Internet, nuove tecnologie  -  Marco Faccioli  -  18/05/2023

L'intelligenza artificiale e la colonizzazione digitale dell'inconscio.

Davide Scagni, blogger e giornalista, ci confida che, per gioco, ha digitato le parole “Shock in my town” su Midjourney, il famigerato programma di intelligenza artificiale che crea immagini da descrizioni testuali (per dirla in breve l'utente digita alcune parole sul sito, e questo le trasforma immediatamente in immagini). Scagni racconta che sono uscite quattro immagini apocalittiche, una più pessimistica dell’altra: palazzi sventrati o divorati da incendi, persone di spalle che camminano verso un idolo che emerge dal fungo di un’esplosione. Cose di questo tipo per intenderci. Pensando che il programma fosse stato particolarmente truce proprio nel suo caso, ha convinto alcuni amici a fare la stessa cosa, per poi c onfrontare i risultati dagli stessi ottenuti. Tuttavia, anche comparando le sue immagini con quelle di altri, il risultato finale non cambiava ...la costante della devastazione e del futuro distopico erano sempre presenti.

Tra i programmi di AI (Artificial Intelligence) che realizzano immagini basate su stringhe di testo fornite dagli utenti sembra proprio che Midjourney abbia una particolare predilezione per gli scenari apocalittici, non proprio post-umani, ma quasi.

Di certo, questo mondo disegnato in rosso e blu evoca un futuro per nulla rassicurante, persino peggiore di come lo immaginiamo. Come se il contributo della AI alle immagini che il software preleva dalla rete e che rielabora in funzione del prompt umano, fosse quello di metterci in allarme o di dar comunque spazio a quelli che possono essere i nostri incubi e le nostre peggiori paure.

Il “dato” è la chiave, lo sanno bene gli esperti di comunicazione e i guru del digitale. Raccogliere la moltitudine di dati presenti e monitorati su Internet (navigazione in rete, visualizzazione dei video, ricerche online, interessi sui social network, movimenti nello spazio e nel tempo) è uno degli imperativi dei Signori della Rete. “Non si sfugge alla Macchina - diceva Gilles Deleuze - dalla culla alla bara siamo schiavi del nostro desiderio”.

Il linguaggio è il virus del desiderio e l’immagine sta imparando a venirgli dietro. Dallo storytelling si sta passando all’imagineering, una vera e propria colonizzazione digitale dell’inconscio. Nel film “Ex Machina” di Alex Garland (del 2014), a un certo punto il miliardario cervellone interpretato da Oscar Isaac sta parlando con il giovane stagista selezionato per testare la coscienza delle sue Macchine: il suo ultimo modello ha il corpo e lo sguardo di Alicia Vikander. Il personaggio di Oscar Isaac ha costruito intelligenze artificiali così evolute da somigliare in tutto e per tutto agli esseri umani, non solo fisicamente, ma anche nel comportamento.

Proprio come i programmi che producono immagini, questi esseri artificiali sono stati programmati per rispondere alle richieste degli esseri umani tramite una ricerca dal web: i motori di ricerca, le domande e le pagine web che risultano dalle queries, servono a definire e tarare la coscienza delle A.I. E questo non tanto e non solo in termini di argomenti, o di oggetti del pensiero, ma nella modalità del ragionamento. Hanno imparato anche l’amore? Chi può dirlo? Di sicuro, hanno imparato la seduzione. Il capo dice questa frase al giovane stagista: “I motori di ricerca ti dicono non cosa pensa la gente, ma come pensa”.

E noi?

Noi ci illudiamo che confermare o rifiutare ogni volta i cookie sui nostri siti preferiti sia sufficiente per tutelare la nostra privacy, quando in realtà in ogni istante (anche ora, proprio mentre state leggendo) le Macchine stanno studiando come ragioniamo. Ecco il vero senso del Machine Learning: le Macchine vogliono individuare e captare i nostri sogni.

