Deboli, svantaggiati  -  Redazione P&D  -  26/06/2023

L'estate delle carceri italiane - Enrico Sbriglia

Ho sempre ritenuto che la peggiore stagione dell’anno, per chi viva e/o lavori all’interno delle carceri italiane, sia l’estate.

È quella che le persone libere indicano come la “bella stagione”, ma che nelle carceri è invece la più infernale ed insopportabile.

Anche tale condizione sfavorevole, a ben guardare, potrebbe rientrare nel “pacchetto” di debiti che è stato mollato al nuovo governo della premier Meloni e del ministro Nordio i quali, tra le tante problematiche che dovranno affrontare nei diversi scenari di complessità, aggiungeranno anche questa.

E non è cosa da poco, perché è proprio nella bella stagione che possono scatenarsi, anche a dire dei criminologi di vecchia scuola, gli istinti e le aggressività peggiori.

Il caldo, quando è insopportabile, ottenebra le menti e rende tutti più irascibili, scontrosi, litigiosi, non distinguendo copioni e ruoli.

Non so se dalle parti del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria abbiano studiato una strategia, per quanto minima, per prevenire, affrontare e risolvere le criticità. Me lo auguro però, perché non sarebbe giusto che poi a pagarne le conseguenze siano sempre e soltanto gli anelli deboli di un sistema complesso che attende da anni – forse finanche da decenni – un’attenzione concreta, e non i pistolotti della serie “vogliamoci tutti bene”, perché il bene deve essere sempre conquistato e non è mai “a gratis”.

Sia con il personale penitenziario che con le persone detenute, nel corso della mia vita professionale, mi sono imposto un dialogo franco, leale, rigoroso, perché le persone, tutte le persone, hanno bisogno di essere trattate con rispetto e chiarezza, non nascondendo mai le difficoltà.

Ho sempre diffidato quella singolare Comunità di persone detenute e detenenti dall’assumere come buone, salvifiche, le soluzioni ai problemi che i tanti sacerdoti del diritto e i venditori porta a porta di libertà mostravano nelle loro valige, perché non funzionava così, non poteva ragionevolmente immaginarsi che le cose andassero come venivano propagandate.

Per fortuna mi hanno, nella generalità dei casi, creduto e così, insieme, abbiamo trascorso e superato, in quella che potrebbe essere definita la strategia della cosiddetta “riduzione del danno”, tutte le calde estati che abbiamo trascorso insieme.

Però questo non mi esime dal fare delle considerazioni, per quanto ex post, perché tante domande che affollano la mia mente richiederebbero, ancora oggi, soprattutto oggi, i necessari chiarimenti.

Il ricordo ancora maledettamente vivido che ho delle cose, pensando ad esempio, a come fu affrontata la pandemia da Covid nella primavera del 2020, con il suo terribile strascico di morti, violenze, rivolte, non mi conforta né come cittadino né come chi ha speso nel mondo delle carceri un pezzo importante e significativo della propria esistenza, sempre sforzandomi di assicurare che ci fossero dei margini di miglioramento del sistema, per quanto, non poche volte, ne ho dovuto constatarne, al contrario, l’arretramento: un arretramento di civiltà, di sensibilità, di coerenza perfino giuridica, per quanto abbia sempre timore d’inoltrarmi in un campo che non è il mio, perché per me il diritto era carne e sangue, era il rispetto della parola data, era l’esempio e non i tomi, le pandette ed i codicilli.

Certo, però, una cosa sento di doverla rappresentare ed è una constatazione, che certamente non mi renderà simpatico ma che ho comunque il dovere di dire perché, a mio modesto avviso, qualcosa non ha funzionato e non mi convincono le belle parole, le cerimonie pubbliche di accreditamento di quanto di grande e di bello si sia fatto, l’ammiccamento con le università o il plauso che pervenga da autorevoli esponenti del diritto, perché mi basta semplicemente guardare le cose così come si presentano, per farmi un a-tecnico banale giudizio: la figura, o meglio “l’apparato”, del Garante Nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale non ha prodotto i risultati che in tanti per davvero speravamo, e non lo dico io, che sono nessuno, ma molto più efficacemente lo dimostrano i numeri, quei maledetti numeri che parlano di sovraffollamento, per un verso e, per l’altro, di insignificanti cifre di persone ammesse alle misure alternative alla detenzione, ove già ristrette, o che ci ricordano la quantità di suicidi, come anche il preoccupante crescere degli episodi delle aggressioni tra gli stessi detenuti e di quest’ultimi verso il personale penitenziario, ma anche la rituale litania sullo stato delle carceri, pietoso e vergognoso per una nazione civile che ami le persone, anzitutto gli operatori penitenziari, costretti a lavorare in condizioni sempre più rischiose ed insalubri, e così via.

Paradossale: i suicidi sono statisticamente aumentati, così come le morti!

I folli, scusate il gioco di parole, “affollano” le carceri e le celle, sì, preferisco chiamarle così, continuano ad essere luoghi indegni, dove tra la tazza, anzi il cesso, e la pentola che bolle per gli spaghetti, la distanza è tale che possono fare “petting”…

Uhm, no, del sesso non parliamo, per favore o, meglio, parliamone soltanto per agitare, ancora una volta, l’illusione; bella tecnica quella di non offrire il pane agli affamati e di fare sognare le torte, bella davvero!

