Diritto, procedura, esecuzione penale  -  Redazione P&D  -  07/09/2021

Interpretariato e Traduzione Linguistica nel Giusto Processo - Mario Pavone

Premessa

La figura professionale dell’interprete forense in Italia, le motivazioni della sua presenza nell’ambito di un procedimento penale, le leggi che regolamentano la sua nomina e le modalità di svolgimento dell’ufficio ed infine la peculiarità del suo ruolo sono divenute essenziali a causa dell’accresciuta presenza degli stranieri che devono affrontare un giudizio penale in Italia. 

Considerando il contributo fondamentale e altamente specializzato richiesto all’interprete nell’economia del processo bilingue, è lecito chiedersi se e in quale misura possa essere accostato a due figure altrettanto specializzate che, laddove necessario, entrano a far parte del medesimo procedimento giudiziario: il consulente tecnico e il perito. 

Nell’ambito del procedimento penale italiano, l’autorità procedente nomina un interprete, ai sensi dell’art. 111  della Costituzione Italiana e degli artt. 143 – 147 del Codice di procedura penale, qualora le parti coinvolte non conoscano la lingua ufficiale del processo (che, in base all’art. 109 c.p.p., è l’italiano), o qualora non la conoscano a sufficienza per affrontare adeguatamente la dinamica processuale. 

Tale nomina è motivata dalla necessità di garantire all’imputato che non capisce e/o non parla l’italiano il diritto di comprendere le accuse contro di lui formulate e capire il procedimento al quale partecipa, nel rispetto del principio costituzionale dell’uguaglianza di ogni individuo davanti alla legge, in virtù del quale nessuno può essere discriminato su basi linguistiche o culturali. 

Scopo ultimo di questa tutela linguistica, che è gratuita, è quello di far sì che l’imputato sia presente, vale a dire parte attiva del procedimento al quale partecipa e la cui piena comprensione è presupposto fondamentale per l’esercizio di una difesa consapevole, conditio sine qua non per lo svolgimento di un giusto processo. 

Il diritto all’interprete nell’ambito di un processo penale costituisce quindi una condizione indispensabile per porre in essere un diritto fondamentale dell’imputato, quello alla difesa e alla «parità fra le parti». 

L'esigenza di attivare l’utilizzazione di una figura specializzata in ambito forense nasce dal fatto che l'attuale panoramica è fatta di interpreti occasionali ossia scelti di volta in volta tra i connazionali degli imputati che conoscono la lingua (se la conoscono!)e possono tradurre nel corso dell’udienza quello che il giudice, gli avvocati o il Pm affermano. 

L’esperienza quotidiana delle Aule di giustizia insegna che questi "interpreti" occasionali, nella maggior parte dei casi,non hanno idea di cosa sia un processo penale e non s'intendono di diritto o di procedura penale ed in conseguenza hanno enormi difficoltà a tradurre e far comprendere alle Parti i contenuti tecnici delle varie attività processuali. 

Di qui la esigenza di formare una figura specifica di interprete e traduttore forense che acquisisca i necessari elementi di conoscenza delle norme procedurali oltre alla conoscenza dei principali reati e della disciplina normativa della immigrazione per poter svolgere efficacemente la propria attività.

La pratica dell’interpretariato e traduzione giuridica deve,quindi,sottrarsi al dominio dei traduttori  occasionali per divenire competenza degli specialisti della materia,degli stessi giuristi o degli informatici. 

In particolare, nel campo della traduzione giuridica, sempre più complesse esigenze in campo legale ed economico richiedono la formazione di una figura professionale altamente specializzata, in grado di far fronte alle richieste del mercato, quale nuovo ambiente lavorativo privo delle tradizionali frontiere territoriali o culturali. 

La necessità di preparare i traduttori ad operare in questo spazio ha indotto alcuni gruppi di lavoro ad elaborare innovative procedure d'insegnamento, in grado di armonizzare la tecnica della traduzione con le diverse discipline del settore giuridico. 

L'utilità dello strumento informatico, in particolare di internet, evidenzia inoltre che i punti di incontro tra informatica e traduzione sono divenuti sempre più frequenti e determinanti, consentendo al professionista di avere accesso a strumenti dedicati e di impiegare sistemi integrati, quali editor, banche dati, memorie interattive, volti ad ottimizzare l'utilizzo del tempo di lavoro e a subordinare la tecnica a determinate strategie traduttive. 

