-  Redazione P&D  -  22/07/2013

SOVRAFFOLLAMENTO CARCERI: LA MONTAGNA HA GENERATO UN ALTRO TOPOLINO? - Alberto MANZONI

Come noto, la sentenza Torreggiani c. Italia (CEDU 8.1.2013) ha imposto all"Italia termini alquanto stringenti (un anno) per porre rimedio ad una patologica condizione di sovraffollamento delle carceri nazionali. Verosimilmente anche sull"onda di quest'ulteriore impulso, il Governo ha emanato il d.l. 1.7.2013, n. 78 (G.U. n. 153 del 2.7.2013), attualmente in fase di conversione presso il Senato.

La lettura del decreto, nonché della documentazione correlata disponibile nel sito web del Senato (Comunicato alla Presidenza con Relazione e Relazione tecnica, Nota di lettura n. 11 e Dossier n. 35), presta il fianco ad alcune considerazioni.

Una prima osservazione, di carattere meramente lessicale, attiene già al secondo capoverso della parte introduttiva del decreto, nella quale si utilizza l"aggettivo "contingente" con riferimento alla inadeguatezza delle strutture penitenziarie. Di fatto nel Dossier, in tabella 4, viene riportata la capienza regolamentare degli istituti penitenziari nazionali (46.995 unità): nell"ipotesi che questo valore non sia mutato di molto nel corso degli anni, osserviamo in tabella 1 che le presenze effettive, nella serie storica 1991-2013, hanno superato la capienza regolamentare in ciascun anno, tranne in tre casi (1991, 1995 e 2006): parlare di "contingenza" per una situazione che si protrae da almeno 22 anni, ed ininterrottamente da sei, appare quanto meno assai discutibile sotto il profilo meramente lessicale. Si tratta, a ben vedere, di una condizione patologica strutturata ed ingravescente, con un lieve cenno di miglioramento nell"ultimo biennio.

Sempre nella parte introduttiva viene riconosciuto l"impatto (insufficiente) sul sovraffollamento carcerario della l. 26.11.2010, n. 199, anche se qualche limitato miglioramento è visibile: dal 2010 al maggio 2013 le presenze sono passate da 67.961 a 65.886 (-2075, pari a -3.05%). È appena il caso di osservare, a questo proposito, che per effetto di questa norma sono usciti dal carcere, a tutto il 30.06.2013 (fonte: www.giustizia.it), 11.184 detenuti; a questi andrebbero aggiunti quanti (ma il loro numero è ignoto), chiedendo l'applicazione del beneficio dalla libertà, non hanno neppure fatto ingresso in carcere. Questo significa che, ceteris paribus, la norma ha teoricamente impedito al fenomeno del sovraffollamento di raggiungere quanto meno la cifra monstre di 77.000 presenze (ossia, 2/3 in più della capienza regolamentare).

Entrando nel merito dell"articolato del provvedimento in esame, il primo impatto è con una misura che, mediando un termine dal linguaggio marinaro, potremmo definire una sorta di "clandestino a bordo": non è dato comprendere, infatti, quale impatto possa avere sul sovraffollamento delle carceri (se non, potenzialmente, addirittura negativo) l"introduzione del comma 1 bis nell"art. 284 c.p.p.: nulla quaestio sull'opportunità, se non necessità, della misura de quo, visibilmente e manifestamente volta ad offrire una maggior tutela alle vittime di reato (pensiamo, in particolar modo, alle vittime di violenza intrafamigliare piuttosto che di stalking), ma per la sua collocazione appare decisamente "fuori tema".

