In amore si scrive, si scrive tanto, troppo
Quando poi il sentimento si incrina si scrive ancora di più, dolorosamente, offensivamente, compulsivamente.
E le prove lasciate nel cellulare, sia sotto forma di sms che di WhatsApp (o telegram o messenger - chi più ne ha più ne metta -) o nel computer come le mail sono una delle prime cose che vengono mostrate all'avvocato.
Perchè si sa, nelle questioni endofamiliari una delle problematiche più spinose è la prova: molto spesso è la parola di una parte contro quella dell'altra.
Il suggerimento del vecchio brocardo latino "verba volant scripta manent", che propongo continuamente ai miei clienti, non sortisce quasi mai un allentamento della morsa del botta a risposta nella messaggistica. Soprattutto se la vicenda coinvolge la gestione dei figli, i fiumi di parole riescono a riempire fogli e fogli di trascrizioni e screenshot. O peggio ancora se si tratta di situazioni di stalking o violenza domestica.
In definitiva tra milioni di parole, scritte nei messaggini e parlate nei vocali, tra pacchi di fogli che vengono poggiati sulla scrivania del legale, si trovano prove inconfutabili: ammissioni di responsabilità, frasi incompatibili con la responsabilità genitoriale, accordi raggiunti verbalmente e poi rimangiati nelle aule di giustizia, riconoscimenti di debito, reiterazioni di violenze verbali e persecuzioni.
Ma questi messaggi sono utilizzabili? E hanno valore di prova ai fini del procedimento in Tribunale?
C'è una grande differenza tra il procedimento civile e il processo penale.
In quest'ultimo infatti la Cassazione con la sentenza n. 49016 del 2017, ha definitivamente sancito che hanno valore di prova legale le trascrizioni delle conversazioni contenute nelle chat di Whatsapp se viene consegnato lo smartphone. E' necessaria l'acquisizione del supporto telematico per evitare che una semplice eccezione di disconoscimento della controparte comporti la nullità della prova. E così non solo per i messaggini, ma anche per le foto scattate e le conversazioni registrate: prezioso bottino che fa piena prova ex articolo 234 c.p.p. perché rappresenta la memorizzazione di un fatto storico a patto che si presenti all'autorità giudiziaria il supporto materiale così che, in caso di contestazione, un tecnico nominato dal giudice possa effettuare l'esame e la verifica.
Nel giudizio civile invece la Cassazione nella sentenza 19155/2019 ha stabilito che sms e mail hanno efficacia di piena prova delle cose rappresentate ex art 2712 del Codice Civile se colui contro il quale vengono prodotti non ne disconosce la conformità ai fatti o alle cose medesime. In tal modo si è aggiornato di fatto il codice civile del 1942 ai moderni mezzi di produzione e riproduzione informatica che non hanno alcuna sottoscrizione apposita.
Ma attenzione però perchè il disconoscimento non deve essere semplicemente generico ma chiaro, circostanziato ed esplicito. Ed in tale caso il giudice resta libero di accertare la corrispondenza della riproduzione all'originale avvalendosi di altri mezzi di prova, e anche della presunzione.
Mi piace però ricordare che il terreno è scivoloso e altamente pericoloso perché in questo modo si conferisce valenza a messaggini che possono essere facilmente manipolati. Vi è infatti una corrente ancorchè minoritaria che relega i messaggi WhatsApp a null'altro che documenti informatici liberamente valutabili dal giudice ex art.art. 20, comma 1-bis, d.lgs. n. 82/2005.
Nel dubbio, comunque, è sempre meglio tenere le dita lontano dalle tastiere.