Non c’è bisogno di una riforma della costituzione per la separazione delle carriere. Basta chiamare gli inquirenti con il loro nome, inquirenti, e non magistrati, come vengono chiamati ora distogliendo i cittadini dalla loro funzione inquirente che viene ammantata della sacralità del giudice.
Il riferimento all’art. 111 della Costituzione, che prevede la terzietà e l’imparzialità del giudice, non impedisce la separazione delle carriere. Anche gli inquirenti si auspica siano terzi e imparziali nello svolgimento della loro funzione e ciò può essere previsto efficacemente anche con legge ordinaria.
Gli inquirenti acquisiranno la laurea in giurisprudenza, come gli avvocati e i magistrati, e avranno un percorso specifico post lauream per l’esame di abilitazione, che potrà svolgersi per concorso come per i magistrati, ma con prove specifiche alla funzione inquirente. Nessuno spostamento potrà avvenire dalla funzione inquirente alla funzione giudicante.
Ci sono già previsioni normative (la legge n. 11 del 2007, riforma Mastella, e la legge 71 del 2022) che dispongono la scelta tra la carriera inquirente e la carriera giudicante dopo nove/cinque anni di esercizio della funzione giudiziaria con grandi limitazioni se non divieti di cambio di casacca. Tuttavia queste leggi lasciano intatta la fase d’iniziazione, prevedendo che la funzione giudiziaria sia unica e che solo dopo aver acquisito la forma mentis, la forma diabolis, necessaria, compiuto il sacrificio e la mutazione alchemica, la funzione si possa biforcare. Non è questo che intendiamo come separazione delle carriere.
L’altra via scorpora gli inquirenti dalla magistratura e ne fa dei funzionari che rispondono al Ministero degli Interni. C’è chi grida allo scandalo immaginando intrecci politici inenarrabili. Costoro dimenticano che i magistrati rispondono al Ministero della Giustizia, al quale oggi rispondono anche i rappresentanti dell’accusa.
Comunque la si guardi, l’amministrazione della giustizia resta un’idealità. Tant’è che la funzione giudiziaria ha preso negli ultimi cinquant’anni la deriva emergenziale, dall’epoca del terrorismo, con la crescita esponenziale delle misure preventive e cautelari, ingenerando nella società il convincimento che la sicurezza sia il bene primario da tutelare a scapito di tutti i singoli beni che formano gli asset della vita dei cittadini con la conseguente compressione degli istituti del diritto civile, la famiglia e l’impresa in primis, e con grave compromissione della salute psicofisica dei cittadini.
Milano, 20 giugno 2023 Elisabetta Costa