario rispetto alla rigidità di interdizione ed inabilitazione- non va dimenticato che essa induce, comunque, una limitazione della capacità di agire, che ultima rappresenta un diritto fondamentale della persona.

Cosicché la nomina di sostegno si giustifica nella misura dello stretto indispensabile, come oltre trent'anni or sono insegnava Bianca (“la limitazione della capacità di agire può essere costituzionalmente legittima solo se giustificata da un'effettiva e preminente esigenza di tutela della persona e nei limiti di questa esigenza”).»

In tal senso anche S. SANFILIPPO, Per una rinnovata lettura assiologica dell'amministrazione di sostegno: l'anzianità e la mera cura patrimonii non sono indici rivelatori della necessità di attivazione del sostegno, nota a Cassazione civile, 31 dicembre 2020, n.29981, sez. I, in Diritto di Famiglia e delle Persone (II), fasc.3, 2021, pag. 1048. «Proprio nella consapevolezza che le condizioni della persona talvolta non richiedono la predisposizione degli strumenti di tutela di cui al libro I del Codice civile, la Corte di cassazione nella sentenza in oggetto ricorda che è sempre possibile prevedere strumenti fiduciari di gestione degli interessi altrui. Infatti, la persona che sia adeguatamente gestita da una rete familiare e amicale ben coordinata, che provvede a soddisfare esaurientemente le esigenze di assistenza, non necessita di alcuna forma di tutela ulteriore ablativa della sua capacità di agire.

Non vi è dubbio, quindi, che la persona che sia perfettamente in grado di autodeterminarsi, anche se impedita fisicamente, come nel caso di specie, possa avvalersi di un rappresentante (speciale o generale che sia), di propria elezione e fiducia, nel compimento in suo nome e per suo conto degli atti giuridici necessari alla cura del suo patrimonio. Non si vede pertanto il motivo per cui tali soggetti, sol perché affetti dalle normali patologie connesse all'avanzare dell'età, debbano necessariamente essere assistiti da un amministratore di sostegno, laddove, invece, siano compiutamente in grado di esercitare i loro diritti, anche avvalendosi di un aiuto da parte di terzi, che potrebbe rivestire qualsiasi forma ammessa dal nostro ordinamento. […]

Pertanto, la peculiarità della pronuncia sta in questo: se si vuole riconoscere all'amministrazione di sostegno la primaria finalità di cura della persona, significa negare ogni forma di tutela quando la cura della persona richiede la non compressione della sua sfera giuridica. Nell'ambito dei valori e della solidarietà e della sussidiarietà cui si ispira il nostro sistema ordinamentale è doveroso fornire alla persona un aiuto proporzionale ai suoi bisogni. Oppure negarglielo se mediante questo aiuto viene ostacolata nella sua vita di relazione o non possa realizzare la sua personalità o non possa sentirsi vivo o utile socialmente.»

[2] Così, R. MASONI, Amministrazione di sostegno, consenso dell'interessato e rete protettiva tutelante, nota a Cassazione civile, 31 dicembre 2020, n.29981, sez. I, in IUS Famiglie, 24 febbraio 2021. «Per la nomina dell'a.d.s., il consenso/dissenso del beneficiario non rappresenta presupposto normativo di attivazione o non attivazione della misura.

Molte volte il consenso neppure è ipotizzabile in presenza di disabilità psichiatrica, ovvero, a fronte di talune patologie mentali (quali, ad es., schizofrenia, oligofrenia, sindrome di down, depressione maggiore, etc.) il dissenso non può non ritenersi viziato e come tale è irrilevante.

Invece, in presenza di persona in grado di esprimersi con lucidità ed unicamente affetta da disabilità fisica (come nella specie, nella quale la beneficiaria era affetta da cecità assoluta), come ha osservato la nomofilachia (Cass. 27 settembre 2017, n. 22602), il dissenso espresso va tenuto in considerazione da parte del g.t., in quanto espressione di autodeterminazione individuale. In particolare, si consideri che l'art. 407, comma 2, c.c. espressamente dispone che, in sede decisoria, il giudice debba «tener conto, compatibilmente con gli interessi e le esigenze di protezione, dei bisogni e delle richieste di questa».

