Fragilita, storie, diritti  -  Ricciuti Daniela  -  11/07/2016

Il punto è come si affronta la vita (con la mano nel cappello) - Daniela Ricciuti

Il punto è come si affronta la vita. Non è l'handicap*.

Quando si è piccoli e si sta imparando a scrivere, se la pagina è piena di obbrobri, si può sempre strappare il foglio e iniziare tutto da capo.

Nella vita non si può. Non si possono cancellare le cose brutte, gli errori, quello che fa male, e riniziare.

Però si può/si deve andare avanti, imparare a conviverci, o cercare di farlo. Senza retorica: è così e basta.

Quando ebbe l'incidente Luca si salvò per miracolo.

La moto non la guidava più come un matto da tempo, da quando aveva conosciuto Paola, perché ora non gli interessava più sfidare il pericolo: le emozioni adesso venivano da altrove.

Eppure proprio quando era diventato prudente sulla strada aveva sfiorato la morte - la sorte è beffarda! - perché un camion, superando dove non avrebbe potuto, aveva invaso la sua corsia e...

 

Li ho conosciuti a Ischia in barca con amici.

Quando Checca ed io li raggiungemmo sul molo, ci stavano aspettando pronti a salpare per un giro lungo quella splendida costa.

Luca, a prua, era seduto, ma anche così si vedeva che era alto, altissimo, longilineo ma possente, da campione di pallavolo quale era stato.

Proprio un bel ragazzo. Sorridente, gentile, di una cortesia ed eleganza insolite. La sua galanteria d'altri tempi, da vecchi film: le origini siciliane, forse.

E la dolcezza... Soprattutto quando si trattava di lei, di Paola. Che tenerezza quando le rivolgeva la parola o lo sguardo...

Stavano insieme da oltre venti anni ormai - avevano poi raccontato - ma sembravano due adolescenti innamorati.

Lei pure era bella, alta, slanciata. Molto raffinata, e delicata.

Anche lei sempre sorridente.

Facile esserlo quando si è felici! quando è tutto perfetto, e non si hanno problemi! - si sarebbe potuto pensare.

 

Gabriele, il figlio tredicenne di Raimondo, il proprietario della barca, raccontava della sera prima: erano quasi caduti in mare - lui e il suo amico Marco - dato che li aveva spinti per gioco sul molo quell' 'handicappato' di Giorgio.

Appena detto ciò, aveva smesso di colpo di parlare e, rosso in volto, con aria contrita si era scusato per l'espressione infelice usata.

Luca, sempre gentile e sorridente, lo aveva rassicurato: non era il caso di preoccuparsi. "Capita di esprimersi in modo inappropriato; e poi gli handicap ci sono purtroppo, inutile negarlo. Ma non sono la persona, non la caratterizza: la persona non si identifica con il disagio, è altro rispetto al suo problema".

 

Il giro in barca era continuato piacevolmente tra racconti scherzi e risate.

Faceva caldo, da morire, bisognava proprio tuffarsi in quell'acqua verde e invitante, che prometteva sollievo, freschezza.

Paola stava per prendere dalla cabina il giubbotto di salvataggio, ma Luca le aveva detto di non preoccuparsi, che non avrebbe fatto il bagno.

Possibile che un ragazzone così sportivo non sapesse nuotare? che avesse bisogno del salvagente per tenersi a galla?

"Non importa, sto bene qui. Poi come fareste a farmi risalire?!".

Ed era rimasto sulla barca, a squagliarsi sotto il sole, ma sorridente, a guardare noialtri tutti in acqua a sguazzare.

Paola dopo un po' era risalita. Non so se lo accarezzasse o lo rinfrescasse con l'acqua di mare.

 

Al tramonto rientrammo in porto.

Attraccata la barca, lei scese immediatamente e si diresse presso la stazione della Guardia costiera. Per tornare subito dopo con un paio di omaccioni e con una carrozzella, che - poi si è capito - la mattina le avevano fatto il piacere di custodire.

Mentre lei la teneva ferma, i due, che avevano preso Luca ognuno da un lato, con forza lo caricarono su.

Paola piegata a sollevargli le gambe, inermi, e a posizionare i piedi sui poggiapiedi.

Ci fu un po' di apprensione: la pedana della barca era alta e in bilico, tutti col fiato sospeso per paura che lui potesse cadere in acqua.

Luca e Paola non avevano perso il sorriso.

