Deboli, svantaggiati  -  Redazione P&D  -  29/07/2023

Il "Libro rosso" - Maria Assunta Piccinni

Il libro, delle Edizioni Scientifiche Italiane, è del 1988. Nella biblioteca del mio Dipartimento ne è conservata una copia malconcia, condizione che accomuna molti dei libri pubblicati in quegli anni. Io l’ho letto, tutto al completo, per la prima volta quando avevo 30 anni. Lo associo ad altri due testi: “L’istituzione negata”, curato da Franco Basaglia, ed “Il Potere di tutti”, di Aldo Capitini, due libri di una ventina di anni prima, che, in diverso modo, sono scritture collettanee.

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L’associazione è data, soprattutto, dall’aria che vi si respira. Nel caso del “libro rosso”, il lettore può ritrovarsi tra gli uditori, nella Stazione marittima di Trieste, in una calda e ventilata giornata di fine primavera, tra il 12 e il 14 giugno del 1986, ed immergersi nel flusso di pensieri e considerazioni che si susseguono nelle fitte Sessioni, organizzate dal mattino al dopocena. Mi immagino, trentenne, a quel Convegno, dietro le quinte, tra i giovani allievi di casa, Angelo Venchiarutti e Patrizia Ziviz, o con Manuela Mantovani, venuta con Paolo Zatti e Renato Pescara, da Padova.

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   L’aria è fresca, come quella di Piazza Unità di Italia. Non la temuta bora, eppure un vento determinato, che pulisce il cielo e fa splendere un sole luminoso, ma non invadente come il torrido caldo estivo. Immagino sia questo l’effetto che il Convegno di Trieste ha prodotto sul panorama degli istituti civilistici di protezione di quelli cha allora ancora erano chiamati “i malati di mente” e che oggi, con uno sguardo rinnovato e allargato a grandangolo sulle diverse situazioni di fragilità, chiamiamo “le persone prive in tutto o in parte di autonomia”.

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   Sulla scena triestina compare a fare da cerimoniere, insieme a Giovanna Visintini, Paolo Cendon. Un Paolo quarantenne, ai primi passi nel dialogo con gli psichiatri, ma già allora, come mi ricorda Paolo Zatti, mio maestro patavino, estremamente ottimista e fiducioso, e dotato di un entusiasmo travolgente. È probabilmente soprattutto quell’entusiasmo che finisce per rompere gli argini del calcolo giuridico. È, così, che nasce, anche su impulso dei più giovani allievi, il lavoro di qualche anno prima sul “prezzo della follia” e che, qualche anno dopo, prenderà il largo l’avventura del danno esistenziale.

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  Ma non è solo questo che rende così importante “il libro rosso”. La dimensione “narrativa”, propria del linguaggio anche tecnico-giuridico di Paolo Cendon, fa da collante tra la dimensione normativa e quella, un po’ disordinata, dell’“orizzonte quotidiano della persona”, in quelle “combinazioni di eguaglianza e diversità” che Paolo costringe ad immaginare. Paolo è il curatore degli atti, ma diventa anche il narratore di quel Convegno, con la sua capacità, prima di tutto di ascoltare con curiosità ed attenzione all’altro, e poi di dire della realtà delle cose e delle norme, sempre muovendosi in quello che a lui piace chiamare “il grande cielo della fragilità”, con al centro di osservazione i protagonisti della vita giuridica. Credo che queste siano le qualità essenziali che si sono tramandate anche nel libro rosso, documento dell’incontro triestino del 1986.

 

 




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