(e la assimila alla domanda giudiziale)
La quinta sezione del Tribunale di Roma, con la sentenza 29 dicembre 2021, numero 20.160 del 29 dicembre 2021, si è pronunciata sul contenuto della domanda di mediazione, affermando il principio secondo cui l'istanza in oggetto deve contenere gli stessi elementi (parti, oggetto e ragioni) della domanda giudiziale (personae, petitum e causa petendi dell'art. 125 c.p.c.). In particolare, aggiunge la Giudice estensore, Dott.ssa Grazia Berti, la "causa petendi e le "ragioni della domanda",come indicato dalla norma appena richiamata, “Devono necessariamente coincidere poiché per rendere effettiva la mediazione la parte chiamata deve essere messa in condizione di conoscere (qualora la mediazione sia avviata precedentemente al giudizio) tutte le questioni costitutive della pretesa dell'altra parte. In sintesi, completezza, interezza, coerenza nell'istanza di mediazione rendono possibile il raggiungimento di un accordo che ha lo scopo di risolvere la materia del contendere senza dover intraprendere un procedimento giudiziale”.
La sentenza trae origine dall’impugnazione di una delibera condominiale, con la quale l'assemblea approvava la proposta di soluzione stragiudiziale del condominio, in sede di procedimento di mediazione, in relazione alla rettifica di tabelle millesimali deliberate.
Nel corso del procedimento giudiziale, parte attrice eccepiva, anzitutto, il difetto di quorum deliberativo, in quanto la proposta transattiva relativa alla modifica delle tabelle millesimali approvate dall'assemblea dei condomini, con precedente delibera, era stata adottata con una maggioranza diversa da quella prevista dalla legge.
Di conseguenza, secondo parte attrice, la delibera doveva essere considerata annullabile e, quindi, il termine per la presentazione della domanda giudiziale di annullamento doveva essere proposta nel termine di decadenza di trenta giorni dalla delibera, per i condomini presenti o dissenzienti, o dalla comunicazione per i condomini assenti.
Il condominio, invece, eccepiva l’inammissibilità di tale motivo di impugnazione, in quanto proposto oltre il termine di trenta giorni e relativo a questione non inserito, in modo specifico, nell’istanza di mediazione.
I Tribunale di Roma, sulla base del disposto dell’articolo 4, comma 2 del d.lgs. n. 28/2010, secondo il quale l’istanza deve contenere, oltre all’organismo di mediazione, le parti e l’oggetto, le ragioni specifiche della pretesa, corrispondenti ai requisiti della domanda giudiziale di cui all’articolo 125 c.p.c., ha rilevato che,in sede giudiziale, risulta essere stata presentata una domanda nuova, non indicata specificamente nelle ragioni specifiche della pretesa in sede di mediazione, da parte degli attori, con conseguente decadenza dall’impugnazione, ai sensi dell’articolo 1137 c.c.,, in quanto proposta oltre il termine previsto per legge di trenta giorni dall’assunzione della delibera e non oggetto di effettiva mediazione in sede di procedimento ex D.M 28/2010.
La decisione del Tribunale di Roma, ad avviso dello scrivente, non può essere condivisa.
Infatti, in adesione a quanto evidenziato da autorevolissima dottrina (F.P.LUISO, Diritto processuale civile, vol. V ed. Giuffrè, Milano, 2021, 45): “Sarebbe profondamente errato istruire un parallelo tra la funzione della domanda giudiziale (o della domanda di arbitrato) e la funzione della domanda di mediazione”, in quanto “ La domanda proposta in sede contenziosa ha due ineliminabili funzioni: determinare l’oggetto del processo, e quindi della decisione; garantire la instaurazione del contraddittorio (….) Niente di tutto questo accade nella mediazione” in quanto, prosegue l’autore, ”Non ha senso parlare di contraddittorio e diritto di difesa perché l’atto risolutivo presuppone il consenso di tutte le parti, e quindi quella di esse che non è chiamata a partecipare al procedimento di mediazione non può subire alcun pregiudizio dalla sua mancata convocazione.
Con riferimento alla domanda di mediazione, inoltre, le parti possono liberamente determinare il contenuto dell’atto risolutivo della controversia, anche attraverso l’estinzione del rapporto controverso e la creazione di altri e diversi rapporti, con la conseguenza che la domanda di conciliazione non è in alcun modo in grado di incidere sull’oggetto della conciliazione.
L’articolo 4 del D.Lgs 28/2010, dunque, impropriamente, utilizza espressioni relative alla domanda di mediazione che ricalcano quelle dell’articolo 163 c.p.c.; si ripete, impropriamente, in quanto la mediazione non ha nulla a che vedere con il processo civile, è un procedimento del tutto diverso, nel quale ciò che ha rilievo è la volontà delle parti, che può essere anche totalmente difforme dalle norme di diritto, se ciò soddisfa i loro interessi.
In questa prospettiva, l’unico effetto della domanda di mediazione attiene agli effetti sulla prescrizione e sulla decadenza, non avendo il legislatore attribuito alcun effetto sostanziale, divers da questi, alla domanda di mediazione e la domanda di mediazione non delimita in alcun modo l’oggetto del futuro accordo, come invece avviene in sede giurisdizionale ed arbitrale.
In considerazione dell’adesione dello scrivente a quanto ritenuto dalla più autorevole dottrina in materia di ADR, credo si debba ritenere che la sentenza del Tribunale di Roma non applichi in modo corretto i principi in materia di mediazione, perseverando nell’accostare giudizio e ADR in modo improprio e concettualmente non corretto.
La sentenza in commento, peraltro, fa parte di un filone interpretativo che, allo scrivente, non risulta prevalente, né in dottrina, né in giurisprudenza, proprio perché,a parere dello scrivente, non aderente ai principi sottesi agli strumenti di risoluzione stragiudiziale delle controversie, che ancora a distanza di ben undici anni dall’entrata in vigore del D.M 28/2010, vengono recepiti e interpretati in modo poco coerente con lo spirito della mediazione e alle grandi opportunità che dalla stessa possono derivare.
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