Indipendentemente dai metodi di lavoro prescelti dai singoli, le esigenze dei traduttori sono essenzialmente identiche: acquisire terminologia pertinente (dizionari, glossari, banche dati terminologiche, ecc.) e documenti di riferimento (carta, archivi elettronici, testi allineati); procedere al riutilizzo di precedenti traduzioni (copia/incolla da altre applicazioni, archivi elettronici, memorie di traduzione, ecc.); beneficiare del pre-trattamento dei testi di cui si occupano altri traduttori, agenzie di traduzione o studi legali. 

La sfida può apparire insormontabile, se si pensa che la traduzione è di per sé una professione complessa e che la traduzione giuridica, in particolare, richiede competenze polivalenti, la cui acquisizione appare lunga e difficile.

In definitiva occorre avviare una formazione post-laurea che si rivolga sia ai traduttori sia ai giuristi, con l'obiettivo di fornire una buona padronanza delle problematiche giuridiche e linguistiche a qualsiasi livello. 

Il presupposto di tale formazione è il riconoscimento della complementarità dei saperi giuridici e delle abilità linguistico - traduttive, che si realizza nello sforzo di conciliazione dei momenti di ricerca, di documentazione e di prassi. 

L’intervento della UE 

L’Unione Europea ha da tempo avviato una campagna di sensibilizzazione dei Paesi Europei per estendere le garanzie previste dalle norme emanate ai procedimenti penali che vedano parte gli stranieri sulla base alla acquisizione della piena conoscenza degli atti processuali e tale necessità deriva proprio dai nuovi flussi Migratori n Europa di cittadini ,provenienti da varie parti del Mondo, e al consistente aumento dei reati ad opera dei cittadini neo-residenti ovvero delle Vittime degli i stessi reati a vario titolo.

Per comprendere la portata dell’’intervento legislativo europeo sul tema non si può prescindere dalle garanzie riconosciute e contemplate dagli artt. 5, par. 2 e 6, par. 3, lett. a) CEDU. 

La prima norma richiamata accorda al soggetto ristretto il diritto ad essere informato al più presto e in una lingua che comprende dei motivi dell’arresto e di ogni accusa formulata a suo carico. L’art. 6, par. 3 lett. a) CEDU attribuisce, inoltre, all’indagato il diritto ad essere informato nel più breve tempo possibile, in una lingua a lui comprensibile, della natura e dell’accusa elevata a suo carico. 

Inoltre,l’art. 14 proibisce le discriminazioni basate su diverse ragioni, tra le quali la lingua.

La stessa esistenza di questi principi sanciti dalla Convenzione Europea impone ai Governi di assicurare un’assistenza linguistica sia all’imputato che alla Vittima di Reato come diritto umano fondamentale.

Tale assistenza,considerata un meta-diritto per garantire la capacità processuale all’imputato, va estesa a tutto il procedimento e deve trovare applicazione a tutti gli atti connessi al processo a cui partecipa lo stesso imputato ovvero la parte offesa per un’efficace comprensione degli atti processuali posti in essere dall’Autorità Giudiziaria.

Una comprensione chiara e precisa degli atti del procedimento e sul contenuto dell’accusa  trova anche riscontro nell’ambito della cooperazione giudiziaria europea, nata per rafforzare la fiducia reciproca tra gli Stati membri e per facilitare il mutuo riconoscimento delle decisioni giudiziarie dei diversi ordinamenti giuridici nazionali.

In questo contesto vanno annoverate le Direttive 2010/64/UE del 20 ottobre 2010 sul diritto all’interpretazione e alla traduzione degli atti nei procedimenti penali e La Direttiva 2012/13/UE del 22 maggio 2012 sul diritto all’informazione dell’addebito penale.

Mentre nel primo caso la Direttiva assicura un’assistenza linguistica adeguata e gratuita a tutti coloro che non parlano o non comprendono la lingua del procedimento nel quale sono indagati o imputati, nel secondo caso, l’intervento europeo è diretto a fornire la conoscenza all’imputato degli estremi dell’addebito, l’informazione sulle prerogative processuali e l’accesso al materiale probatorio raccolto dal pubblico ministero nel corso delle indagini preliminari. 

Ma l’intervento legislativo dell’Europa in materia di cooperazione giudiziaria si estende anche alle Vittime di Reato per quanto si dirà infra.

Se, infatti, per un verso la conoscenza sull’accusa e la comprensione delle vie di tutela offerte dall’ordinamento sono strumentali ad un corretto e pieno esercizio del diritto di difesa dell’indagato o dell’imputato, per altri versi, le stesse garanzie vanno assicurate anche per la persona offesa che ha subito un pregiudizio dalla commissione del reato. 

