Propedeutica allo scioglimento della comunione ereditaria e, quindi, alla divisione dell’eredità tra gli eredi è la fase della formazione della massa ereditaria dividenda.
Com’è noto, la determinazione della massa ereditaria ha una funzione ricognitiva ed è finalizzata ad individuare tutti i beni facenti parte del patrimonio ereditario, da catalogarsi in beni mobili, immobili ed universalità di mobili. Ai fini della determinazione della quota di cui il de cuius poteva disporre (c.d. determinazione della quota disponibile ex art. 556 c.c.) si procede con la riunione fittizia dei beni donati dal defunto, secondo la disciplina dell’istituto della collazione, ex art. 737 e ss. c.c. Così, sommando il donatum ai beni relitti, detratti i debiti, si stabilisce il valore dell’asse ereditario dividendo, procedendo con la stima dei singoli beni per la quantificazione precisa delle porzioni ereditarie. La giurisprudenza si è a lungo interrogata sulla qualificazione delle operazioni connesse al conto corrente facente capo al de cuius, sia in merito alle conseguenze della successione di un conto corrente previamente cointestato con uno degli eredi del de cuius, sia in merito alla qualificazione delle svariate operazioni svolte dall’intestatario del conto o dal soggetto delegato ad operare sul conto, prima della data di apertura della successione.
Diverse sono le pronunce sia di merito che di legittimità che si sono occupate dell’ipotesi in cui il conto corrente del de cuius risulti cointestato, considerando che in questa circostanza, secondo le disposizioni contrattuali sottoscritte con la banca, alla morte di uno dei cointestatari, il cointestatario superstite può continuare ad operare sul conto corrente a condizione che un coerede del defunto non si opponga mediante invio alla banca di una formale diffida. In questo caso, con un recente intervento, la Suprema Corte (Cassazione civile sez. III, 03/09/2019 n. 21963) ha stabilito che la cointestazione del conto non è equivalente a una comproprietà perché può rappresentare solo un modo per permettere ai contitolari di operare sul conto, ma non comporta anche la cessione del relativo credito, allontanandosi dal tradizionale orientamento secondo cui cadeva in successione la sola quota di danaro appartenente al cointestatario defunto, calcolata in rapporto all’intera giacenza del conto bancario e al complessivo numero dei cointestatari.
Diversa la considerazione operata dalla giurisprudenza sulle operazioni effettuate sul conto corrente del de cuius dallo stesso o da soggetti da lui delegati.
Il tema è di rilievo se solo si considera che la qualificazione di una operazione sul conto corrente come credito o debito ereditario o come donazione diretta o indiretta ha il suo precipitato nella precisa determinazione del quantum della quota di legittima degli eredi. Se, infatti, le donazioni rientrano nei conferimenti di cui all’art. 737 c.c. (e quindi nella disciplina della collazione, per ciò che concerne i soggetti tenuti alla collazione), i crediti ereditari ricadranno invece nelle porzioni ereditarie di ogni erede e saranno suddivisi in rapporto ad ogni singola quota.
In merito non può non ricordarsi la nota sentenza della Corte di Cassazione che a Sezioni Unite (Cass. SS.UU. 18725/2017) ha stabilito che l’attribuzione a titolo gratuito di valori mobiliari, che non siano di modico valore, quale ad esempio un bonifico bancario, si traduce in una donazione diretta, nulla poiché priva di forma solenne: ad esito della declaratoria di nullità di tale donazione, l’importo donato potrà essere qualificato come credito ereditario in favore dell’asse ereditario e a carico del soggetto al quale il denaro è stato attribuito.
Interessante la qualificazione che la giurisprudenza ha compiuto sui prelievi delle somme giacenti sul conto corrente intestato al de cuius: secondo una recente pronuncia della Suprema Corte (cfr. Cass. 8611/2018) l’attività di prelievo di denaro dal conto corrente del de cuius, realizzata anteriormente alla data di apertura della successione, concerne degli importi non ricompresi nell’asse ereditario, che pertanto non possono considerarsi beni ereditari, i quali soltanto legittimano la c.d. “petitio hereditatis”.
Ed infatti, ciò che l’erede può reclamare con l’azione di petizione dell’eredità sono i beni nei quali egli è succeduto mortis causa al defunto, ossia i beni che, al tempo dell’apertura della successione, erano compresi nell’asse ereditario (cfr. ex multis Cass. Sez. 2, 2 agosto 2001, n. 10557; Cass. Sez. 2, 16 gennaio 2009, n. 1074): pertanto, l’azione non può essere esperita per far ricadere in successione somme di denaro che trovano la propria ragion d’essere in un titolo giuridico preesistente ed indipendente rispetto alla morte del de cuius (cfr. Cass. Sez. 2, 19 marzo 2001, n. 3939).