E’ tanto di moda la pessima idea che alcune e, in diversi contesti, perfino tante cattive prassi applicative di questa legge ( la legge 6/2004) e dello strumento di protezione attiva che ha creato rendano necessaria una sostanziale tabula rasa di questa legge, realizzabile secondo alcuni nostalgici addirittura con la reviviscenza delle linee annullanti dell’interdizione e, secondo piu’ numerosi e diversificati ‘liberisti’, svuotandone il senso, togliendo del tutto o rendendo estremamente burocratico, condizionato e complesso il ricorso all’amministrazione di sostegno e/o ad ogni strumento personalizzato che possa proteggere solidaristicamente vita, salute , dignità e benessere di ogni persona ( art.1 primo comma e 3 commi 2,4 e 5 l. 219/2017). Il che finisce per coincidere perfino, nel campo sanitario, con il far venir meno la possibilità di valorizzare adeguatamente la volontà ed ogni (quand’anche limitata) possibilità di autonomia valutativa e decisionale di una persona che, di fatto, non sia in grado di autodeterminarsi pienamente e che , “per effetto di una infermità ovvero di una menomazione fisica o psichica, si trova nell’impossibilità, anche parziale o temporanea, di provvedere ai propri interessi” esistenziali e patrimoniali “nell’espletamento delle funzioni della vita quotidiana”; tra di esse certo rientra l’espressione del consenso agli accertamenti ed ai trattamenti sanitari( art. 404 CC e 1 l. 6/2004 ; art. 3 l. 219/2017 ).
La legge sull’amministrazione di sostegno , pur con alcuni limiti normativi inevitabili che il suo ventennale percorso di vita ha, nell’esperienza quotidiana, fisiologicamente sottolineato, è stata e rimane un grandissimo passo avanti nella “cultura della cura” delle persone fragili; essa tenta di realizzare in maniera personalizzata per loro una forma di effettiva garanzia dei diritti inviolabili dell’uomo, richiedendo alla Repubblica, alle Regioni, alle strutture socio-sanitarie, alla famiglia, al volontariato ed a tutti noi “l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà” verso chi, di fatto, per le sue carenze di “autonomia fisica o psichica” non si trova in condizioni di effettiva libertà e di eguaglianza ( artt. 2 e 3 della Costituzione).
L’amministrazione di sostegno non è nata certo e non può nemmeno oggi vivere ( o esser vissuta) come strumento di oppressione, ma di liberazione ( è , nella sua essenza, lo strumento giuridico del “può” e non del ‘deve’, del ‘quando e come è opportuno’ e non del ‘sempre e nello stesso modo per tutti’- sussidiarietà funzionale-) ; modi di pensarla o di applicarla diversamente costituiscono la sua ‘eversione culturale’ e la sua ‘controapplicazione sostanziale’.
L’amministrazione di sostegno è nata come un autentico , effettivo, concreto e condiviso strumento flessibile di protezione delle persone piu’ fragili nella loro singola e personale ‘sofferenza’, per il superamento possibile o per la riduzione degli effetti negativi della mancanza o dell’insufficienza di autonomia “nell’espletamento delle funzioni della vita quotidiana”, della impossibilità o difficoltà di operare nelle relazioni giuridico- economiche, anche patrimoniali ma perfino vitali. Il suo obiettivo è garantire, nella misura piu’ ampia possibile, la vita, la salute ed il benessere delle persone gravate da infermità o menomazioni di qualsiasi natura attraverso un decreto-progetto di sostegno ( art. 405 CC) per quanto possibile personalizzato e condiviso, sempre modificabile , modulabile, integrabile, revocabile, ‘vivo’, mai ‘definitivo’, mai eguale, uniforme, rigido, ‘morto’ (artt.1 l. 6/2004, 404-405-406- 407- 408-409-410-411-412-413 CC).