In questo modo, con la Direttiva 2012/29/UE il diritto della vittima alla comprensione assume la fisionomia precisa di un diritto funzionale all’esercizio degli altri diritti  riconosciuti utili anche per il ristoro dei danni.

La Direttiva,di recente emanata,fa proprio l’importante principio della Convenzione Europea stabilito all’art.6,par.1, in base al quale “ogni persona ha diritto ad un’equa e pubblica udienza entro un termine ragionevole davanti ad un tribunale indipendente e imparziale,istituito per legge”.

Inoltre,la Corte Europea di Strasburgo, nell’interpretare la norma,ha stabilito che il diritto al risarcimento a carico dello Stato costituisce esso stesso un diritto civile soggettivo e,quindi,ogni istanza connessa deve essere sottoposta ai principi dell’art.6 CEDU (v. sentenza del 27/5/1997 Rolf Gustafson c/ Svezia)

Da ultimo la Corte Costituzionale, con una recentissima sentenza (n.88/2018) ha stabilito che la domanda di equa riparazione può essere proposta anche in pendenza di un procedimento penale ad esso presupposto.

Con il Trattato sull’Unione Europea, l’UE si è impegnata a rispettare i diritti fondamentali dell’uomo quali quelli garantiti dalla Convenzione Europea e dalle tradizioni costituzionali comuni degli Stati membri, in quanto principi generali del diritto comunitario (art. F, para grafo 2).

Tuttavia,già dal 1977 il Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa approvò una Risoluzione (77/27) sul “risarcimento delle vittime dei crimini” che costituiva una disciplina di diritto convenzionale finalizzata all’impegno degli Stati aderenti ad introdurre ed a sviluppare regimi di risarcimento in favore delle vittime da parte dello Stato sul cui territorio siano stati commessi reati violenti, segnatamente per i casi in cui l’autore del reato fosse ignoto o privo di mezzi, precisando anche i livelli minimi per la tutela efficace delle vittime.

A tale risoluzione fece seguito la “Convenzione europea relativa al risarcimento delle vittime di reati violenti”, resa a Strasburgo il 24 novembre 1983, mai ratificata dall’Italia,che venne recepita da molti Paesi dell’area europea.

In particolare, la Convenzione,entrata in vigore il 1 Febbraio 1988, stabiliva un obbligo risarcitorio a carico degli Stati di carattere sussidiario,essendo l’intervento statale limitato ai casi in cui non risultasse possibile l’escussione del colpevole, perché ignoto od incapiente.

Merita,in particolare, di essere sottolineato,sull’argomento che ci occupa,che sin d’allora,la Commissione auspicava la creazione di una linea telefonica di emergenza, o di una rete di linee di emergenza, che per unire i diversi servizi di assistenza per le vittime,disponibile in tutte le lingue europee, disposizione che non ha avuto alcuna attuazione in Italia.

la legislazione italiana 

Il Legislatore Italiano, nel recepire la Direttiva del 2004/80/CE con il D. Lvo. n. 204 del 2007 aveva stabilito che  allorché nel territorio di uno Stato membro dell'Unione europea sia stato commesso un reato che dà titolo a forme di indennizzo previste in quel medesimo Stato e il richiedente l'indennizzo sia stabilmente residente in Italia, la Procura Generale della Repubblica presso la Corte d'appello del luogo in cui risiede il richiedente, quale autorità di assistenza: 

a) dà al richiedente le informazioni essenziali relative al sistema di indennizzo previsto dallo Stato membro dell'Unione europea in cui è stato commesso il reato; 

b) fornisce al richiedente i moduli per presentare la domanda; 

c) a richiesta del richiedente, gli fornisce orientamento e informazioni generali sulle modalità di compilazione della domanda e sulla documentazione eventualmente richiesta; 

d) riceve le domande di indennizzo e provvede a trasmetterle senza ritardo, insieme alla relativa documentazione, alla competente autorità di decisione dello Stato membro dell'Unione europea in cui è stato commesso il reato; 

e) fornisce assistenza al richiedente sulle modalità per soddisfare le richieste di informazioni supplementari da parte dell'autorità di decisione dello Stato membro dell'Unione europea in cui è stato commesso il reato; 

f) a richiesta del richiedente, provvede a trasmettere all'autorità di decisione le informazioni supplementari e l'eventuale documentazione accessoria.