Sul tema dell'AI c’è chi non è particolarmente ottimista: il giornalista e scrittore Antonio Dini per esempio, ha sancito chiaro e tondo la fine del mondo come lo conosciamo. Con lo stesso spirito, un altro giornalista e scrittore, Valerio Mattioli, ha realizzato un saggio che si intitola “Ex Machina, storia musicale della nostra estinzione”. In questo interessante libro si racconta una sorta di evoluzione della produzione musicale, avvenuta a partire dagli anni Novanta, e incarnata nella Trinità: Aphex Twin, Autechre, Boards of Canada. Ciascuno di questi musicisti rappresenterebbe un momento di passaggio nel rapporto dell’uomo con la Macchina. La musica generativa, altresì detta IDM (Intelligent Dance Music), si fonda sulla graduale estromissione dell’uomo dalla produzione, ovvero dalla creazione. La musica si autogenera, impara da se stessa, in un loop infinito di autocitazioni di cui l’uomo non è che l’attivatore, la scintilla iniziale, strumento e non più suonatore. Il finale è quello che possiamo immaginare: l’estinzione. Questo non significa ovviamente che si sia smesso di realizzare musica alla vecchia maniera: ci mancherebbe. Ma qualcosa è cambiato nei rapporti di forza. Per Mattioli, la mutazione nella musica sarebbe ormai a uno stadio talmente avanzato che persino il recupero di generi del passato non risponde più a un’ideale umanizzazione, a un ritorno all’umano, ma al contrario, rievoca un mondo che non esiste più. Non è più la nostra nostalgia che si rievoca, ma è la nostalgia della stessa Macchina, è il ricordo macchinico (non meccanico, si badi) di un umanesimo ormai estinto. Ed ecco che torna l’immaginario apocalittico di Midjourney. Accadrà lo stesso con i libri, i fumetti, la poesia? La Macchina produttrice darà il colpo di grazia al nostro immaginario già così esausto? Mentre l’umanità ignara si affanna in problemi che increspano solamente la superficie di queste tematiche, (il solito scontro tra Apocalittici e Integrati), la Macchina apprende e rielabora, colonizza i sogni del mondo.

C’è chi, come Dave McKean, e in Italia Francesco D’Isa e Vanni Santoni sperimentano lo strumento “macchinico” con esiti interessanti. Ma siamo pur sempre ancora in un’ottica di storytelling, di utilizzo della Macchina in funzione della narrazione: si esplora un immaginario a portata di mano, si naviga nei sogni della Macchina per vedere fino a che punto sono simili ai nostri. Altri invece sono più preoccupati delle potenziali conseguenze sulla produzione delle immagini. Mentre si valorizzano le modalità di creazione e di fruizione di miriadi di potenziali contenuti, le competenze della parte produttiva sono sempre più sollecitate. Le opportunità offerte dalle macchine democratizzano la produzione di immagini e ci rendono tutti potenziali disegnatori: o meglio, veicoli di creazione dell’immagine. Siamo diventati noi stessi Media. A salvarsi come sempre sarà la produzione di prestigio, il lavoro “artistico” e autoriale, le firme in grado di qualificarsi per quello che fanno (non necessariamente per la loro qualità), in una parola: “il tocco del maestro”. Le AI invece avranno probabilmente l’impatto più forte sulla produzione a larga scala, di massa, che necessita di grande quantità di immagini, in tempi rapidi e a basso costo. Come in una versione reale de “Le 676 apparizioni di Killoffer”, siamo già circondati da miriadi di immagini tutte uguali, che rispecchiano noi stessi, che si moltiplicano nel mondo e vivono la vita che noi non abbiamo tempo di vivere.

Nell’immaginario delle Macchine e di chi le gestisce, si dovrà inventare un segno irriconoscibile, un segno che sfugge, una narrazione in grado di qualificarsi per la propria unicità, che non segua i canoni prestabiliti del disegno classico ma che sia aperto alla sperimentazione, all’espressione libera. Il segno che si salverà sarà quello che ancora non esiste, perché non si può catturare ciò che non esiste. Un po’ come le apparizioni di Killoffer: segni talmente nuovi che le Macchine non possono impararli.




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