La modifica all'art. 656 c.p.p., con l'introduzione dei tre nuovi commi 4 bis, ter e quater, si prefigge di evitare l'ingresso in carcere a quanti sono chiamati a scontare brevi residui di pena: a questo scopo vengono attivati d'ufficio il PM, chiamato a computare eventuali periodi fungibili ai fini dell'espiazione della condanna in virtù della quale è chiamato ad emettere l'ordine di esecuzione, ed il Magistrato di sorveglianza, chiamato a pronunciarsi "senza ritardo" sulla richiesta del PM di valutare l'applicazione della liberazione anticipata. Questo meccanismo, nel suo attivare gli Organi giudiziari (PM e Magistrato di sorveglianza) a prescindere dall'istanza del condannato, parrebbe potersi inserire in quel filone (di pensiero prima, normativo poi) che, nei rapporti tra cittadino e pubblica amministrazione, ha sempre più ampliato, negli ultimi anni, l'azione autonoma della pubblica amministrazione (con interrelazione obbligatoria tra le varie branche in cui si articola) finalizzata a sollevare il carico burocratico incombente su cittadini e imprese (ad esempio, le norme in materia di certificati e dichiarazioni sostitutive di cui alla l. 12.11.2011, n. 183, in particolar modo l'art. 15). Nel Comunicato alla Presidenza (pag. 3) a questo proposito si afferma che "in questo modo, le detrazioni di pena connesse alla liberazione anticipata – istituto che rimane invariato quanto ai presupposti e agli effetti – sono «anticipate» al momento della emissione dell"ordine di esecuzione, sia per ragioni di equità, sia per limitare l"ingresso nelle carceri per brevi periodi di detenzione. Sarà possibile, infatti, sospendere l"ordine di esecuzione, applicando il meccanismo previsto nei commi 1, 5 e 10 dell"articolo 656, ogniqualvolta la pena residua da espiare risulti inferiore a tre anni, al netto delle detrazioni derivanti dalla liberazione anticipata". In linea teorica l'intento appare logico e condivisibile; non è chiaro, peraltro, quanto questa misura possa effettivamente incidere sul focus dichiarato della norma (il sovraffollamento carcerario, appunto). Il timore, forse eccessivo, è che l'utilità marginale del comma 1.1.b) della norma qui in discussione sia fortemente esposta al rischio di essere assai limitata. A questo timore si aggiunge una considerazione: l'aumento del carico di incombenze sul PM e sul Magistrato di sorveglianza, a parità di risorse disponibili (la clausola di invarianza non risparmia infatti magistrati né cancellieri) rischia di aggravare la già difficile gestione dei procedimenti attivi, a rischio di dilatare ulteriormente i già non brevi tempi di trattazione per quelli per i quali non è previsto espressamente (come in questo caso) l'obbligo di procedere senza indugio.

La modifica del 5° co. aumenta da 3 a 4 anni (per determinate e specificamente individuate tipologie di condannati) i termini per la sospensione dell'ordine di esecuzione, finalizzata a dare al condannato il tempo per proporre istanza di concessione di una misura alternativa. Anche in questo caso, come nel punto precedente, l'assenza di una qualsivoglia misurazione della prevalenza di soggetti esposti a questa modifica normativa preclude la possibilità di valutarne l'impatto attendibile sull'affollamento delle carceri, pur se fondatamente ipotizzabile un possibile effetto favorevole.

Le tre modifiche proposte al 9° co. dello stesso articolo vanno, a loro volta, nella direzione di ampliare la platea dei possibili beneficiari della sospensione dell'ordine di esecuzione abrogando preclusioni nei confronti degli autori di reati attualmente considerati di non particolare allarme sociale (l'incendio boschivo, il furto), nonché verso soggetti nei confronti dei quali sia già stata applicata la recidiva ex art. 99, 4° co., c.p. L'abrogazione di questo automatismo carcerogeno appare di non indifferente portata, posto che viene in questo modo consentito l'esame di istanze dalla libertà proposte da persone che, in virtù del loro cursus honorum delinquenziale, sino all'inizio di questo mese si sarebbero viste aprire le porte del carcere anche per l'espiazione di pene di modesta entità. Nel Comunicato alla Presidenza (pag. 4) si legge che "Questi interventi hanno un sicuro effetto deflattivo sulla popolazione carceraria e consentono di riequilibrare il sistema dell"esecuzione penale eliminando una serie di rigidi automatismi privi di un reale significato in termini di cosiddetta «difesa sociale». Si tratta, infatti, di preclusioni che non corrispondono all"accertamento di una attuale pericolosità sociale del condannato, ma si fondano su presunzioni legali generali e astratte, quali l"aver riportato una condanna per taluni reati o l"aver già riportato condanne per delitti, di qualunque specie e in qualsiasi tempo". Peraltro, viene introdotto il divieto di sospensione dell'esecuzione per le condanne per il reato di maltrattamenti in famiglia nei confronti di minore di anni 14 (art. 572, 2° co., c.p.), e per le condanne inflitte per atti persecutori aggravati commessi a danno di un minore, di una donna in stato di gravidanza o di una persona con disabilità di cui all"art. 3 della L. n. 104 del 1992, ovvero commessi con armi o da persona travisata (art. 612-bis, 3° co., c.p.). Andrà quindi valutato nel tempo l'effetto combinato, in tema di sovraffollamento, della risultante dello spostamento del divieto di sospendere l'esecuzione della condanna da una tipologia di reati ad un'altra.

