Poiché, ai sensi dell'articolo 1146 del codice civile, il possesso continua, con effetto dall'apertura della successione, nell'erede, quest'ultimo, alla morte del possessore, è legittimato a promuovere le azioni di reintegrazione e di manutenzione (previste dagli articoli 1168 e 1170 del codice civile per garantire, nell'interesse collettivo, il diritto soggettivo alla conservazione del possesso contro gli atti di spoglio violento o clandestino e di molestia e per evitare turbamento della pace sociale, a prescindere dalla esistenza di un titolo giustificativo, essendo considerato di per sè, il possesso medesimo, un valore meritevole di tutela:
"il possesso è tutelato dall'ordinamento giuridico con le azioni di reintegrazione e di manutenzione, previste dagli art. 1168 e 1170 c.c., per garantire, nell'interesse collettivo, il diritto soggettivo alla sua conservazione contro gli atti di spoglio violento o clandestino e di molestia e per evitare turbamento della pace sociale, a prescindere dalla esistenza di un titolo giustificativo, essendo considerato di per sè un valore meritevole di tutela; e poiché, ai sensi dell'art. 1146 c.c., il possesso continua, con effetto dall'apertura della successione, nell'erede, quest'ultimo, alla morte del possessore, è legittimato a promuovere dette azioni. A tal fine, è sufficiente che l'erede provi la propria qualità di successore universale, non richiedendosi la dimostrazione dell'esistenza di un titolo che autorizzi ad esercitare il potere di fatto sulla cosa. Inoltre, costituendo il possesso, ai sensi dell'art. 1140 c.c., un potere di fatto che si manifesta in un'attività corrispondente all'esercizio non solo della proprietà, ma di ogni altro diritto reale, l'erede di chi possedeva la cosa come usufruttuario è legittimato ad esperire i rimedi apprestati dall'ordinamento contro chiunque compia atti di spoglio o di turbativa e anche nei confronti della persona divenuta piena proprietaria del bene per effetto dell'estinzione del diritto di usufrutto di cui era titolare il defunto. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha cassato la sentenza impugnata che aveva escluso la legittimazione degli eredi del soggetto che possedeva un immobile a titolo di usufrutto a promuovere l'azione di reintegrazione nei confronti di chi era divenuto pieno ed esclusivo proprietario del bene con l'estinzione dell'usufrutto)". Cassazione civile, sez. II, 22/05/2003, n. 8075 Censi e altro c. Marzetti Giust. civ. Mass. 2003, 5 - cfr., amplius, IL POSSESSO - Usucapione, azioni di reintegrazione e di manutenzione, denuncia di nuova opera e di danno temuto-, Cedam, Padova 2011.
La pronuncia in oggetto decide la seguente fattispecie processuale,
"con ricorso del 1.12.1989 Censi Albertina e Agnesina, quali eredi di Censi Alfonsina, deceduta in Roma il 18.8.89, chiedevano al Pretore di Civitella Roveto di essere reintegrate nel possesso di una casa di abitazione sita in Civita d'Antino e degli arredi in essa contenuti, assumendone di esserne state spogliate da Marzetti Giovanni, il quale non aveva restituito la chiave che sua moglie si era fatta consegnare da una vicina che la deteneva durante il periodo di assenza della defunta. Il Pretore emetteva decreto di reintegra e, a chiusura della fase sommaria, accoglieva con sentenza la domanda delle ricorrenti. L'appello proposto dal Marzetti era accolto dal Tribunale di Avezzano con sentenza del 16.11.1989 nella quale quel giudice osservava: a) che la de cuius, avendo ceduto la casa al Marzetti con riserva di usufrutto, ne aveva mantenuto in vita il possesso in qualità di usufruttuaria; b) che non poteva farsi riferimento all'automatismo di cui all'art. 1146 c.c., nel caso (come quello di specie) in cui il possesso è destinato automaticamente a cessare nello stesso istante della morte del titolare; c) che non poteva neppure farsi riferimento all'esercizio di un potere di fatto in quanto esso non era ravvisabile in favore delle ricorrenti, d) che proprio la defunta Censi aveva autorizzato la consegna delle chiavi al Marzetti, consentendogli di rientrare nella disponibilità dell'immobile; e) che, in ogni caso, lo spoglio non era stato nè violento nè clandestino. Avverso detta sentenza ricorrono per cassazione Censi Albertina e Albertelli Ferdinando, erede di Censi Agnesina con unico atto che espone cinque motivi. Marzetti Giovanni resiste con controricorso"
sollecitata da parte ricorrente con cinque motivi di ricorso:
"nel primo motivo si deduce violazione degli artt. 1140 e 1146 c.c. sotto il profilo che, altro essendo il possesso ed altro il diritto a possedere connesso all'esistenza di un diritto reale, ben poteva estinguersi quest'ultimo diritto senza intaccare la situazione possessoria trasmissibile all'erede, secondo il disposto dell'art. 1146, tanto che da questi, ed anche dal semplice chiamato, sono esercitabili le azioni possessorie rispetto ai beni ereditari a norma dell'art. 460 c.c.. Nel secondo motivo si censura la sentenza per violazione dell'art. 460 in relazione all'art. 1146 c.c.. Lo stesso giudice di merito, cosciente della confusione fatta tra possesso e diritto a possedere, si era preoccupato di negare alle ricorrenti la tutela sotto il profilo della situazione di fatto e così, cadendo in errore sull'applicazione dell'art. 460 c.c., che tutela il chiamato anche a prescindere da un suo