Ma perché, prima di raccontare le favole e le grandi conquiste da farsi, non si realizzano le cose minime, ma davvero minime, che richiederebbero un impegno perfino modesto e, parola magica, “seriale”?

Ma che ce ne facciamo dei rilevatori di pericolo, se poi il pericolo persiste, se non addirittura accresce!

I garanti non dovrebbero svolgere questo ruolo?

Mi chiedo, al riguardo, se si sia costruita una rete solida tra tutti i garanti territoriali sotto la prudente e saggia regia dell’Ufficio del Garante Nazionale; ehi! Oggi non sono pochi, insomma un garante non si nega a nessuno e sono una risorsa, al punto che la stessa polizia penitenziaria ne pretenderebbe uno.

C’è stato, pertanto, un reale e concreto coordinamento tra la periferia ed il centro? Boh! Le cose che talvolta sento di stramacchio (perdonatemi, ma è un termine che a Napoli si usa e così rivelo le mie origini) mi dicono di no, ma sicuramente sono stupidi mormorii, perché poco ragionevole sarebbe stato rinunciare alla possibilità di costruire un sistema di relazioni tra tutto il vasto mondo dei garanti regionali e locali con quello nazionale, per ricercare soluzioni e proposte condivise, concrete, cantierabili, piuttosto che inventarsi quelle che, si sa bene, non potranno realizzarsi a breve e medio periodo, che è quello che a noi interessa, perché queste misure di tempo imminente sono piene di persone e di sofferenza, e poco interessa dire che tra venti anni le cose saranno migliorate. Dico vent’anni perché questo lasso temporale, a naso, credo che sia l’unità di riferimento per la realizzazione, ad esempio, di un nuovo carcere, dal momento in cui lo si pensi a quello in cui, semmai, addirittura con la cosiddetta consegna provvisoria perché ancora non perfettamente terminato, verrà messo a disposizione dell’amministrazione penitenziaria che sarà chiamata a trovare rimedi di fortuna.

Dico bugie? Ebbene aspetterò di essere smentito con prove alla mano: vogliamo, solo per fare alcuni esempi, parlare di Rovigo, di Forlì, di Pordenone, di Bolzano, di Nola e dintorni, vogliamo parlare delle carceri sarde, oppure di altre regioni? Sono qua!

E che dire dell’assistenza sanitaria in carcere che, francamente, andrebbe fortemente assicurata anche al personale penitenziario, visto com’è costretto ad operare?

Perché non si dice chiaramente che è stato un fallimento la migrazione delle funzioni dal ministero della giustizia a quello della salute? Salute, ma di quale salute stiamo parlando!?

Basterebbe andare a vedere, di soppiatto, senza pompa magna, e si scoprirebbe un vero mondo di dolore, di malattia e di disperazione.

L’altro giorno, un caro amico, psicologo, sul quale sapevo di poter contare quando ero direttore, come si dice in gergo h24, ma che sosteneva la riforma basagliana all’interno delle carceri e, in particolare, per eliminare quella che veniva considerata, a mio avviso a torto, la bruttura degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari, mi confidava che la riforma era stata una sorta di catastrofe e che occorreva trovare soluzioni alternative, perché le Rems (Residenze per le misure di sicurezza rivolte alle persone internate con disagio psichiatrico) non si erano rivelate la risposta giusta.

Ricordo come adesso quando, timidamente, invitavo ad un ripensamento, perché sarebbe stato necessario migliorare il sistema degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari, acronimo Opg, investire davvero sugli stessi, sottoponendoli a maggiori rigorosi controlli, piuttosto che cancellarli dalla faccia della terra.

L’amico mi diceva che occorreva, oggi, immaginare strutture diverse, gestite dal personale penitenziario e controllate dalla sua polizia, ma assistite dal servizio sanitario nazionale che doveva rispondere, sul piano medico, in termini univoci e non confusi, in tema di cure.

Queste strutture, un po’ come le articolazioni di salute mentale presenti in alcuni istituti e oggetto di mille proteste da parte del personale penitenziario, dovevano essere realizzate all’interno delle carceri e sarebbe occorso anche prevedere la punibilità delle persone folli, trattandole come detenute.

“Pazzesco”, c’era maggiore rispetto dei diritti delle persone malate di mente negli Opg!

Lo so, è spesso difficile fare marcia indietro, soprattutto quando si è investito in termini politici, si sono fatte campagne elettorali, addirittura sono state costituite Commissioni Parlamentari Speciali d’inchiesta, ma poi, come sempre, la verità delle cose ha il proprio corso e viene a portarci il conto.

Nel mentre, le carceri continuano ad essere senza docce in numero adeguato e funzionante, non poche volte in alcune realtà l’acqua potrebbe non essere potabile e mancano i bidet dove dei costretti, novelli, “Narciso” possano vedere riflesso il proprio sesso spento, neanche più degno di essere lavato.

No, ufficio del garante, non mi hai convinto, altro mi sarei atteso, altro avrei voluto vedere.

Le parole dotte e celebrative non mi interessano e non interessano neanche ai tanti operatori penitenziari che ogni giorno fanno, in condizioni estreme, il loro dovere verso lo Stato, verso la Comunità.

Articolo già apparso in "L'opinione delle libertà"




Autore

immagine A3M

Visite, contatti P&D

Nel mese di Marzo 2022, Persona&Danno ha servito oltre 214.000 pagine.

Libri

Convegni

Video & Film