Tra le “richieste” espresse dal disabile in sede di audizione, di cui il giudice deve sempre tener conto, può apprezzarsi il dissenso critico ad una nomina di a.d.s. dallo stesso ritenuta non gradita che, pur sempre, si rivela limitativa della capacità di agire.

Compito del giudice è la difficile individuazione del “giusto mezzo, nella tensione tra autodeterminazione individuale ed esigenza di non abbandono civilistico del disabile».

 

[3] In tal senso Trib. Novara, 6/08/2016: «[…] “la titolarità di una procura generale non impedisce l'accoglimento del ricorso e la nomina dell'amministratore di sostegno nella stessa persona dotata di procura: esso conferisce anzi a colui che svolge le funzioni di rappresentante il dovere di compierle con diligenza e fedeltà, impregnando i doveri propriamente civilistici del bonus procurator, di valori quali la gratuità, la solidarietà e la trasparenza anche verso i terzi che il ruolo di amministratore di sostegno, quale munus publicum, richiede.”(cfr. Trib. Trieste 22.04.2006). Pertanto, sulla scorta dell’insegnamento di autorevole Dottrina, ritiene questo giudicante astrattamente ammissibile la nomina ad amministratore di sostegno del terzo che si era in precedenza occupato dell’amministrando sulla base di una procura volontaria e generale. Ed infatti tale nomina, conferendo al terzo (già procuratore generale dell’amministrando) la qualità di pubblico ufficiale e sottoponendo al controllo dell’Autorità giudiziaria l’attività compiuta nell’interesse dell’amministrando, avrebbe la finalità di “istituzionalizzare” l’attività gestoria lato sensu intesa compiuta nell’interesse del rappresentato, conferendo all’amministrazione di sostegno lo strumento per l’attuazione di una vigilanza sistematica sull’operato dell’amministratore (già procuratore generale) nell’interesse esclusivo e a tutela del rappresentato che versa in condizione di infermità ostativa ad un esercizio consapevole del potere di vigilanza nei confronti del rappresentante. Pertanto, non si ritiene condivisibile l’orientamento della giurisprudenza di merito che ritiene la preesistente procura conferita dall’interessato elemento ostativo alla nomina di un Amministratore di Sostegno, sull’assunto che in tale modo il giudice tutelare – con provvedimento superfluo ed ultroneo – finirebbe per sovrapporre un proprio provvedimento alla volontà liberamente e consapevolmente espressa dall’inabile (cfr. in tal senso Trib. Modena 23.12.2008 in Dir. Fam., 2009, 2, 699) posto che tale conclusione non tiene in debita considerazione le esigenze di tutela dell’inabile sottese all’“istituzionalizzazione” del rappresentante dal medesimo individuato.»

 

[4] Così, P. CENDON, Le origini dell’amministrazione di sostegno, in Persona e danno, II, Milano, 2004, 1397; A. BORTOLUZZI, L’amministrazione di sostegno, Torino, 2005, 166: «[…] nella normalità dei casi occorre sempre tenere presente che l’amministrazione di sostegno riduce o attenua la capacità del beneficiario solo in relazione ad alcuni atti, quelli stabiliti di volta in volta dal giudice: per tutto il resto egli conserva la sua piena capacità, motivo per cui il regime è compatibile con gli istituti della rappresentanza volontaria. Ciò fa intendere che può esservi anche concorrenza tra amministratore di sostegno con mandatario volontario per specifici affari. Tutto sta ad individuare le rispettive competenze […]».

In tal senso anche S. SANFILIPPO, Per una rinnovata lettura assiologica dell'amministrazione di sostegno: l'anzianità e la mera cura patrimonii non sono indici rivelatori della necessità di attivazione del sostegno, nota a Cassazione civile, 31 dicembre 2020, n.29981, sez. I, in Diritto di Famiglia e delle Persone (II), fasc.3, 2021, pag. 1048. «Non vi è dubbio, quindi, che la persona che sia perfettamente in grado di autodeterminarsi, anche se impedita fisicamente, come nel caso di specie, possa avvalersi di un rappresentante (speciale o generale che sia), di propria elezione e fiducia, nel compimento in suo nome e per suo conto degli atti giuridici necessari alla cura del suo patrimonio. Non si vede pertanto il motivo per cui tali soggetti, sol perché affetti dalle normali patologie connesse all'avanzare dell'età, debbano necessariamente essere assistiti da un amministratore di sostegno, laddove, invece, siano compiutamente in grado di esercitare i loro diritti, anche avvalendosi di un aiuto da parte di terzi, che potrebbe rivestire qualsiasi forma ammessa dal nostro ordinamento.»