 

Vivevano tutto con estrema tranquillità naturalezza discrezione normalità.

Anche quando Luca si era poi trovato in difficoltà perché aveva bisogno del bagno, ma i servizi del bar nella piazzetta a Sant'Angelo - dove ci eravamo fermati per l'aperitivo - erano scomodi da raggiungere a causa di tre ripidi scalini.

Non so come abbiano risolto.

 

Una volta che furono tornati al tavolo, continuammo tutti a parlare piacevolmente. Senza, peraltro, che il tono cambiasse, quando - non ricordo come - uscì il discorso dell'incidente.

Luca raccontò di quel giorno, della bella passeggiata in moto, nel sole di primavera e nel verde dei campi, tagliati dalla stradina di campagna che lo portava a casa, fino a che...

 

Avevano sempre desiderato sposarsi e andare a vivere fuori città, nella natura, lontano da tutto e tutti.

E avevano deciso di non cambiare i loro progetti a causa dell'incidente: si erano sposati e erano andati a vivere in una villetta con tanti animali - raccontavano giocosamente - Ospiti fissi: una tartaruga, che però non si sapeva mai dove fosse, libera di perdersi nel giardino; una coppia di Labrador bianchi, che convivevano pacificamente con una trovatella tigrata grigia e i suoi micetti, figli di non si sa quale gatto della zona; un pappagallo che aveva la particolarità di "mantenere i segreti" dato che non sapeva parlare.

Avevano scelto di realizzare il loro sogno di vivere lontano da tutto e tutti. Pur sapendo che ora sarebbe stato più difficile.

Poi Paola era rimasta incinta, ma avevano deciso di restare lì; e non avevano voluto trasferirsi in città neanche quando era nata la bambina; nè una volta cresciuta, che bisognava portarla a scuola, a danza, a inglese.

Era meno complicato ora che Angelica aveva compiuto diciott'anni e aveva preso la patente.

 

Insomma in qualche modo si erano organizzati e avevano potuto continuare a vivere la vita che si erano scelti, prima. Nonostante l'handicap.

Era stato più difficile. Non è stato tutto perfetto. Ma comunque erano sempre sorridenti e felici.

 

 

 

* Handicap
Il termine deriva dall'inglese hand in cap, che letteralmente significa "mano nel cappello".
Era il nome di un gioco d'azzardo diffuso nel Seicento, che si giocava estraendo monete da un berretto: il gioco si basava sul baratto o scambio, tra due giocatori, di due oggetti di diverso valore; il giocatore che offriva l'oggetto che valeva meno, doveva aggiungervi il denaro necessario per arrivare al valore dell'altro oggetto, affinché lo scambio potesse avvenire alla pari.
La parola handicap è poi passata nella terminologia ippica, ad indicare un particolare tipo di corsa di cavalli, che prevede un livellamento delle maggiori o minori abilità dei concorrenti, tramite un sistema di vantaggi per i peggiori e svantaggi per i migliori.
E quindi più in generale nel linguaggio sportivo internazionale: indica lo svantaggio che viene attribuito in una gara al concorrente che ha maggiori possibilità di successo, per dare a tutti quelli che gareggiano la stessa probabilità di vincere, cosicché il risultato della gara non è già scontato in partenza.
Dal significato originale legato al gioco e allo sport, questa parola è stata poi utilizzata alla fine dell'Ottocento per indicare in generale il modo di equilibrare una situazione compensando le diversità; quindi è diventata sinonimo di 'impedimento'.
Solo agli inizi del Novecento è stata adoperata con riferimento ai disabili e applicata ai bambini che avevano una menomazione fisica. In seguito, è stata estesa anche alle persone adulte con problemi e/o con disturbi mentali.
Da qui si è diffuso l'uso figurato, oggi più usato, di menomazione, svantaggio psicofisico.
Il termine, sebbene in declino negli ambiti formativi e pedagogici - in cui si cerca di porre l'accento sulle possibilità piuttosto che sulle mancanze - rimane comunque molto usato, benché la sua origine non appaia delle più nobili o significative (ferma la curiosità di un simile etimo). Inoltre la creazione del participio (handicappato) su una parola inglese non è mai elegante.
Resta la sfumatura della sfida, pur controversa, parziale e da ponderare per non cascare in stolti buonismi.
Il termine ha il suo gusto (oltretutto per palati finissimi): difatti nelle gare ad handicap a venire svantaggiati sono i migliori.




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