La nota di lettura (pagg. 2-4) sottolinea che "La detenzione domiciliare o presso altro luogo privato di cui all'art. 47-ter della legge 26 luglio 1975, n. 354, costituisce modalità prioritaria di espiazione alternativa della pena, istituto a cui si ricorre nella maggior parte dei casi. Viceversa, il ricorso agli altri istituti, quali il collocamento presso il luogo pubblico di cura, assistenza o accoglienza, costituisce mero elemento residuale rispetto alla detenzione domiciliare. Tale evenienza, tuttavia, pur subendo in virtù delle disposizioni in oggetto, ivi compresa la modifica dell'articolo 656, comma 9. del c.p.p., un incremento, seppur modesto, del ricorso alle strutture di cura, assistenza o accoglienza, può essere adeguatamente fronteggiata con gli ordinari stanziamenti di bilancio del Dipartimento dell'Amministrazione penitenziaria. (…) Posto che la norma determina una estensione dei casi in cui può essere concessa la detenzione domiciliare, va però segnalato che - come peraltro ammesso dalla stessa RT - il richiamo all'articolo 47-ter della legge n. 354 del 1975, determina, simultaneamente, anche l'ampliarsi dei casi in cui, ivi sussistendone i presupposti soggettivi, il recluso, posto agli arresti domiciliari, potrà essere destinato anche in luoghi pubblici di cura, assistenza e accoglienza, anziché presso la propria abitazione. In proposito (…) andrebbe meglio chiarita la portata ed l'effetto degli oneri che sarebbero riflessi in tale specifica modalità di esecuzione alternativa della pena, fornendo elementi in merito: a) ai costi che ne conseguono per l'amministrazione penitenziaria per effetto della destinazione del detenuto posto ai domiciliari in luoghi altri rispetto alla sua abitazione; b) alle risorse già previste a legislazione vigente attraverso cui la stessa amministrazione potrà far fronte, ai maggiori oneri conseguenti all'ampliamento della citata casistica". (…) In proposito, andrebbe fornito un quadro di sintesi della platea di detenuti con pene fino a 4 anni che allo stato sarebbero potenzialmente interessati dalla norma di estensione della concessione degli arresti domiciliari, con l'indicazione dei fabbisogni organici e strumentali connessi ai tempi istruttori medi necessari ad assicurare la celerità indicata dalla norma". Come si vede, l'esigenza di una maggior chiarezza per quanto attiene al possibile impatto sulla popolazione detenuta, nonché sugli "oneri riflessi" (costo delle strutture, gestione amministrativa delle istanze) è ben presente anche nella documentazione ufficiale, all'interno della quale peraltro la domanda non trova risposta. In questo modo il legislatore si troverà a decidere, da un punto di vista meramente economico, sostanzialmente alla cieca.

