Il 5 maggio scorso, si è svolto l’incontro – convegno “Il ruolo della Polizia di Stato nella prevenzione e nel contrasto della violenza di genere”, organizzato dalla Questura di Savona, presso il campus universitario della città ligure.
Il resoconto di questo convegno è interessante in quanto promosso dalla Questura che ha al suo vertice la Dottoressa Alessandra Simone, già Questore di Milano e ideatrice, insieme ad altri autorevoli esponenti della Procura e di altre realtà sociali milanesi, tra l’altro, del protocollo “ZEUS”, per il recupero degli uomini violenti, oggi adottato a livello nazionale.
Nel corso del convegno del 5 maggio, è stato dato risalto, in particolare, ad un’altra importante iniziativa della Direzione Generale anticrimine, risalente al gennaio 2017, vale a dire il protocollo “EVA”, anch’esso adottato a livello nazionale e che è l’acronimo di “Esame Violenze Agite”.
Il progetto è stato elaborato nel 2014, dall’ UPG (Ufficio prevenzione generale) della Questura di Milano ed è poi stato adottato da tutte le questure italiane.
Il protocollo EVA prevede un approccio al tema della violenza di genere che si fonda sul presupposto che mole volte, la vittima di abusi familiari, oltre al dramma degli effetti della violenza fisica e psicologica, si trova in difficoltà a denunciare i propri familiari autori di reati violenti, soprattutto quando si trova in difficoltà economica e la denuncia potrebbe far venire meno i mezzi di sussistenza per sé e per i figli minori. Il protocollo EVA ha lo scopo di aiutare la vittima a reagire a tale situazione, ad uscire dal senso di paura e smarrimento che segue alla violenza.
Il punto di forza di questo protocollo consiste nella possibilità, per la Questura, di raccogliere tracce e notizie importanti al fine di poter ricostruire un precedente o un’intera storia di maltrattamenti e abusi, e ciò mediante l’arresto obbligatorio in flagranza per i reati di maltrattamento e atti persecutori, o con l’allontanamento immediato della persona violenta dall’abitazione o dai luoghi frequentati dalla vittima, in caso di minacce e lesioni gravi (i cosiddetti ‘reati spia’)
Inoltre, la raccolta di dette “tracce”, avviene mediante registrazione di tutto ciò che hanno fatto e visto negli interventi effettuati, a seguito di richiesta e segnalazione della vittima di reato. Il protocollo, quindi, consente di inserire nella banca dati delle forze di Polizia (SDI) una raccolta di informazioni importante, in caso di successive aggressioni che consentono l’arresto del maltrattante, indipendentemente dalla denuncia della vittima.
In particolare, le forze dell’ordine intervenienti, annotano ogni minimo particolare e in caso di lesioni richiedono l’intervento di personale sanitario, raccolgono informazioni anche dai vicini di casa. Ogni caso viene schedato, a prescindere dalla denuncia, al fine di lasciare traccia, creare una memoria storica per meglio monitorare il fenomeno, caso per caso, e scegliere la strategia di contrasto più adeguata (arresto in flagranza di reato, misure cautelari). Il tutto in collaborazione con il 112 e i servizi sanitari, ospedalieri e non.
Il protocollo EVA è stato potenziato, altresì, con l’introduzione di un lista dei numeri di telefonia mobile delle vittime o delle ex vittime di stalking e violenza, con l’inserimento di un allarme in rapporto al numero telefonico di una persona che è già stata vittima di abusi e maltrattamenti.
Quando il numero inserito nella ‘lista speciale’ , con una chiamata alla Polizia, entra in un canale di priorità assoluta.
Inoltre, i penitenziari devono premurarsi di segnalare le scarcerazioni dei detenuti per violenza di genere, in modo che la vittima possa essere avvertita di ciò e si possa attivare una adeguata rete di vigilanza sul territorio, a prescindere da un provvedimento della magistratura e anche in situazioni ad alta pericolosità, non sfociate in arresto.
Peraltro, i poliziotti che operano nell’ambito del protocollo antiviolenza, devono garantire ad essere presenti anche successivamente alla denuncia, quando il maltrattante potrebbe agire con ancora maggiore violenza, ma ciò che va evidenziato è che il protocollo EVA ha lo scopo di anticipare i fenomeni violenti, di prevenirli, al fine di evitare l’irreparabile.
Il lavoro di gran parte dell’avvocatura, della magistratura, delle forze dell’ordine e della scuola, grazie ad insegnanti sensibili e preparati sul tema, nell’ottica di contrasto alla violenza di genere è sempre maggiore, considerati gli episodi sempre più gravi di violenza di genere, a tutti i livelli, al quale si assiste quotidianamente. Peraltro, anche la riforma del processo civile ha previsto una sezione apposita dedicata alla violenza di genere, nell’ambito dei procedimenti di separazione e divorzio
Tuttavia, ciò che ancora sembra, allo scrivente, è l’assenza di una reale consapevolezza della gravità del fenomeno, a livello sociale, con il rischio che gli sforzi compiuti al fine del contrasto della violenza di genere vengano fortemente indeboliti.
In considerazione di quanto sopra, come sottolineato diverse volte dalla Dottoressa Simone, nel corso del convegno, alla repressione deve affiancarsi non solo la prevenzione, con i protocolli ZEUS, EVA e con l’ammonimento del Questore, ma anche l’educazione al rispetto di genere, in famiglia, nelle scuole e in ogni luogo ove possibile farla, al fine di crescere nuove generazioni consapevoli e coscienti della necessità di operare per una nuova visione della parità di genere.