CACCIA AL CINGHIALE NEI TERRENI PRIVATI: “NON POSSO USCIRE NEANCHE PER UNA PASSEGGIATA”
Che l’attività venatoria possa avvenire anche all’interno di terreni privati lo stabilisce un articolo del codice civile risalente al fascismo
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Immerso in una distesa boschiva, racchiuso tra il lago di Bolsena da un lato e la linea invisibile del confine con la Toscana dall’altro, si trova un ampio terreno privato, in parte riconvertito in azienda agricola. Un luogo da sogno, potenzialmente. Peccato che, almeno un paio di volte al mese, venga invaso da una squadra composta all’incirca da 50 cacciatori. Tecnicamente non c’è nulla di irregolare, perché questo fondo a Valentano, in provincia di Viterbo, ricade appieno in una zona più ampia e regolamentata per le battute di caccia al cinghiale. Che l’attività venatoria possa avvenire anche all’interno di terreni privati lo stabilisce un articolo del codice civile risalente al fascismo, l’842, che non prevede sia necessaria nemmeno un’autorizzazione preventiva. Così ad Andrea Occhipinti, il proprietario del fondo in questione, capita di ritrovarsi ad “avere paura perfino a casa mia”, denuncia.
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L’ultimo episodio risale alla scorsa domenica, quando sul proprio cancello è improvvisamente comparso un cartello con su scritto: “Battuta in atto. Attenzione, pericolo”. Posizionarli lungo tutto il perimetro d’azione è un atto obbligatorio, ma avvertire prima “è solo cortesia”, ha risposto il corpo forestale alla richiesta di spiegazioni. “Potrebbero almeno mandare un messaggio prima di iniziare. Si tratta di un piccolo paesino, ci conosciamo tutti.” I membri di ogni squadra devono essere, infatti, regolarmente iscritti e segnalati alla provincia e non è possibile che si aggiungano degli esterni. “Il capo di questa squadra è un artigiano del paese, abbiamo perfino lavorato insieme” racconta Andrea.