L'art. 2 individua le modifiche a carico dell'Ordinamento penitenziario (L. 354/1957). L'art. 21, così come modificato dal d.l. in commento, appare assai poco in grado di incidere sul sovraffollamento, per due ordini di ragioni: in primo luogo, è tutta da valutare la numerosità della platea di soggetti interessati (nonché ritenuti idonei) a lavorare gratuitamente per la pubblica amministrazione (per tacer del fatto che, per la stipula delle convenzioni con gli enti di destinazione, sono necessari tempi tecnici difficilmente quantificabili, presumibilmente non brevissimi); in secondo luogo, trattandosi di "lavoro all'esterno", l'auspicata riduzione del sovraffollamento sarebbe solo diurna, lasciando immutato il problema in orario notturno e festivo. Per quanto attiene alle modalità di lavoro all'esterno, la Relazione tecnica (pag. 8) evidenzia che "tali modalità sono determinate dal decreto del Ministro della giustizia del 26 marzo 2001, il quale prevede, nell'ambito delle convenzioni stipulate con il Ministero della Giustizia, che gli oneri assicurativi del condannato contro gli infortuni e le malattie professionali, nonché riguardo alla responsabilità civile verso i terzi, siano posti a carico delle amministrazioni, delle organizzazioni o degli enti che si avvalgano delle attività a titolo volontario e gratuito dei detenuti e degli internati. Tali oneri, peraltro, di modesta entità sono ampiamente fronteggiabili con le risorse disponibili a legislazione vigente, nell'ambito dei bilanci delle organizzazioni e degli enti convenzionati". Dal canto suo, il Dossier (pag. 14) evidenzia che "la formulazione proposta dal decreto legge in conversione per il nuovo comma 4-ter dell'articolo 21 dell'ordinamento penitenziario potrebbe ingenerare qualche incertezza circa l'applicabilità, anche in riferimento alla nuova ipotesi normativa, delle altre previsioni di cui al medesimo articolo 21. Ad esempio, essendo logicamente l'attività a titolo volontario e gratuito qualcosa di diverso dal lavoro dei detenuti e degli internati come definito dall'articolo 20 dell'ordinamento penitenziario - di cui il lavoro all'esterno costituisce una specie - potrebbero sorgere dubbi in ordine all'applicabilità in questa distinta ipotesi dei limiti previsti, dal comma 1 dello stesso articolo 21, per i condannati per uno dei delitti indicati nei commi 1, 1-ter e 1-quater dell'articolo 4-bis del medesimo ordinamento. Un problema analogo potrebbe emergere per il fatto che non ci sia un'espressa previsione della necessità che il provvedimento di ammissione al beneficio sia approvato dal magistrato di sorveglianza (come invece prevede per il lavoro all'esterno il comma 4 dell'articolo 21 in questione, nonché il comma 5 del successivo articolo 69). Al riguardo si ricorda che, per una finalità non dissimile il comma 4-bis dell'articolo 21 recita: "Le disposizioni di cui ai commi precedenti...si applicano anche ai detenuti ed agli internati ammessi a...". Utilizzare anche nel nuovo comma 4-ter una formulazione analoga, oltre ad avere il vantaggio di impiegare una terminologia collaudata, presumibilmente non farebbe altro che esplicitare quella che già è l'intenzione del legislatore".