Appare evidente che anche tale normativa imponeva un cambio di rotta nei confronti della traduzione linguistica anche avvalendosi  di un interprete e traduttore a tale scopo attraverso il ricorso all’art.143 c.p.p. .

Ciò non di meno, nell’ottica di una rinnovata disciplina sul diritto all’interprete, il ribadito carattere della gratuità dell’interprete a disposizione dell’imputato elemento ulteriore diretto ad assicurare l’effettività della tutela alla comprensione del processo a carico dell’imputato ovvero della parte offesa alloglotta – ha segnato su tale delicato argomento una svolta importante perché evita la violazione del principio di uguaglianza costituzionalmente sancito dall’art. 3 tra la persona sottoposta a procedimento penale che non comprende la lingua italiana e colui che invece parla la lingua utilizzata nel processo.

La tutela prevista dall’art. 143 c.p.p. trova riscontro in tutte le fasi del procedimento potendo lo stesso diritto all’interprete essere utilizzato, non solo nei confronti dell’indagato ma anche per i condannati sottoposti all’esecuzione o al procedimento di sorveglianza.

In tale prospettiva,secondo la Corte Costituzionale,inoltre,l’art. 143 c.p.p. rappresenta lo strumento del diritto di difesa dell’imputato attraverso l’effettiva comprensione dei distinti atti e dei singoli momenti di svolgimento del processo.

Al tempo stesso, la norma richiamata pone il nuovo sistema processuale penale in sintonia con i principi contenuti nelle Convenzioni Internazionali ratificate dall’Italia in materia di diritti della persona (vedi Corte Cost Sent n.10/1993).

Non va trascurata, sul punto, la successiva Direttiva europea n. 64 del 2010,che ha introdotto l’obbligo dell’interpretariato e della traduzione degli atti, e che è stata recepita in Italia con il d.lgs., 4 marzo 2014, n. 32.

Lle modifiche legislative apportate al codice di rito hanno trovato un forte riscontro nel sistema processuale penale italiano se si considera l’elevata percentuale di procedimenti penali instaurati a carico di soggetti alloglotti in crescente numero. 

È di tutta evidenza, infatti, che la mancata comprensione dell’accusa non può consentire alle parti un adeguato esercizio del diritto di difesa.

Le principali modifiche legislative introdotte hanno, così finito con l’interessare gli artt. 143 e 104 c.p.p. che disciplinano, rispettivamente, il diritto all’interprete e alla traduzione degli atti fondamentali e il diritto all’assistenza gratuita dell’interprete per conferire con il difensore in caso di restrizione  della libertà personale.

Ad un’attenta analisi, già la rubrica dell’art. 143 c.p.p. ha segnato un’inversione di tendenza dell’istituto richiamato: si è passati, infatti, dalla vecchia “nomina dell’interprete” ad un vero e proprio “diritto all’interprete” per l’imputato, di modo che lo stesso possa comprendere l’accusa formulata nei suoi confronti e seguire il compimento dei singoli atti nonché lo svolgimento delle udienze a cui partecipa.

Tuttavia,il Legislatore non si è mai adeguato pienamente alla Direttiva 64/2010 come del resto, già lo si è visto, non ha mai ratificato la Convenzione del 24 novembre 1983 del Consiglio d’Europa senza rivolgere una particolare attenzione alle Vittime straniere alloglotte.

Altrettanto disattesa,al fine di meglio articolare sul territorio nazionale un’efficace tutela della Vittime,risultava la mancata realizzazione,prevista sin dalla Convenzione del 1983,innanzi richiamata,presso ogni Ufficio Territoriale del Governo, di uno Sportello per le vittime di reati al fine di fornire adeguata assistenza e informazione alle Vittime anche in lingua. 

Per sopperire alle ripetute carenze di tutela delle Vittime di origine straniera,la UE ha emanato la Direttiva del 22 maggio 2012/13/UE che impone agli Stati membri specifiche modifiche legislative relative al diritto all’informazione del procedimento penale sia per l’imputato che per la parte offesa.. 

Tale obiettivo, secondo le indicazioni del provvedimento comunitario si raggiunge attraverso tre diverse accezioni: 

il diritto a conoscere gli estremi dell’addebito, 

il diritto all’informazione su prerogative processuali e, da ultimo, 

il diritto all’accesso al materiale probatorio raccolto dal pubblico ministero.

