Rilasciata in sede penale in ambito di stato di necessità, si confronti la singolare pronuncia, scaturente da ricorso per Cassazione proposto contro sentenza del Tribunale di Mondovì, in composizione monocratica, che condannava l'imputato alla pena di Euro 5.000,00 di multa, per il reato di cui all'art. 544 ter c.p., comma 1.
La condanna si materializzava in qanto l'imputato, senza necessità, deteneva n. 3 esemplari di cani in condizioni incompatibili con le loro caratteristiche, tali da cagionare loro lesioni derivanti dall'essere legati con una corta catena a mezzi in disuso, senza protezione ed in ambiente contaminato dalla presenza di rifiuti che provocano loro lesioni agli arti e su altre parti del corpo.
Riteneva, infatti, il Tribunale che dalle risultanze processuali emergesse la prova del reato ascritto, sia sotto il profilo oggettivo, sia sotto il profilo soggettivo (cfr., amplius, da ultimo, "Le cause di giustificazione nella responsabilità per illecito", Riccardo Mazzon, Giuffré 2017): era stato accertato, infatti, che i cani venivano tenuti legati ad una catena corta, tanto che presentavano al collo abrasioni, nonché che ricorreva il dolo generico, richiesto dalla norma, essendo la condotta tenuta senza necessità; l"imputato ricorreva, a questo punto, per cassazione, denunciando l"erronea interpretazione e la falsa applicazione della legge penale in relazione all'art. 544 ter c.p., comma 1: dall'istruttoria dibattimentale, infatti, secondo il ricorrente, non era emerso che l'imputato avesse posto in essere la condotta prevista dalla norma sanzionatrice, né era emersa la sussistenza dell'elemento soggettivo (né sotto la forma del dolo specifico, né del dolo generico); inoltre, dai referti medici prodotti risultava lo stato di necessità in cui versava il ricorrente all'epoca dei fatti (nel senso che, a causa delle fratture subite, aveva difficoltà nei movimenti).
La Suprema Corte, per quanto qui d'interesse (e premesso che, sotto il profilo oggettivo, dalle dichiarazioni testimoniali assunte era emerso che, a seguito del sopralluogo, era stato accertato che i tre cani erano legati corti alla catena, tanto da presentare abrasioni al collo, che l'unico riparo alle intemperie era costituito dalla pala di un trattore, che infine essi si trovavano in mezzo al fango ed a rifiuti ferrosi), quanto all'aspetto soggettivo escludeva che, nel caso di specie, ricorresse la necessità richiamata dalla norma, rientrando in tale nozione proprio lo stato di necessità ex art. 54 c.p., nonché ogni altra situazione che induca al maltrattamento dell'animale per evitare un pericolo imminente o per impedire l'aggravamento di un danno alla persona o ai beni: il Tribunale, secondo la Corte, aveva, infatti, evidenziato che il prevenuto aveva incrudelito senza ragioni sui poveri animali, né poteva minimamente configurarsi lo stato di necessità ipotizzato nel ricorso e riconducibile alta menomate condizioni di salute del ricorrente, non ricorrendone, secondo le stesse enunciazioni (si parla va di temporanee menomazioni, tali da impedirgli con facilità i movimenti) palesemente i presupposti.