-  Redazione P&D  -  28/02/2016

ERRORE GIUDIZIARIO: DANNO BIOLOGICO ED ESISTENZIALE - Cass. 7787/16 - Natalino SAPONE

Nella liquidazione dell"indennizzo per errore giudiziario, occorre prendere in considerazione, oltre ai danni patrimoniali, anche il danno biologico, quello morale nonché il danno esistenziale, trattandosi di differenti ed autonome categorie, tutte ricomprese nel danno non patrimoniale

 

1.- La Cass. pen., sez. IV, pres. Romis, est. D"Isa, del 25 febbraio 2016, n. 7787/16, ha affrontato la questione dell"indennizzo per ingiusta detenzione e per errore giudiziario.

Il caso posto all"attenzione, per quanto si evince dalla motivazione della sentenza, può essere così sintetizzato: la vittima di errore giudiziario aveva subito 868 giorni di carcerazione cautelare in cella di isolamento, in un carcere per adulti, quando era ancora minorenne, e 161 giorni di carcerazione da adulto, con obbligo di soggiorno in un luogo distante 300 km dal paese di residenza. Nel corso della detenzione precautelare (al momento dell"arresto) era stato sottoposto a torture fisiche (ingestione di acqua e sale e scariche elettriche ai genitali) e vessazioni morali (confessione forzata). Venuto a conoscenza della sentenza di condanna, si era reso latitante in Brasile.

La sentenza impugnata aveva riconosciuto, a titolo di riparazione per l"ingiusta detenzione, la somma di € 516.456,90, ossia il massimo previsto, e per l"errore giudiziario, la somma di € 300.000,00.

Il provvedimento è stato impugnato sia dal Ministero dell"Economia e delle Finanze sia dalla vittima dell"errore giudiziario.

La S.C. ha ritenuto corretta ed adeguatamente motivata la pronuncia della Corte territoriale in riferimento alla riparazione per l"ingiusta detenzione. Ha invece ritenuto assertiva la motivazione dell"ordinanza impugnata nella parte in cui ha affermato che solo l"ingiusta detenzione – e non anche l"errore giudiziario, con conseguente latitanza in Brasile – ha provocato i disturbi psichici descritti dai medici legali.

A questo punto la S.C. si è occupata dal danno esistenziale, affermando che, se è vero che secondo le Sezioni Unite 26972/2008 non è ammissibile il danno esistenziale, inteso quale perdita del fare areddituale, costituendo "una simile perdita, ove causata da un fatto illecito lesivo di un diritto della persona costituzionalmente garantito, né più né meno che un ordinario danno non patrimoniale, di per sé risarcibile ex art. 2059 c.c., e che non può essere liquidato separatamente sol perché diversamente denominato", non è men vero che non può non tenersi conto, nella liquidazione del danno non patrimoniale, di tutte le sfaccettature, quali: "l"interruzione delle attività lavorative e di quelle ricreative, l"interruzione dei rapporti affettivi e di quelli interpersonali, il mutamento radicale peggiorativo e non voluto delle abitudini di vita, nel caso di specie addirittura emigrando in un Paese sconosciuto lontano diverse migliaia di chilometri dal suo luogo abituale di residenza ove svolgeva regolare e retribuita attività lavorativa".

2.- Queste "sfaccettature" altro non sono che danno esistenziale, inteso come tipologia di pregiudizio non patrimoniale, distinta dal danno morale (sofferenza emotiva/interiore) e dal danno biologico (inteso come danno strettamente correlato alla lesione dell"integrità psico-fisica).

Insomma, traducendo: il danno esistenziale non può essere liquidato separatamente dal danno non patrimoniale, ossia al di fuori dei presupposti e limiti fissati dall"art. 2059 c.c. Ma, quando si liquida il danno non patrimoniale ex art. 2059 c.c., del danno esistenziale non si può non tener conto.

E in forza dell"art. 643 c.p.p. – che fa riferimento alle conseguenze personali e familiari della condanna ingiusta –, secondo la S.C., "il giudice è tenuto a risarcire (…), oltre i danni patrimoniali, anche il danno biologico, quello morale nonché il danno esistenziale, trattandosi di differenti ed autonome categorie, tutte ricomprese nel danno non patrimoniale (v. sentenza Barillà, rv. 227671)".

Non condivide la S.C. l"asserto secondo cui dopo la sentenza di condanna ingiusta la persona non abbia potuto subire un danno psicologico, ulteriore a quello determinato dall"ingiusta detenzione. Su questo aspetto accoglie pertanto il ricorso, disponendo che il giudice del rinvio verifichi l"esistenza di un danno biologico diverso e ulteriore rispetto a quello riconducibile all"ingiusta detenzione. In questo passaggio, la Corte parla di danno biologico, ma da tutto l"argomentare si comprende che la verifica del giudice del rinvio dovrà estendersi anche al danno esistenziale.

3.- Il pronunciamento in commento offre ulteriore conferma dei seguenti principi:

a) l"unitarietà del danno non patrimoniale – il cuore del verdetto di San Martino – non va declinata come monismo, estrinsecandosi il danno non patrimoniale in plurimi aspetti, che vanno tutti tenuti in considerazione; l"unitarietà non esclude il polimorfismo del danno (l"espressione è di Cass. civ. 13 agosto 2015, n. 16788).

b) Il polimorfismo del danno non patrimoniale non va però declinato come amorfismo. Per dare forma all"eterogeneo danno non patrimoniale sono necessarie le voci (o sottocategorie, se si preferisce, o categorie, come dice la sentenza in commento).

c) Le tradizionali voci (danno morale e danno biologico) non riescono a coprire l"interezza dei beni/valori, di carattere non patrimoniale, meritevoli di ristoro; oltre al bene/valore dell"integrità psico-fisica, oltre ai beni/valori dell"integrità morale ed emotiva, vi sono i beni dell"agire e di relazione. È il danno esistenziale ad offrire copertura a questa terza tipologia di pregiudizi. Dire che per raggiungere questo scopo non è necessario il danno esistenziale, significa semplicemente resistere alla insopprimibile esigenza di dare nomi alle cose, con perdita secca in termini di chiarezza, trasparenza e solidità del terreno concettuale su cui muoversi. Prima della certezza numerica, e funzionale a questa, c"è la certezza concettuale; e la certezza concettuale esige certezza semantica, stabilità di definizioni e nomi.

d) La tendenziale onnicomprensività del danno biologico vale solo per alcune fattispecie, quelle in cui tutto parte dalla lesione dell"integrità psico-fisica. Non può valere anche per quelle fattispecie in cui, prima e accanto alla lesione dell"integrità psico-fisica, vi è la compromissione dell"aspetto dinamico-relazionale.

4.- Sono fattispecie come quella oggetto della sentenza che si annota a rendere evidente la concettuale distinzione del danno esistenziale rispetto alle altre voci.

Ragioniamo per un attimo sul rapporto tra danno esistenziale e danno biologico. Nella fattispecie in discorso vi è stato lo sconvolgimento dell"esistenza, il radicale mutamento della vita quotidiana. Si è prodotto un danno biologico; ma se non ci fosse, non sarebbe più risarcibile lo sconvolgimento esistenziale? E se il danno biologico fosse piccolo, si potrebbe ridurre a questo – a una sua quota – un danno esistenziale grande come quello di cui si discute?

Ragioniamo sul rapporto tra danno esistenziale e danno morale. Può essere questa vicenda equiparata a quelle in cui la sofferenza rimane sul piano emotivo ma senza riflessi sull"oggettiva quotidianità (si pensi ad un"ingiusta condanna che però non ha inciso sulla vita quotidiana)?




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