possesso dei beni, per cui l'art. 1146 finirebbe par tutelare l'erede meno di quanto l'art. 460 tuteli il chiamato. Le ricorrenti, quindi, potevano agire in possessoria anche senza avere il possesso dei beni. Il terzo motivo denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 1140 e 1146 c.c. e carenza di motivazione. Si lamenta in esso che la sentenza non avrebbe adeguatamente motivato il ribaltamento della convinzione del giudice di primo grado, circa la precarietà del possesso della moglie del Marzetti cui erano state consegnate le chiavi da ultimo non restituite. In ogni caso si doveva ritenere che il Marzetti, a seguito della consegna delle chiavi - che avveniva per mera tolleranza - era, al più, divenuto un compossessore. Col quarto motivo si lamenta violazione degli artt. 1168 e 1170 c.c. poiché anche nel caso in cui la consegna delle chiavi avesse portato ad escludere la violenza e la clandestinità dello spoglio, l'azione di tutela era nel caso concreto possibile ricorrendo le condizioni di cui al secondo comma dell'art. 11780 c.c.. Nel quinto motivo si lamenta violazione dell'art. 112 c.p.c. e carenza di motivazione per essere stata respinta la domanda delle ricorrenti, senza adeguata motivazione, anche in relazione ai beni mobili ed effetti personali contenuti nella casa quando il Marzetti aveva impugnato la sentenza di primo grado con motivi afferenti al solo immobile. Il primo motivo di ricorso è fondato".
L'accoglimento del primo motivo, che esaurisce la materia del contendere,
"degli altri motivi, il secondo, il terzo ed il quarto restano assorbiti, mentre infondato e da rigettare è il quinto per l'assoluta genericità di esso sia quanto alla indicazione delle cose che sarebbero state oggetto dello spoglio sia quanto al riferimento agli atti processuali riguardanti siffatti beni, che questa Corte dovrebbe, esulando dai suoi poteri, controllare. La censura è, in ogni caso, confusa e mal posta, sotto il profilo della violazione dell'art. 112 cpc e del difetto di motivazione, essendo contraddittoria rispetto al contenuto effettivo del motivo nel quale si denunzia sostanzialmente - sia pure, ancora una volta, in maniera generica ed approssimativa quanto alla indicazione degli atti processuali - la violazione del giudicato interno formatosi, in relazione ai beni diversi dall'immobile, sulla sentenza di primo grado che si assume non censurata sul punto. Il giudice di rinvio, che si individua nella Corte di Appello de L'Aquila, si atterrà ai principi di diritto sopra enunciati e provvederà anche sulle spese del presente giudizio di legittimità"
nell'enunciare il principio qui in commento, chiarisce ulteriormente come, costituendo il possesso, per la norma di cui all'art. 1140 del codice civile, un potere di fatto (che si manifesta in una attività corrispondente all'esercizio non solo della proprietà, ma di ogni altro diritto reale), l'erede di chi possedeva la cosa come usufruttuario sia legittimato ed esperire i rimedi, apprestati dall'ordinamento, contro chiunque compia atti di spoglio o di turbativa e anche nei confronti della persona divenuta piena proprietaria del bene, per effetto dell'estinzione del diritto di usufrutto di cui era titolare il defunto:
"il possesso, definito dall'art. 1140 del codice civile come "Il potere sulla cosa che si manifesta in un'attività corrispondente all'esercizio della proprietà o di altro diritto reale", è tutelato dall'ordinamento giuridico con le azioni di reintegrazione e di manutenzione, previste dagli. artt. 1168 e 1170 del codice civile, per garantire, nell'interesse collettivo, il diritto soggettivo alla sua conservazione contro gli atti di spoglio violento o clandestino e di molestia e per evitare turbamento alla pace sociale (ne cives ad arma veniant), a prescindere dalla esistenza di un titolo giustificativo, essendo considerato di per sè un valore meritevole di difesa. E, poiché, ai sensi dell'art. 1146 dello stesso codice, il possesso continua, con effetto dall'apertura della successione, nell'erede, quest'ultimo, alla morte del possessore, è legittimato a promuovere dette azioni. Pertanto, per agire come erede a tutela del possesso, di cui anteriormente era titolare il de cuius, è sufficiente provare la propria qualità di successore universale, non richiedendosi la dimostrazione dell'esistenza di un titolo che autorizzi ad esercitare il potere di fatto sulla cosa. È evidente, poi, che costituendo il possesso, per la norma di cui all'art. 1140 del codice civile, un potere di fatto, che si manifesta in una attività corrispondente all'esercizio non solo della proprietà, ma di ogni altro diritto reale, l'erede, di chi possedeva la cosa come usufruttuario, è legittimato ed esperire i rimedi apprestati dall'ordinamento contro chiunque compia atti di spoglio o di turbativa e anche nei confronti della persona divenuta piena proprietaria del bene per effetto dell'estinzione del diritto di usufrutto di cui era titolare il defunto. Nella specie il Tribunale, avendo ritenuto che le Censi, come eredi della posseditrice dell'immobile a titolo di usufrutto, non erano legittimate a promuovere l'azione di reintegrazione (art. 1168 cod. civ.) contro il Marzetti, perché quest'ultimo era divenuto pieno ed esclusivo proprietario del bene con l'estinzione dell'usufrutto, non si è adeguato all'enunciato il principio di diritto".
