-  Scozzafava Guendalina  -  24/02/2014

LA GESTIONE IN HOUSE NEI SERVIZI PUBBLICI LOCALI - Guendalina SCOZZAFAVA

LA GESTIONE "IN HOUSE" NEI SERVIZI PUBBLICI LOCALI: CARATTERISTICHE E LIMITI

La riforma del titolo V della Costituzione nel 2001 introducendo veri e propri elementi di rivoluzione quali la sussidiarietà verticale e la presenza dello Stato nella piramide della governance, all"art. 117 ha decentrato la competenza legislativa ripartendola tra lo Stato e le Regioni.

I commi 2 e 3 del suddetto articolo infatti disciplinano la ripartizione della potestà legislativa conferendo allo Stato la competenza esclusiva in materie come l"immigrazione, i rapporti con le confessioni religiose, la difesa e le Forze Armate, la moneta, l"ordinamento e l"organizzazione amministrativa dello Stato e degli enti pubblici nazionali, ecc....., una competenza concorrente Stato-Regioni in materia di rapporti internazionali, tutela e sicurezza del lavoro, istruzione, professioni, ecc....dove lo Stato determina i principi fondamentali e la Regione norma il dettaglio stanti i principi fondamentali dati.

Numerose osservazioni sono sorte sulla determinazione di cosa debba intendersi per principio fondamentale e norma di dettaglio nelle singole applicazioni della potestà legislativa concorrente.

Tale decisione viene nella maggior parte dei casi rimessa alla Corte Costituzionale.

Infine la competenza residuale delle Regioni nelle materie non espressamente definite quali esclusive dello Stato o concorrenti Stato-Regioni.

Relativamente ai servizi pubblici locali non vi sono normative specifiche se non all"art. 113 del

D.Lgs 267/2000 (TUEL) al quale, solo con la legge 326/2003 di conversione del D.L. 269/2003, è stato possibile apportare modifiche nel senso di consentire l"affidamento diretto di servizi pubblici locali alle condizioni già individuate dalla Corte di Giustizia della Comunità Europea con la sentenza Teckal, di seguito analizzata.

A livello normativo si annovera inoltre il codice dei contratti pubblici -D.Lgs 163/2006 - ed il regolamento della costituzione di società miste in materia di servizi pubblici degli enti territoriali – D.P.R. 533/1996- precursore del TUEL e nel quale viene prevista la possibilità che il Comune non sia necessariamente detentore del titolo di maggioranza.

Per servizio pubblico locale si intende quell"insieme di attività caratterizzate dal perseguimento di scopi sociali, finalizzate allo sviluppo della società civile e selezionate sulla base di criteri oggettivi - risorse economiche disponibili, ambiti d"intervento e scelte di carattere politico- e soggettivi – riconduzione più o meno diretta ad una figura di rilievo pubblico come da sentenza della Corte di Giustizia della Comunità Europea, sez. I, 13.102005 n. C-458/03 Parking-Brixen.

L"art. 113 del D.Lgs. 267/2000 disciplina e differenzia i servizi pubblici locali in base alla loro rilevanza economica .

I servizi privi di rilevanza economica erano regolati dall"art 113 BIS del TUEL annullato dalla Corte Costituzionale con la sentenza 272/2004 a seguito ricorso della Regione Toscana per tratti incostituzionali.

L"assenza di rilevanza economica è data dalla mancanza del mercato concorrenziale, dei fini di lucro e alla possibile presenza di un finanziamento pubblico.

I servizi pubblici locali senza rilevanza economica, sempre su disposizione della Corte Costituzionale sentenza n.272/2004, sono di competenza residuale regionale, poiché non espressamente menzionati nella esclusiva o nella concorrente

Mentre i servizi a rilevanza economica, a differenza di quelli privi, sono da intendersi relativi ad ambiti in cui esistono un mercato concorrenziale, un"attività a fini di lucro e un rischio d"impresa.

Il già citato art. 113 del TUEL non definisce esplicitamente quali debbano intendersi servizi pubblici a rilevanza economica, ma si limita ad elencarne taluni il cui carattere a fini di lucro, in mercato concorrenziale e con rischio d"impresa sono palesi, ovvero il gas – D.Lgs 164/2000 c.d. Decreto Letta-, l"energia elettrica – D.Lgs 79/1999 c.d. Decreto Bersani- e il trasporto pubblico locale – D.Lgs 422/ 1997.