La riforma dell'art. 47-ter, seguendo il filone visto poc'anzi rispetto all'art. 656 c.p.p., amplia la platea dei possibili fruitori della detenzione domiciliare. In primo luogo viene cassata al preclusione prevista per i condannati recidivi (abrogazione del co. 1.1, soppressione dell'ultima parte del co. 1.bis). In questo contesto di agevolazione all'acceso alla detenzione domiciliare, suscita perplessità la nuova formulazione dell'art. 1-quater, che sottrae al Magistrato di sorveglianza la provvisoria applicazione della misura, vincolandone la concessione unicamente all'udienza collegiale in Tribunale di sorveglianza (i cui tempi di trattazione delle istanze sono ben diversi da quelli del Magistrato di sorveglianza), salvo nei casi in cui vi sia "un grave pregiudizio derivante dalla protrazione dello stato di detenzione". Questa nuova formulazione, oltre ad apparire antitetica rispetto alla linea d'indirizzo sin qui tenuta, sembra quasi voler istigare la proliferazione di istanze per "grave pregiudizio" (che, per inciso, la sentenza CEDU 8.1.2013 sembra individuare, nelle condizioni in cui viene espiata la detenzione in Italia, in re ipsa). A questo proposito osserva il Dossier (pagg. 16-18) che dal punto di vista sistematico "le disposizioni del comma 4 dell'articolo 47 dell'ordinamento penitenziario, in tema di affidamento in prova al servizio sociale, del comma 1-quater dell'articolo 47-ter del predetto ordinamento, in tema di detenzione domiciliare, del comma 6 dell'articolo 50 sempre del medesimo ordinamento penitenziario, in tema di ammissione alla semilibertà, del comma 4 dell'articolo 91 del Decreto del presidente della repubblica n. 309 del 1990, in tema di sospensione dell'esecuzione della pena detentiva per reati commessi in relazione allo stato di tossicodipendente, nonché del comma 2 dell'articolo 94 del medesimo decreto n. 309 del 1990, in tema di affidamento in prova al servizio sociale per reati commessi in relazione allo stato di tossicodipendente, sono tutte fra loro collegate e in queste disposizioni - qualora l'istanza per la concessione del beneficio sia presentata dallo stato di detenzione - questa deve essere presentata al magistrato di sorveglianza che può disporre l'applicazione provvisoria della misura (ovvero nel caso di cui al comma 4 dell'articolo 47, nonché in quello di cui al comma 6 dell'articolo 50 che al predetto comma 4 fa rinvio, il magistrato di sorveglianza può sospendere l'esecuzione della pena in attesa della decisione del tribunale di sorveglianza). Per effetto delle modifiche introdotte dal decreto legge, invece, l'istanza per la concessione della detenzione domiciliare ai sensi dei commi 1, 1-bis e 1-ter del citato articolo 47-ter, presentata dopo l'inizio dell'esecuzione della pena, dovrebbe ordinariamente essere rivolta al tribunale di sorveglianza. (…) Si rileva che il più recente orientamento del legislatore nella materia in questione - prima del decreto legge in conversione - è stato nel senso di configurare questi poteri di intervento provvisorio del magistrato di sorveglianza come poteri di disporre l'applicazione provvisoria del beneficio, essendosi ritenuta più coerente con la funzione di prevenzione speciale e con quella rieducativa della pena una soluzione che non interrompe l'esecuzione della stessa e l'applicazione delle misure trattamentali ove presenti. Con tale impostazione avrebbe potuto ritenersi più coerente un intervento normativo che configurasse i poteri provvisori del magistrato di sorveglianza nel caso di cui al comma 4 dell'articolo 47 dell'ordinamento penitenziario come i poteri provvisori dello stesso negli articoli 91 e 94 del citato Decreto del Presidente della repubblica n. 309 del 1990, dopo le modifiche ad essi apportate dal decreto legge n. 272 del 2005, ovvero nel medesimo comma 1-quater dell'articolo 47-ter anteriormente alla modifica apportata dal decreto legge in conversione. (…) In conclusione non appare agevole un'univoca ricostruzione della portata delle modifiche introdotte nel comma 1-quater dell'articolo 47-ter dell'ordinamento penitenziario sia sotto il profilo della loro rispondenza alle finalità perseguite dal decreto legge in conversione, sia sotto il profilo della coerenza sistematica delle stesse con le altre previsioni rilevanti in tema di esecuzione penale in ordine ai profili qui specificamente considerati, ferma restando in ogni caso la puntuale esigenza di correggere il rinvio all'inesistente comma 4-bis di cui si è detto".

L'abrogazione del 9° co., dal canto suo, sembra rientrare nel filone principale, eliminando l'automatismo della revoca della detenzione domiciliare a seguito di evasione. Nel Comunicato alla Presidenza (pag. 5) si afferma che la soppressione del 9° co. è "volta ad eliminare preclusioni di natura assoluta all"accesso a misure alternative alla detenzione, incompatibili con la finalità di rieducazione della pena, impedendo ogni valutazione di merito sulla condotta e sulla personalità del condannato da parte del magistrato di sorveglianza e sulla sua eventuale capacità ad eseguire la condanna in misure alternative alla detenzione".

L'abrogazione dell'art. 30-quater, sempre mantenendo l'attenzione sul focus della norma, a sua volta appare poca cosa, dato che i permessi premio hanno una durata massima di 45 giorni all'anno: estenderli ai soggetti dichiarati recidivi ex art. 99, co. 4, c.p., appare quindi di limitato momento.

Valgono, per quanto attiene alla abrogazione dei limiti per la concessione della semilibertà ai soggetti recidivi, le considerazioni già espresse a proposito dell'art. 21: la riduzione del sovraffollamento, indipendentemente dalla numerosità dei soggetti beneficiari, sarebbe solo diurna e feriale, lasciando immutate le condizioni di sovraffollamento in orario notturno e festivo. Più potenzialmente foriera di benefici sul sovraffollamento appare invece l'abrogazione del co. 7-bis dell'art. 58-quater, che poneva il limite della singola possibilità di accesso ai benefici penitenziari nei confronti dei condannati recidivi.