Diritti della Vittima straniera allogotta 

Da quanto innanzi esposto, emerge chiaramente il diritto alla comprensione degli atti giudiziari che non va letto solo come garanzia per l’imputato ma anche come tutela della vittima del reato che  e deve essere messa nella condizione di capire ciò che accade nel processo e di farsi capire nell’esercizio di ogni diritto ad essa assicurato.

Seppur in estremo ritardo rispetto alla Direttiva 2012/29/UE,che sancisce il diritto all’assistenza linguistica ed alla gratuità della prestazione per le vittime di reato, Il Legislatore ha emenato D.lgs. n. 212/2015, che rappresenta un vero e proprio “Statuto dei diritti della vittima”, con il  qualklke si è inteso  porre rimedio ad una situazione di “particolare arretratezza” nella messa a disposizione delle vittime alloglotte di un sistema di assistenza linguistica, che tutt’ora manca nelle Aule di Giustizia.

Il D.lgs. n. 212/2015 ha,quindi,introdotto, ex novo, gli artt. 90-bis e 143-bisc.p.p. che consentono alla vittima di essere informata dei propri diritti e poteri ed essere in grado di gestirli nel processo dopo la declaratoria di incostituzionalità dell’art.143 c.p.p. per la mancata estensione alle Vittime del diritto all’interprete traduttore,a seguito di un delicato caso trattato da chi scrrive che riguardava un’imputata straniera.  

Analogamente,in base alla introduzione dell’art.90-bis c.p.p., la persona offesa, sin dal suo primo contatto con l’Autorità Giudiziaria, ha diritto a ricevere in una lingua a lei comprensibile informazioni sulle modalità con le quali può presentare denuncia o querela e attraverso cui esercitare tutti i diritti e le facoltà che la Legge le riserva nel corso delle indagini e del processo. 

In base a tale principio,la persona offesa deve, inoltre, essere prontamente informata in ordine a tutta una serie di facoltà tra cui: ottenere informazioni sullo stato del procedimento, chiedere di essere avvisata per un’eventuale richiesta di archiviazione, essere resa edotta delle modalità attraverso le quali poter accedere al patrocinio a spese dello Stato e di poter beneficiare del diritto all’interprete e alla traduzione degli atti fondamentali del procedimento.

Le garanzie menzionate nell’art. 90-bis c.p.p. rappresentano, dunque, un importantissimo passo in avanti rispetto alla posizione della persona offesa nel processo penale. 

Al tempo stesso, però, la formulazione dell’art. 90-bis c.p.p. lascia permanere alcuni dubbi interpretativi. 

Risulta evidente che al fine di garantire al meglio il diritto della vittima alla comprensione delle vie di tutela ad essa assicurata è necessario che l’informazione sia resa in forma scritta per evitare che la stessa vittima si dimentichi o non comprenda gli avvertimenti ricevuti dall’A.G.. 

Alla forma scritta dovrà, poi, aggiungersi qualcos’altro. 

L’atto scritto ai sensi dell’art. 90-bis c.p.p. va tradotto in un idioma conosciuto dalla vittima straniera in forma chiara, «intellegibile anche per coloro che non hanno quotidiani contatti con la giustizia, sicché non è certo idonea a soddisfare la comprensione una comunicazione che consista unicamente nel richiamo di un coacervo di norme di legge». 

E ancora. 

Nell’informare la vittima, l’Autorità Giudiziaria competente deve tenere conto anche del livello di maturità  intellettuale della stessa perché solo in questo modo potrà realizzarsi l’effettiva conoscenza dei diritti alla stessa spettanti. 

In conseguenza, al fine di non aggravare gli adempimenti esecutivi dell’Autorità Giudiziaria sarebbe necessario predisporre un’integrazione delle informazioni di cui all’art. 90-bis c.p.p. parametrata «sulla base di un individual assessment delle necessità dell’offeso».

Ma vi è di più. 

Proprio nell’ottica di fornire alle vittime di reato una tutela immediata anche dal punto di vista linguistico, il legislatore ha introdotto l’art. 143-bis c.p.p. che prevede la nomina di un interprete anche per la vittima che non conosce la lingua italiana. 

Si tratta, in quest’ultimo caso, di una novità molto rilevante volta ad assicurare alla persona offesa un’importanza processuale al pari di quella rivestita dall’imputato come accaduto in passato. 

Nondimeno,merita di essere sottolineato, sul punto, che qualora si debba procedere all’esame della persona offesa, è l l’Autorità Giudiziaria competente che nomina un interprete, anche d’ufficio, con ciò stravolgendo l’obiettivo della Direttiva Europea rivolta, prima di tutto, a tutelare la persona offesa atteso che tale nomina,secondo l’art. 143-bis, comma 2 c.p.p., verrebbe effettuata a prescindere dalla richiesta e dalla volontà espressa della persona offesa.

