Mancano 84 giorni alle elezioni americane e per i tempi della politica negli Stati Uniti, dove la corsa alla Casa Bianca comincia due anni prima del voto, significa che siamo praticamente in vista della volata finale. E Donald Trump appare a corto di fiato e con i crampi.
Il che non significa affatto che stia andando verso una sconfitta, ma è costretto a correre con una diversa prospettiva: quella di chi è sempre stato fin qui in testa e ora invece insegue, per di più alle spalle di un’avversaria donna di cui non riesce a prendere il passo.
Il team di Trump sa che andrà ancora peggio per un po’, prima che forse cominci ad andare meglio. Andrà peggio perché la prossima settimana (19-22 agosto) si apre la convention dei democratici a Chicago e tutti gli occhi saranno su Kamala Harris e il suo vice Tim Walz. La copertura mediatica sarà enorme, aiutata – paradossalmente – anche dalle proteste pro-Gaza che in città si preannunciano molto partecipate e rumorose.
Trump deve aspettare che passino i crampi e che finisca la honeymoon, la luna di miele tra la Harris, i media e l’elettorato democratico e comincino a emergere, inevitabilmente, le debolezze e i limiti politici della candidata che ora conduce la corsa.
Sul fatto che stia conducendo, sia pure di pochissimo, ci sono sempre più indizi. La media dei sondaggi nazionali del Washington Post vede i democratici in testa per la prima volta dallo scorso gennaio.