Quanto all'art. 3 (modifiche al d.p.r. 9.10.1990, n. 309), viene estesa ai tossicodipendenti ed agli assuntori di sostanze stupefacenti la possibilità di sostituire la pena detentiva con il lavoro di pubblica utilità, di durata pari alla pena comminata, tranne nei casi in cui la persona viene condannata per specifiche tipologie di reato. Inizialmente prevista solo per reati collegati alla produzione, traffico e detenzione illecita di stupefacenti, la possibilità di sostituire la pena detentiva con il lavoro di pubblica utilità viene ora estesa, di fatto, praticamente a tutti i reati commessi non solo dai tossicodipendenti, ma anche dai meri assuntori di sostanze stupefacenti. Pur confermando l'ipotesi, espressa poc'anzi, che i tempi per il reperimento di strutture idonee e la stipula di apposite convenzioni possano non essere brevissimi, tenendo in considerazione l'elevato numero di tossicodipendenti ristretti negli istituti nazionali, questa misura appare effettivamente in grado (almeno potenzialmente) di contribuire alla riduzione del sovraffollamento. Suscita però il dubbio, che solo il tempo potrà fugare, che questa misura sia contemporaneamente idonea a prevenire recidive nel reato anche solo durante la fase di espiazione della condanna in esecuzione: è impressione di chi scrive, infatti, che si tratterà di questione non infrequente, per la quale si porrà l'esigenza di individuare risposte "credibili". A ciò si aggiunga la difficoltà di individuare le persone "assuntrici di stupefacenti" (non dipendenti, quindi) in una fase successiva all'arresto: volendo escludere l'autocertificazione la questione, sotto il profilo medico-legale, appare assai complessa, specie nelle situazioni in cui tra arresto e accertamenti sui liquidi biologici trascorre un significativo intervallo di tempo. Questo, a prescindere dalle difficoltà di definire in modo operativo il concetto di "assuntore di stupefacenti": ad esempio, sarà sufficiente una monoassunzione in vita, ovvero sarà opportuno individuare dei cut-off quantitativi e/o cronologici rispetto al fatto-reato?

L'art. 4 interviene sui compiti attribuiti al commissario straordinariato del Governo per le infrastrutture carcerarie, le cui funzioni sono prorogate al 31.12.2014. Amplissimi i compiti conferiti al commissario straordinario, e vasta anche la facoltà d'azione, data l'attribuzione di poteri derogatori (co. 6). Una prima perplessità, peraltro, sorge quando si confrontano i molti e rilevanti compiti conferiti con il tempo assegnato (un anno e mezzo); una seconda si affianca quando si legge che, a fronte di una proroga delle funzioni, si statuisce una mera conferma delle risorse già assegnate: delle due l'una, o quelle inizialmente previste non sono state utilizzate durante il primo "mandato", oppure i fondi residui disponibili vengono ora "spalmati" in un arco temporale maggiore, rendendo per ciò solo inferiore la capacità di spesa per unità di tempo.

