Nello sfogliare, la seconda edizione delle Conferenze brasiliane di Franco Basaglia (a cura di Franca Ongaro Basaglia e di Maria Grazia Giannichedda) è possibile trarre alcuni utili spunti, per svolgere alcune riflessioni, in relazione alla quotidianità dell’amministrazione di sostegno, creatura giuridica che presenta molteplici comunanze genetiche con l’universo della Salute Mentale.
La Legge n. 180/1978 aboliva la concezione manicomiale nell’approccio alla malattia mentale, delineando determinate ipotesi di compressione della libertà personale del sofferente psichiatrico, non per ragioni securitarie, ma sanitarie.
L’amministrazione di sostegno, come misura di protezione adattabile alle esigenze della persona, ove necessario, implica, in capo all’amministrato, alcune specifiche limitazioni di sovranità sulle proprie situazioni giuridiche soggettive.
Alla conferenza di Rio de Janeiro del 29 giugno 1979, Basaglia sottolineava: “Se si entra in un manicomio di qualsiasi parte del mondo, l’internato domanda sempre al medico «dottore, quando torno a casa?» . E il medico risponde sempre «domani». Un domani che non significa nulla, un domani che sarà sempre un oggi di internamento eterno […] Perciò quando il malato chiede quando andrà a casa, il medico sarà obbligato a iniziare un dialogo con lui, e in questo dialogo cessano di esistere oggetto e soggetto, ci sono due persone che diventano due soggetti. Se non accettiamo questa logica della contraddizione nella relazione fra due persone, penso che dovremmo andare a vendere le banane anziché fare i medici”.
Si tratta di un esempio con conserva la sua attualità, certo, non esistono più i manicomi, la residenzialità psichiatrica è certamente diversa, ma presenta, inevitabilmente, questioni che meritano di essere affrontate col dovuto equilibrio, tenendo conto dei beni della vita in gioco, senza esercizi utopistici di natura antipsichiatrica.
Ora, proviamo a tradurre, adeguatamente, il suddetto insegnamento basagliano nell’amministrazione di sostegno: non è peregrina l’ipotesi che una persona ospite in una R.S.A. ovvero in una residenza psichiatrica per disabili adulti, possa chiedere al proprio A.d.S.: “quando torno a casa?”, oppure esternare: “voglio tornare a casa!”. Orbene, un buon amministratore di sostegno mai risponderà al proprio amministrato con un commiseratori e sbrigativi: “domani”, “poi vediamo”, insomma, tutte quelle risposte liquidatorie che, da un lato, sono suscettibili di generare inutili illusioni nel beneficiario, e dall’altro lato, costituiscono un’ inopportuna applicazione del principio generale di cui all’art. 410, Co 1° del Codice Civile.
Vero che l’amministratore di sostegno è vincolato solo al dettato legislativo ed alle disposizioni del decreto di nomina ex art. 405 Cod. Civ., vero che l’amministrato non ha un potere di paralizzare tout court l’azione dell’A.d.S., senza adire il giudice tutelare, però una corretta applicazione della norma inerente ai doveri dell’amministratore impone, in capo quest’ultimo, di “tener conto” dei bisogni e delle aspirazioni del beneficiario. Quindi, nello svolgimento dei propri compiti, l’amministratore di sostegno non può astenersi surrettiziamente dal rappresentare, al beneficiario, le scelte fatte e gli orientamenti intrapresi, che mai devono essere intangibili ed immutabili.
Qualora venisse esternata, da parte dell’amministrato, la volontà di “tornare a casa” e l’A.d.S. non possa assecondare tali desideri, non può adoperare, nel dialogo col beneficiario, scorciatoie dialettiche o dilatorie. Appare più opportuno dare una motivazione spiacevole, ma veritiera, per esempio: quando non ci sia più la disponibilità dell’immobile, quando sia sopravvenuta l’avvenuta disgregazione della rete familiare, ovvero quando sia emersa la manifesta indisponibilità, da parte dei parenti, nel farsi carico del proprio congiunto fragile; ovviamente, sarà sempre l’amministratore di sostegno a calibrare le parole nel dialogo.
La “logica della contraddizione nella relazione” può essere adottata nell’amministrazione di sostegno, che è una misura di protezione che non subordina la presenza dell’A.d.S. al solo gradimento da parte dell’amministrato.
Anche in capo agli amministrati, in quanto persone portatrici di fragilità, sono ascrivibili dei doveri: per costruire spazi di relazionalità, devono esistere, per entrambi i soggetti del dialogo, momenti di vincolatività.