La ‘personalizzazione’ della misura deve ( purtroppo talora ‘dovrebbe’) esser garantita se le ‘disposizioni necessarie e fondamentali’ per la stessa vitalità dello strumento richiamano l’attenzione ‘esclusiva’ “alla cura ed agli interessi della persona del beneficiario”, ai suoi “bisogni”, alle sue “aspirazioni”, ai suoi “dissensi”, alle sue “scelte”, alle sue “designazioni”; e se il quadro unico di riferimento dello stesso “procedimento” relativo al modo di provvedere all’eventuale nomina di ads è il luogo di residenza o il domicilio della persona (art.404 CC), meglio ancora “il luogo in cui questi si trova”, nella concretezza del suo ambiente familiare e sociale ( art. 407 CC ).
Dunque la regola prima di legittimazione dell’applicazione dell’amministrazione di sostegno è l’ascolto, comunque realizzato o realizzabile, perfino al di là della stringente previsione del primo comma dell’art. 407 CC in cui si dispone che il GT “deve sentire personalmente la persona…recandosi, ove occorra , nel luogo in cui si trova” ( oggi , in diverse realtà territoriali tra cui il Veneto, l’accesso è facilitato dall’utilizzabilità delle diverse modalità di videochiamate).
Questo è possibile davvero: io stesso posso indicarmi come diretto operatore-testimone 20 anni fa nel corso della mia esperienza veneziana come GT ( coeva ai primi anni di vigenza della legge); e questa non è -per me non è certo stata- una condanna biblica insopportabile , ma una possibilità di ‘immersione-immedesimazione’ nella realtà esistenziale di tante persone sofferenti tentando di ‘prendermi a cuore’, assieme a chi era chiamato a condividere questa esperienza ( i conviventi- familiari per primi : art. 406 primo comma e 407 primo comma CC-; ma anche gli operatori dei servizi socio-sanitari- c.3 dell’art. 406 CC e 344,sec. comma CC; l’amministratore di sostegno e il volontariato variegato coinvolto, incluso talora il vicino di casa..) della loro stessa personale esistenza. Quello che è stato ( e comunque è) importante è ‘assumere il punto di vista’ del beneficiario, non necessariamente per ‘ubbidire’ acriticamente alle sue indicazioni ma per farle in qualche modo ‘vivere’ nel provvedimento-decreto e nelle sue integrazioni e modifiche successive attraverso l’ads e i soggetti coinvolti ; sempre con lo scopo di garantire alla persona non autonoma il massimo del benessere concretamente possibile per lei.
Devo necessariamente aggiungere che io sono stato un GT molto fortunato nella mia immersione in questa esperienza perché da un lato, come Presidente della Sezione che si occupava della famiglia e dei diritti personali, ho potuto piu’ liberamente ‘organizzare’ (approfittando della grande disponibilità degli altri giudici della Sezione e della cancelleria) l’attività secondo linee inevitabilmente ‘nuove’ che erano state condivise anche col Comune di Venezia - grande l’apporto organizzativo e la disponibilità dell’avvocatessa del Comune e della Dirigente dei servizi - e dagli stessi operatori sociosanitari del Comune e dell’ ULS competente; parallelamente ho potuto avvalermi dell’apporto di diverse organizzazioni di volontariato e , in modo diverso, dalla stessa Regione Veneto, anche attraverso la principale artefice di questi corsi di formazione. In questa esperienza -totalmente diversa da quella ordinaria della giurisdizione- si è coinvolta anche l’avvocatura e, in prima persona, diversi avvocati e praticanti ‘partecipi dell’ avventura’ come singoli volontari ( debbo aggiungere che tutti i ‘miei volontari’ lo hanno fatto, in tanti casi, con grande sacrificio personale ed anche economico e certo senza alcun fine di lucro). Ancora, riconosco che i quasi tre mesi intercorrenti tra l’approvazione della l. 6/2004 e la sua entrata in vigore mi hanno offerto l’opportunità di iniziare a preparare la condivisione ed il coinvolgimento di tante persone e strutture in questo ‘folle’ progetto organizzativo, ricercando formazione ed autoformazione senza l’urgenza di intervenire sui singoli casi; si tratta ( o dovrebbe trattarsi) di un ‘servizio senza giudizio’ alle persone fragili che tendenzialmente va dove queste si trovano, cercando di ‘sentire l’odore’ dei luoghi senza attenderle in Tribunale, in un’aria inevitabilmente ‘inquinata’ da troppe altre diverse presenze. Non posso terminare gli accenni alla mia esperienza ( qualche anno dopo proseguita a Belluno, come GT-presidente del Tribunale) senza menzionare l’apporto, talora eccezionale, progressivamente offertomi da giudici onorari che si sono lasciati coinvolgere in questo ‘diverso modo’ di vivere il proprio ruolo, incarnando in fatto ed in diritto il ruolo di GT.