I servizi pubblici locali aventi rilevanza economica sono di competenza esclusiva statale in quanto correlati alla tutela della concorrenza definita materia/funzione di carattere trasversale alle diverse potestà legislative, dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 272/2004.

La gestione dei servizi pubblici locali aventi rilevanza economica è affidata alla disciplina generale (D.Lgs 267/2000) e alle discipline specifiche di settore (es. L.R. Lombardia 26/2003) alla base delle quali vi è il principio di scorporo tra proprietario e gestore delle reti stesse.

Il regime giuridico delle reti prevede infatti che la proprietà sia in capo all"Ente Locale o a società a partecipazione pubblica incedibile ( a garanzia dell"esistenza e della continuità del servizio); mentre la gestione venga esercitata da parte di soggetti erogatori di servizi che abbiano possibilità d"accesso alla rete stessa ( esempio Telecom ed altri gestori).

È prevista inoltre la possibilità di un unico soggetto proprietario e gestore della rete, purché questi sia un"unica società a totale partecipazione pubblica incedibile.

La gestione di servizio da parte di soggetto differente da proprietario prevede l"affidamento del servizio stesso.

Le modalità d"affidamento del servizio pubblico locale sono disciplinate dall"art. 113 c. 5 D.Lgs 267/2000 (TUEL) il quale ne identifica tre tipi:

1) affidamento a società individuate attraverso gare con procedure ad evidenza pubblica;

2) affidamento a società a capitale misto pubblico/privato ove il socio privato viene scelto tramite procedure ad evidenza pubblica.

3) affidamento a società a capitale interamente pubblico a condizione che l"ente o gl enti pubblici titolari del capitale sociale esercitino sulla società un "controllo analogo" a quello esercitato sui propri servizi e che la società realizzi la parte più importante della propria attività con l"ente o gli enti pubblici che la controllano (c.d. "in house providing").

La dottrina e la giurisprudenza qualificano l" in house non come una concessione di servizi in senso formale, ma come una modalità ulteriore di affidamento che della concessione conserva, tuttavia gli elementi sostanziali ( sostituzione del concessionario al concedente e conseguente trasferimento della titolarità dell"esazione delle entrate derivanti dal servizio, assenza del pagamento di una prestazione da parte del concedente, trasferimento del vincolo del pareggio economico al concessionario)

Malgrado segnali di allarme lanciati da autorevoli osservatori del panorama degli enti locali, la giurisprudenza, sia nazionale che comunitaria, si sta muovendo su una linea di sostanziale continuità con la celebre sentenza c.d. Teckal del 1999, madre dell" "in house".

La giurisprudenza, semmai, si è concentrata nel sottolineare la necessità di un rigoroso e puntuale rispetto di quelli che possono considerarsi i tre requisiti fondamentali per gli affidamenti in house, indicati dalla stessa sentenza Teckal e poi recepiti dal nuovo testo dell"art. 113 comma 5 lettera C del D.Lgs. 267/2000:

1. Il capitale della società cui affidare il servizio deve essere totalmente pubblico,

2. Il controllo esercitato dall"ente partecipante ed affidante il servizio sulla società deve essere analogo a quello esercitato sui propri servizi,

3. L"attività esercitata dalla società deve essere realizzata, in misura prevalente, con l"ente o il gruppo di enti che la controllano.

Per quanto concerne il punto 1., con la sentenza CGCE Stadt-Halle si è definitivamente stabilito che la partecipazione anche minoritaria di un"impresa privata al capitale di una società alla quale partecipi anche l"amministrazione aggiudicataria esclude in ogni caso che tale amministrazione possa esercitare sulla detta società un controllo analogo a quello che essa esercita sui propri servizi.

Per quanto concerne il punto 2., con la sentenza della Corte di Giustizia della Comunità Europea nota come Parking Brixen, si è sostenuto che per dichiarare sussistente il requisito del controllo analogo non è sufficiente il controllo assolutamente maggioritario esercitato mediante il possesso delle quote dall"ente affidante, ma occorre un esercizio di fatto di tale controllo. Facile è desumere le difficoltà per l"ente pubblico di controllare una società esterna nello stesso modo in cui controlla i propri servizi, si pensi anche solo ad esempio all"approvazione del bilancio.

