(...) "Dai diritti individuali alle istituzioni politiche
Dalla seconda metà degli anni Ottanta è andata sempre più allargandosi la platea dei diritti costituzionali sulla base, come accennavo, di una interpretazione “aperta”, non meramente riassuntiva, dell’art. 2 della Costituzione, in cui si afferma che “La Repubblica riconosce e garantisce la tutela dei diritti inviolabili dell’uomo” (dopo iniziali rifiuti, per esempio la sentenza n. 98 del 1979, la piena accettazione con la menzionata sentenza n. 561 del 1987).
Del resto, negli stessi anni anche in altri ordinamenti si affermavano interpretazioni non testualmente sillogistiche, destinate a mettere l’accento sui “principi”, espressivi (più ancora delle “regole”) di valori legati alla base materiale pluralista della società. Ma quel giacimento, non ancora esaurito, ed anzi ancora ampiamente utilizzato dalla Corte costituzionale e soprattutto da tanti giudici ordinari, ci mette oggi di fronte ad un ulteriore traguardo: rendere attiva anche la seconda parte dell’art. 3, ovverosia il compito assegnato alla Repubblica di “rimuovere gli ostacoli che limitano di fatto la libertà e l’eguaglianza e impediscono il pieno sviluppo della persona”.
La formula intendeva riferirsi sia alle strozzature che impediscono il godimento di importanti diritti, pur legati alla tradizione liberale (oggi si potrebbe dirlo per le libertà dell’informazione travolte dalla diffusione dei social e dall’incidenza delle piattaforme), sia ai “diritti sociali” e alle intollerabili ineguaglianze cui essi dovrebbero porre rimedio.
Tuttavia, la cultura giuridica e politica prevalente preferisce concentrare l’attenzione sulla “massimizzazione dei diritti”, facendo della Costituzione solo un “insieme crescente di pretese” individuali. Non è difficile capirne le ragioni. I diritti civili (vecchi e nuovi) richiedono, una mera astensione del potere pubblico rispetto a dinamiche più o meno presenti nella società civile, mentre i secondi richiedono, in positivo, complesse risorse organizzative e finanziarie; e soprattutto coraggio politico nell’affrontare interessi consolidati.
L’esperienza svolta come Giudice della Corte costituzionale mi conferma una convinzione da tempo maturata: “rimuovere ostacoli di carattere economico e sociale” è compito pressoché impossibile da perseguire anche attraverso la più avanzata e ardita attività giurisdizionale.
L’utilizzazione in chiave giurisdizionale del secondo comma dell’art. 3 della Costituzione era stato alla base dei primi percorsi della dottrina dell’“uso alternativo del diritto” (inizialmente abbracciata da “Magistratura Democratica”) ma si è presto scontrata con la “dura realtà degli enunciati normativi” (immediatamente e lucidamente richiamata da Nicolò Lipari - mi piace ricordarlo con commozione a pochi giorni dalla sua scomparsa - in L’uso alternativo del diritto, a cura di Pietro Barcellona, Laterza 1973, p.43).
Lo sottolineo: al superamento delle più intollerabili diseguaglianze deve in primo luogo provvedere il “potere politico”; istituzioni politiche robuste, in grado di “decidere”; di progettare il futuro e non solo amministrare il presente; un potere politico che agisca secondo scelte democraticamente espresse, ma che abbia capacità, autorevolezza e durata (...)".
Estratto della relazione del Presidente della Corte Costituzionale Augusto Barbera al meeting di Rimini 2024
Fonte: Cortecostituzionale .it