Tornando all’oggi , come e cosa fare perché sia possibile che una legge che resta di enorme progresso, ‘viva’ davvero, divenga costantemente vitale nella realtà quotidiana sempre piu’ parcellizzata ed affannata , esaltata ed umiliata dalla logica dell’efficienza e del raggiungimento di obiettivi spesso solo burocratici e formali, in cui la ‘logica dello scarto’ e dell’indifferenza-insofferenza mi pare costante, al di là di parole belle o di parole in libertà ?
Cosa e come fare, di là della necessità di singoli interventi e ritocchi normativi fisiologici dopo vent’anni , quali ad esempio la totale cancellazione, anche formale, dell’interdizione ; o ancora l’introduzione dell’art. 1 della stessa legge all’interno delle disposizioni del codice civile, come norma prima e fondamentale che regge il senso di tutta la disciplina della protezione ‘attiva’?
Credo ( ed è l’ottimismo della speranza e della volontà ) che tutto debba essere ancora possibile, se si riesce ad inserire lo strumento-amministrazione di sostegno e la necessità di valorizzare disposizioni che ‘pongono al centro’ la persona con le sue fragilità in un programma complessivo, costituzionalmente doveroso ( art.2-3-32 Cost.) di “cura alla persona”, incardinato sui grandi valori costituzionali del personalismo, del solidarismo e della sussidiarietà, del diritto alla vita, del diritto alla salute, del diritto alla dignità, del diritto all’eguaglianza di ogni uomo e sui corrispondenti compiti ed obblighi dello Stato e delle pubbliche istituzioni di “rimuovere gli ostacoli che limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini impediscono il pieno sviluppo della persona umana”.
Essi sono ribaditi da ultimo nelle motivazioni delle sentenze 242/219 e 50/2022 della Corte Costituzionale (rispettivamente relative alla previsione di una ristretta e condizionata, eccezionale condizione di non punibilità di chi agevoli l’esecuzione dell’altrui suicidio - art. 580 CP- ed alla inammissibilità di una proposta referendaria di legittimazione del reato di omicidio della persona consenziente - art.579 CP-); ma esse devono esser lette ( e possibilmente comprese ed approfondite! ) nel contesto delle leggi sulle cure palliative (l.38/2010 ) e sul consenso informato e DAT ( l.219/2017 ), nonché della stessa legge sulla protezione delle persone non autonome e sull’amministrazione di sostegno che, appunto, pongono al centro di tutta la stessa ragion d’essere dello Stato la persona (e la persona sofferente in particolare ) con il diritto inviolabile alla cura ed il dovere inderogabile di cura.
Allora, forzando una estrema sintesi, credo sia necessario :
Non è facile ma è possibile, se lo si vuole da tutti. Il disfattismo non serve a niente se non a rassegnarsi ‘contro’ fondamentali valori e diritti costituzionali : escludo che sia utile o sensato ‘cambiare cavallo’ .
Padova,17/2/2024 Sergio Trentanovi
Relazione per il corso di formazione sull’amministrazione di sostegno tenuto a Padova il 17/12/2024