La giurisprudenza nazionale ha tentato di definire dei punti fermi dai quali decretare l"esistenza o meno di un controllo analogo.

A tal proposito la pronuncia del TAR Friuli Venezia Giulia n. 986 / 2005 ha riconosciuto come idoneo a garantire un controllo gestionale dell"ente / socio sulla società l"istituzione di una Commissione di verifica degli obiettivi formata da rappresentanti degli enti soci volta ad analizzare anche efficacia, efficienza ed economicità della gestione con conseguente relazione all"assemblea degli azionisti.

Si cita inoltre la sentenza del TAR Campania – Napoli, sez. I , 30 marzo 2005, n. 2784 la quale aveva ritenuto che per potersi parlare di controllo analogo si dovesse essere in presenza di un penetrante controllo economico e gestionale dell"ente locale in grado di esercitare la più totale ingerenza e controllo sulla gestione della società, incluso l"andamento economico-finanzario, analogamente a quanto avrebbe potuto fare con un servizio gestito direttamente.

Un corretto approccio al concetto di controllo analogo ci suggerisce di pensare ad un "controllo analogo ", ma non identico a quello da attuare negli uffici dell"ente.

Questo significa che se da un lato, viene esercitato un controllo intenso e penetrante, dall"altro è opportuno che venga lasciato uno spazio alla natura peculiare dello strumento societario.

Per quanto concerne il punto 3, dato il requisito che la società deve svolgere l"attività più importante a favore dell"ente pubblico che la controlla, la CGE con sentenza 340/04 del 11.05.2006 c.d. "Carbotermo" ha invece stabilito che l"attività non deve solo essere la più importante, ma deve essere esclusiva, restringendo così ulteriormente l"attività che la società può svolgere, al più di evitare una concorrenza sleale sul mercato.

Ecco quindi che riconosciuta la possibilità di effettuare, in presenza dei requisiti predetti, tali affidamenti, ci si è maggiormente concentrati, anche in dottrina, sulla riflessione e sull"elaborazione in merito ad efficaci sistemi di governance delle società partecipate che consentano di rispettare i parametri normativi e di realizzare una gestione dei servizi pubblici locali davvero efficiente.

Le competenze in materia di servizi pubblici locali sono distribuite tra i vari organi secondo due canoni fondamentali: da una parte, il principio della distinzione di competenze tra sfera politica e sfera burocratica, dall"altra, il principio della c.d. "impenetrabilità delle competenze" fra organi rappresentativi ed organi esecutivi.

Questa distinzione è perfettamente coerente con la distinzione rigorosa tra organi di gestione ed organi di controllo in ambito societario, resa ancora più rigorosa dalla recente modifica al diritto societario.

In conclusione l" "in house", così come costruito dalla giurisprudenza comunitaria, sembra rappresentare, più che un modello di organizzazione dell"amministrazione, un"eccezione alle regole generali del dritto comunitario, le quali richiedono la previa gara.

Deve escludersi, in via generale, la riconducibilità del modello organizzativo della società mista a quello dell" "in house providing".

Ad atteggiamenti di totale chiusura nei confronti della possibilità di affidare direttamente a società miste la gestione dei servizi – che postulerebbero, invece, l"esperimento di una specifica gara, diversa e successiva rispetto a quella necessaria all"individuazione del socio privato di minoranza – fa da contraltare la tesi sostenuta da una parte della dottrina e della giurisprudenza, secondo cui la società mista a prevalente partecipazione pubblica può essere sempre affidataria dei servizi, alla sola condizione che la scelta del contraente privato sia avvenuta mediante trasparenti procedure selettive.

L"adunanza plenaria ritiene che, allo stato attuale ed in mancanza di indicazioni precise da parte della normativa e della giurisprudenza comunitaria, non sia elaborabile una soluzione univoca o un modello definitivo.

Si corre il rischio di dar luogo a interpretazioni "praeter legem", che potrebbero non trovare l"avallo della Corte di Giustizia.




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