E bene ricordare che il chiamato all'eredità, nonostante possa invocare la propria successione nel possesso del de cuius a condizione che abbia assunto la qualità di erede, attraverso l'accettazione (anche tacita od implicita),
"il chiamato all'eredità, che possegga i beni ereditari, può invocare la propria successione nel possesso del de cuius, anche ai fini dell'usucapione, ai sensi dell'art. 1146 c.c., a condizione che abbia assunto la qualità di erede, accettando la eredità, ferma restando la configurabilità di un'accettazione implicita o tacita, ove il suo comportamento evidenzi la volontà di continuare il possesso esercitato dal dante causa" Cassazione civile, sez. II, 30/06/1987, n. 5747 Lo Monte c. Bongiorno Giust. civ. Mass. 1987, fasc. 6 Giust. civ. 1987, I,2206
può esperire le azioni possessorie anche prima dell'intervenuta accettazione (e senza necessità di materiale apprensione del beni ereditari):
"il chiamato all'eredità subentra al "de cuius" nel possesso dei beni ereditari senza la necessità di materiale apprensione, come si desume dall'art. 460 c.c. che lo abilita, anche prima dell'accettazione, alla proposizione delle azioni possessorie a tutela degli stessi, così come l'erede, ex art. 1146 c.c., vi succede con effetto dall'apertura della successione. Ne consegue che, nell'uno e nell'altro caso, instauratasi una situazione di compossesso sui beni ereditari, qualora uno dei coeredi (o dei chiamati) impedisca agli altri di partecipare al godimento di un cespite, trattenendone le chiavi e rifiutandone la consegna di una copia, tale comportamento - che manifesta una pretesa possessoria esclusiva sul bene - va considerato atto di spoglio sanzionabile con l'azione di reintegrazione. (Nella specie la Corte cass. ha cassato la sentenza di merito che, dopo aver erroneamente qualificato come chiamato all'eredità un coerede che aveva trattenuto le chiavi di un immobile rientrante nell'asse ereditario, aveva escluso che tale comportamento, accompagnato dalla pretesa di possesso esclusivo del bene, costituisse violazione del compossesso dei coeredi, qualificandolo come "ritenzione da godimento esclusivo a titolo di comproprietà per effetto del meccanismo successorio", senza considerare che la ritenzione è una forma eccezionale di autotutela insuscettibile di applicazione analogica fuori dalle ipotesi normativamente previste)". Cassazione civile, sez. II, 28/01/2005, n. 1741 De Burra c. Bevilacqua Giust. civ. Mass. 2005, 1 – conforme - Tribunale Bari, sez. I, 14/10/2008 - Giurisprudenzabarese.it 2008
Si vedano, a completamento e suggello di quanto sopra esposto, le seguenti pronunce giurisprudenziali:
"merita accoglimento il ricorso in reclamo avverso ordinanza di rigetto della domanda di reintegra nel possesso di terreno agricolo da parte di eredi che assumono essere stati spogliati con una serie di atti -missive, collocazione di paletti di recinzione, violento allontanamento- diretti ad impedire l'esercizio del possesso medesimo. Ciò in quanto l"erede acquista il possesso sui beni posseduti dal "de cuius" dall"apertura della successione senza compiere alcun atto di apprensione e indipendentemente da un rapporto diretto con il bene. Detto possesso si conserva senza la necessaria esplicazione di continui e concreti atti di godimento e di esercizio del possesso, essendo sufficiente che il bene posseduto, possa ritenersi nella virtuale disponibilità del possessore"; Tribunale Messina, sez. II, 03/03/2008 - Redazione Giuffrè 2009
"il principio della continuità nel possesso tra il "de cuius" e l'erede (art. 1146, comma 1, c.c.) consente a quest'ultimo, pur in assenza della materiale apprensione dei beni ereditari, il legittimo esercizio delle azioni possessorie, a fondamento delle quali è sufficiente la dimostrazione, da parte di chi invochi la successio possessionis, dell'esistenza di un titolo, anche invalido, (nella specie, il testamento) astrattamente idoneo al trasferimento dei beni ereditari, con la conseguenza che il giudizio possessorio così instaurato non può essere sospeso in attesa dell'esito del giudizio petitorio nel quale si discuta della validità del testamento". Cassazione civile, sez. II, 26/05/1998, n. 5221 Eccher c. Eccher Giust. civ. Mass. 1998, 1135