Ecco, circa il rapporto fra padri (inadempienti) e figli (abbandonati), una vicenda che finirà per influire sensibilmente, all’inizio di questo secolo, sulle linee applicative in materia.
Siamo a Venezia, un ragazzo e una ragazza intorno ai vent’anni fanno conoscenza tra loro; si innamorano, dopo un po’ lei si ritrova incinta. Lui è subito dell’idea che lei debba rinunciare alla maternità: “Non sarei in grado di mantenere il bambino, tu sei povera; io devo studiare, un giorno semmai …”. Lei è di contrario avviso, i due si lasciano. Dopo nove mesi nasce una bambina, Margherita. La madre si mette a lavorare, fa la commessa, tirerà su la piccola come può; dopo un po’ incontra un altro uomo, più tardi lo sposa, avranno figli loro. Il nuovo uomo fa anche da padre a Margherita.
Intanto il padre vero è pressoché scomparso; si sa solo che studia. A un certo punto si laurea in economia, poi farà l’esame di Stato, diventa commercialista; pian piano si sistema. Poco dopo incontra lui pure un’altra donna; si sposa, nascono dei figli.
In tutti questi anni è successo a Margherita di incontrare occasionalmente, girando per Venezia, in Mercerie, verso Rialto, quel signore che le somiglia; capelli castano scuri, occhi verdi, stretti. Lui, di solito, la guarda da lontano per un attimo; prima quand’era a mano della sua mamma, adesso anche da sola.
Arriva il momento in cui la madre si decide a dirle la verità (“È lui il tuo vero padre, è andata così e così …”); e poco dopo, siccome le cose non vanno tanto bene, economicamente, col marito, e poiché la vita è fatta in questo modo, ecco la donna promuovere in Tribunale un’azione di dichiarazione di paternità. L’iniziativa ha successo, dopo un po’ giunge la sentenza: quello, sì, è il padre biologico. Per Margherita cambia poco tuttavia; nessun quattrino da quella parte, né un cenno di attenzione. Intanto la ragazza cresce ancora, è diventata bella, armoniosa; solo che nella vita non sono tutte rose e fiori: studi con alti e bassi, lavoretti precari, insicurezze varie. Ogni tanto per le calli di San Marco continua a incontrare quel signore (simile anche il modo di camminare, adesso): la guarda di sottecchi lui, gira subito la testa, fa finta di non conoscerla. Lei non ha il coraggio di affrontarlo.
Passano un paio d’anni ancora, succede che Margherita versi a un certo punto in difficoltà. Si sente sola, sua madre ha gli altri figli da seguire. Prende la decisione così di telefonare a quel padre-commercialista, ormai più che quarantenne: quello che vive in una bella casa, che fa una vita tanto più agiata della sua. Lui accetta per la prima volta di parlarle; e dopo un po’ ci sarà l’incontro in studio. Margherita emozionata, fiduciosa, è pomeriggio; non mancherà una specie di abbraccio: si mette a raccontare un po’ dei suoi problemi; non chiede troppo, solo qualche aiuto. Non soldi, non necessariamente; magari la possibilità di parlargli ogni tanto.
È il turno delle spiegazioni di lui; il tono è accorato e risoluto allo stesso tempo. “È vero, non mi sono comportato bene con te; non ti ho dato niente, nemmeno dopo la sentenza. È andata così, è stata comunque una scelta di tua madre, allora: io più di tanto non potevo fare. Poi ho incontrato un’altra donna, ho ormai una mia famiglia; io di qua, tua madre da un’altra parte, vite separate; così il destino ha voluto. Sei qui adesso, sono contento di averti conosciuta, oggi abbiamo parlato; è la prima e, direi fin d’ora, anche l’ultima volta però che ci incontriamo. Mi dispiace, mia moglie, è lei che vuole soprattutto così. Abbiamo dei bambini piccoli; preferiamo non sappiano, meglio che nessuno ci veda insieme, padre e figlia ventenne: non voglio facciano domande. Per metà sono anche tuoi fratelli, pazienza. Spero tu possa capire; dovrei scusarmi forse, comunque la sostanza non cambia, almeno per me. Addio Margherita”.
Il giudice ravviserà in parole del genere un eccesso di disinvoltura, di glacialità. Chi, anche se a meno di vent’anni, fa l’amore con una donna, senza prendere precauzioni, non può non subire gli effetti di quell’azione; sino in fondo. Il bambino che nascerà, perché è così che arrivano i bambini, sarà anche suo: e avrà bisogno, come tutti i bambini, di essere mantenuto, allevato, guidato; accompagnato per anni e anni. Pure amato e abbracciato possibilmente. Un padre che trascuri di comportarsi così, giudizi morali a parte, non può evitare seri obblighi risarcitori; sotto i profili sia del danno morale che di quello esistenziale, oltre che per l’aspetto economico.