Per altri versi, la potestà per l’Autorità giudiziaria di disporre della nomina dell’interprete sembrerebbe diretta a dimostrare che il Legislatore abbia avuto il fine di creare un meccanismo atto a rendere intellegibili e, soprattutto, affidabili, le affermazioni di un dichiarante spesso fondamentale per la risoluzione dellares judicanda» a prescindere dalla volontà della Vittima ma sempre allo scopo di poter esercitare il proprio diritto alla difesa in giudizio. .

Altri dubbi interpretativi deriverebbero dalla mancata previsione dell’impugnazione avverso la decisione che denega la stessa traduzione nonché la nomina dell’interprete per la persona offesa.

In questo modo,a differenza di quanto previsto dall’art. 7, par. 7 della Direttiva n. 29 del 2012, il Legislatore italiano avrebbe aggirato la previsione sul diritto all’impugnazione dei provvedimenti  in materia sul presupposto del fatto che l’art. 586 c.p.p. già impone l’impugnazione dell’ordinanza dibattimentale unitamente al gravame della sentenza.

d.La Riforma della Giustizia in itinere 

Una volta sancito il diritto dell’imputato ovvero della parte offesa alla traduzione linguistica,resta da stabilire quali sono i soggetti abilitati a svolgere questo delicato compito presso l’Autorità Giudiziaria.

Come innanzi ricordato e nonostante le Direttive Europee,il Legislatore non ha in alcun modo inteso disciplinare la figura dell’interprete e traduttore forense,entrambe figure diverse ma essenziali ad un corrett svolgimento del processo. 

L’attuale Riforma della Giustizia in itinere,anche in ossequio a quanto innanzi enunciato,assegna al Governo in questa direzione un compito essenziale in tema di tutela delle vittime alloglotte.

In particolare la Legge Delega, all’artt. 1 comma 18 lett d) invita il Governo aprevedere, in ogni caso, che le specifiche garanzie per l'accesso ai programmi di giustizia riparativa e per il loro svolgimento includano: la completa, tempestiva ed effettiva informazione della vittima del reato e dell'autore del reato, nonché, nel caso di minorenni, degli esercenti la responsabilità genitoriale, circa i servizi di giustizia riparativa disponibili; il diritto all'assistenza linguistica delle persone alloglotte; la rispondenza dei program mi di giustizia riparativa all'interesse della vittima del reato, dell'autore del reato e della comunità; la ritrattabilità del consenso in ogni momento; la confidenzialità delle dichiarazioni rese nel corso del programma di giustizia riparativa, salvo che vi sia il consenso delle parti o che la divulgazione sia indispensabile per evitare la commissione di imminenti o gravi reati e salvo che le dichiarazioni integrino di per sé reato, nonché la loro inutilizzabilità nel procedimento penale e in fase di esecuzione della pena.

Sempre su questo piano va sottolineato che anche la parte della Riforma che introduce la mediazione penale,da varie parti auspicata,come strumento di giustizia riparativa e di composizione dei conflitti,non potrà dunque non tenere conto della importanza di assicurare alle parti litiganti una efficacia assistenza linguistica proprio per evitare incomprensioni che ne impedirebbero la utilizzazione. 

Rimane,comunque, del tutto intonsa la questione degli Interpreti e traduttori forensi,da sempre al centro delle critiche nelle Aule di Giustizia per la rilevante incapacità di interpretare in udienza o tradurre il linguaggio giuridico in maniera intellegibile. 

Appare,quindi,necessario che la Riforma in via di approvazione si occupi di avviare specifici Corsi di Formazione linguistica giuridico forense per formare una nuova classe di Interpreti e Traduttori consci del compito delicato a loro assegnato dalle parti.  

L’obiettivo finale da perseguire deve essere quello di coniugare l’intervento del Legislatore italiano con la giurisprudenza e la Dottrina in materia e di superare, così, le rilevate criticità per adeguare l’Ordinamento italiano agli ambiziosi standard fissati dalle Direttive europee.

Solo in questo modo l’Italia potrà garantire anche al cittadino straniero,imputato o vittima che sia  il diritto ad un processo veramente “Giusto” attraverso il pieno ed effettivo riconoscimento del diritto di difesa costituzionalmente protetto.


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