 

[5] Così per tutti, R. GIOVAGNOLI, Manuale di diritto civile, Torino, 2022, 86; Trib. Novara, 6/08/2016.

 

[6] Così, Trib. Novara, 6/08/2016: «Va da sé che l’eventuale “istituzionalizzazione” della figura del procuratore generale costituirebbe di per sé causa di estinzione della precedente procura generale, stante l’incompatibilità dei poteri rappresentativi conferiti con quest’ultima con l’ambito dei controlli (pubblici) e dei limiti operativi (per gli atti di ordinaria e straordinaria amministrazione) derivanti dal decreto di nomina ad A.d.S., di talché la perdurante efficacia della procura in capo all’amministratore di sostegno (già procuratore generale) finirebbe per rendere inutiliter datum lo stesso provvedimento di nomina, consentendo all’A.d.S. di eludere e vanificare il controllo dell’autorità giudiziaria. Senza considerare che l’accettazione da parte del procuratore generale (rappresentante del beneficiando) della sua nomina ad amministratore di sostegno del (già rappresentato) beneficiario implicherebbe rinuncia implicita del potere rappresentativo a suo tempo conferito con la procura. Nel caso di specie, infatti, il procuratore generale, Sig. F. G., in sede di audizione dell’interessata ha manifestato la disponibilità a svolgere l’incarico di A.d.S. di talché l’accettazione dell’eventuale sua nomina implicherebbe la rinuncia unilaterale al potere rappresentativo, optando lo stesso per il nuovo potere rappresentativo del beneficiario (già rappresentato) conferito con il decreto di nomina e conformato da limiti operativi ed obblighi di rendiconto all’Autorità Giudiziaria, sconosciuti dal potere rappresentativo conferito con la procura generale. Tale rinuncia, pertanto, estinguerebbe di per sé il potere rappresentativo conferito con la procura generale una volta comunicata al rappresentato (volendo aderire a quella dottrina che qualifica la rinuncia come atto unilaterale ricettizio, subordinando l’effetto estintivo del potere rappresentativo alla comunicazione dell’atto di rinuncia al rappresentato, ex art. 1334 c.c.).»

[7] Sulla stessa scia pare porsi anche S. SANFILIPPO, Per una rinnovata lettura assiologica dell'amministrazione di sostegno: l'anzianità e la mera cura patrimonii non sono indici rivelatori della necessità di attivazione del sostegno, nota a Cassazione civile, 31 dicembre 2020, n.29981, sez. I, in Diritto di Famiglia e delle Persone (II), fasc.3, 2021, pag. 1048. «Non vi è dubbio, quindi, che la persona che sia perfettamente in grado di autodeterminarsi, anche se impedita fisicamente, come nel caso di specie, possa avvalersi di un rappresentante (speciale o generale che sia), di propria elezione e fiducia, nel compimento in suo nome e per suo conto degli atti giuridici necessari alla cura del suo patrimonio. Non si vede pertanto il motivo per cui tali soggetti, sol perché affetti dalle normali patologie connesse all'avanzare dell'età, debbano necessariamente essere assistiti da un amministratore di sostegno, laddove, invece, siano compiutamente in grado di esercitare i loro diritti, anche avvalendosi di un aiuto da parte di terzi, che potrebbe rivestire qualsiasi forma ammessa dal nostro ordinamento.»

[8] In tali casi, peraltro, la tutela dei terzi contraenti in relazione alle sopravvenute ed implicite limitazioni al potere di rappresentanza sarebbe comunque assicurata dall’art. 1396, comma 2 c.c., essendosi in presenza di un’estinzione parziale di tale potere, o, comunque, dall’istituto della c.d. rappresentanza apparente.

Salva una specifica dichiarazione del rappresentante, infatti, i terzi non sono in grado di conoscere le sopravvenute limitazioni al potere rappresentativo del mandatario e/o procuratore generale, posto che dal registro delle amministrazioni di sostegno non è possibile conoscere il contenuto del decreto di nomina.




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