Peraltro la Nota di lettura (pag. 8) mette in luce che "il capitolo indicato dalla norma (n. 5421) non è allo stato individuato nell'ambito di quelli iscritti nel bilancio di previsione dello Stato 2013/2015". Dal canto suo il Dossier (pag. 22) ricorda che "la relazione della Corte dei Conti (delibera 11/2012/G emessa il 12 settembre 2012) indica un attivo di 333,4 milioni di euro al 28 agosto 2012. Le risorse derivano dai trasferimenti statali provenienti dai capitoli 7473 e 7300 dello stato di previsione del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, dalle somme provenienti dalla Cassa delle ammende, nonché dalle somme provenienti da Fondi regionali e privati". Puntualizza ancora la Nota di lettura (pag. 9) che "pur considerando che le risorse affluenti alla gestione commissariale risultano gestite a valere di una contabilità speciale di tesoreria, perciò "fuori" bilancio, e pur considerando che il comma 9 esclude espressamente che al Commissario straordinario spetti alcun compenso, andrebbe fatta luce sull'ammontare delle risorse che risultano ad oggi giacenti a valere della contabilità speciale richiamata dalla norma, al fine stesso di comprovare l'effettiva sostenibilità, a valere delle medesimi risorse, anche della proroga della gestione commissariale in rassegna". Continua la Nota di lettura (pag. 9) ricordando come "lo stanziamento di fondi affluiti in c.s. (contabilità speciale, ndr) sia stato fatto, a suo tempo, stimando un dato fabbisogno di risorse da predisporre a copertura dei compiti dell'organismo, secondo una certa configurazione e in connessione ad una data durata. Non si vede, pertanto, come le medesime risorse possano fronteggiare non solo i fabbisogni che derivano di per sé dalla proroga del funzionamento del medesimo organismo, rispetto a quella originariamente prevista (sino a tutto il 2014), ma anche rispetto alla nuova configurazione dell'ufficio del Commissario". Osserva ancora la Nota di lettura (pag. 10) che "quanto alla possibilità di comando presso l'ufficio del Commissario, va rilevato che la norma per cui si prevede che l'onere sia posto a carico dell'amministrazione di appartenenza, deroga espressamente all'articolo 70, comma 12, del TUPI laddove si stabilisce invece che ogni qualvolta si attuino tali forme di trasferimento tra amministrazioni dotate di autonomia finanziaria, quella di effettivo impiego sia tenuta sempre a rimborsare all'amministrazione di appartenenza del dipendente anche il trattamento "fondamentale", in aggiunta a quello "accessorio" direttamente corrisposto all'interessato. Quanto poi alla prevista possibilità di procedere alla stipula di contratti a t.d., va segnalato che l'articolo 9, comma 25, del decreto legge n. 78 del 2010 ha stabilito che le amministrazioni dello Stato, anche ad ordinamento autonomo, devono dal 2011 procedere a limitare il ricorso a contratti a t.d. nei limiti di una spesa massima pari al 50 per cento di quella sostenuta a consuntivo nel corso del 2009", quindi in un periodo in cui l'ufficio del Commissario straordinario ancora non era stato introdotto.

Conclude il decreto la consueta norma di invarianza finanziaria (art. 5). Sul punto la Relazione tecnica (pag. 7) conferma che "non sono emersi nuovi o maggiori oneri a carico dello Stato; sono anzi ipotizzabili, in prospettiva, risparmi di spesa per l'amministrazione penitenziaria, peraltro allo stato non quantificabili, visto l'ampliamento della platea di detenuti che usufruiranno dei benefici introdotti dall'applicazione del presente decreto legge".

Riassumendo, il decreto-legge qui in commento sembra ispirato alla "politica dei piccoli passi", nel senso che non vengono qui toccati molti aspetti dell'attuale Ordinamento che possono essere origine e causa del sovraffollamento: si è preferito intervenire con una legislazione d'urgenza che, ex post, interviene tentando di mitigare alcuni degli effetti del vigente quadro normativo. È opinione di chi scrive che molte delle misure sembrerebbero rivolgersi, in base a dati meramente esperienziali, a platee di possibili beneficiari tendenzialmente non vastissime. La totale assenza, nella documentazione allegata al decreto-legge, di una pur minima valutazione dal punto di vista quantitativo dei possibili (rectius, attesi) effetti delle misure adottate, non può che lasciare aperti ad ogni ipotesi di sviluppo, con l'auspicio che l'effetto esplicitamente ricercato possa essere effettivamente perseguito, ma col timore che l'effetto combinato della non vastissima platea dei possibili beneficiari, associato all'invarianza dell'assetto normativo che, di fatto, si è dimostrato intensamente carcerogeno, possa risolversi in un effetto limitato, parziale, lungi dall'essere risolutivo rispetto al fenomeno che si intende affrontare, con ciò rischiando che i termini fissati dalla CEDU con la sentenza ricordata all'inizio possano essere non rispettati in termini quantitativi e/o temporali.

 

Documentazione (dal sito web del senato)

  1. Disegno di Legge presentato dal Presidente del Consiglio dei ministri (Letta) e dal Ministro della giustizia (Cancellieri) - Comunicato alla Presidenza il 2 luglio 2013 - Conversione in legge del decreto-legge 1º luglio 2013, n. 78, recante disposizioni urgenti in materia di esecuzione della pena (con Relazione tecnica)
  2. A.S. 896: "Conversione in legge del decreto legge 1º luglio 2013, n. 78, recante disposizioni urgenti in materia di esecuzione della pena" - Luglio 2013, Nota di lettura n. 11
  3. Disegno di legge A.S. n. 896 - "Conversione in legge del decreto-legge 1° luglio 2013, n. 78, recante disposizioni urgenti in materia di esecuzione della pena" - luglio 2013, Dossier n. 35




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