Ambiente, Beni culturali  -  Redazione P&D  -  01/11/2021

Animali da reddito, c'è chi li chiama così - Maria Rosa Pantè

L’aspetto terribile è già nella definizione giuridica: animali da reddito.

Contrapposti agli animali di affezione. In Italia per lo più cani e gatti, il resto è merce che viene considerata solo in quanto procura in qualche modo un reddito.

  Grazie a carne, latte, uova, pellicce, spettacoli circensi, fegato scoppiato, gabbie, delfinari arnie. Grazie a pinne di squalo, lingue, testicoli, testina di maiale, tonno insuperabile.

 Tonno ecosostenibile. Vita insostenibile degli animali da reddito o da esperimento nei laboratori.

  Divisioni operate fra gli animali dal primate uomo, dalla scimmia homo sapiens, che riconosce diritti a pochi animali e agli altri nulla.

E dunque davvero sarebbe utile applicare qui la preziosa formula che il professor Cendon ha escogitato sul tema delicato e necessario dei diritti: Diritti in movimento.

I diritti della Terra in alcuni paesi sono già considerati giuridicamente e così il diritto delle piante e di alcuni animali.

 Il diritto sancito dall’uomo, per gli animali vicini all’uomo, variabili anche a seconda della tradizione e della cultura. Ci scandalizziamo che in Cina mangino i cani, ma noi mangiamo i maiali che sono intelligenti quanto e più dei cani.

 E così davvero per quasi tutti gli animali i diritti dovrebbero essere in movimento fino a riconoscere l’animale non come una merce, ma un individuo senziente.

 

Cioè senziente paura, fame, sete, ma anche istinto materno, bisogno di aria e sole, bisogno di stare coi propri simili. Tutti diritti e bisogni disattesi da una legge immobile che non si occupa degli animali da reddito.




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