-  Redazione P&D  -  30/12/2013

SOVRAFFOLLAMENTO CARCERI E D.L. 146/2013: UNA MISURA URGENTE PER UNA QUESTIONE CRONICIZZATA - Alberto MANZONI

"SOVRAFFOLLAMENTO DELLE CARCERI E D.L. 146/2013: ANCORA UNA MISURA URGENTE PER UNA QUESTIONE CRONICIZZATA" - Alberto MANZONI

 

Per la seconda volta in un anno il governo in carica ricorre alla decretazione d"urgenza per affrontare il problema del sovraffollamento delle carceri. Un primo tentavo era stato fatto all"inizio di luglio con il decreto legge 1.7.2013, n. 78, recante disposizioni urgenti in materia di esecuzione della pena, convertito con l. 9.8.2013, n. 94.

Come nel precedente decreto, anche in questa occasione viene sottolineata l"urgenza dell"adozione della misura: nulla quaestio sul fatto che il problema del sovraffollamento vada affrontato (e, possibilmente, risolto) in tempi brevi, sia per l"ormai imminente scadenza dei termini della nota sentenza Torreggiani c. Italia (CEDU 8.1.2013), che per le pressioni in tal senso provenienti da più parti (motivate da ragioni etiche ed umanitarie, ma anche finalizzate a ripristinare il rispetto della legalità all"interno degli istituti di pena): è appena il caso di osservare che ormai dal 2006, anno in cui venne promulgato il provvedimento di indulto noto come "indultino" (l. 31.7.2006, n. 241) il sovraffollamento delle carceri è un dato costante, e nulla è stato fatto per affrontare la questione con la dovuta ponderazione e sistematicità.

Nei cinque mesi di vigenza della norma estiva, in realtà, il sovraffollamento ha trovato un minimo di mitigazione, portando l"indice di affollamento (detenuti per posto regolamentare) da 1.40 a 1.34:

 

30/06/2013

30/11/2013

Differenza

Capienza regolamentare

47.022

47.649

627

Totale presenze (inclusi stranieri)

66.028

64.047

-1981

Di cui: in attesa di primo giudizio

12.210

11.873

-337

Di cui: con condanna non definitiva

12.239

12.050

-189

Di cui: con condanna definitiva

40.301

38.858

-1.443

Stranieri: in attesa di primo giudizio

4.817

4.720

-97

Stranieri: con condanna non definitiva

5.111

4.975

-136

Stranieri: con condanna definitiva

13.125

12.546

-579

Fonte dei dati grezzi: http://www.giustizia.it/ - Statistiche

Due i fattori sinergicamente intervenuti: un aumento della capienza regolamentare (+ 627 posti) ed una diminuzione effettiva delle presenze (-1981 unità); l"obiettivo del raggiungimento di una condizione di equilibrio del sistema è comunque ancora ben lontano dall"essere perseguito e necessiterebbe, a sommesso parere di chi scrive, un"attenta disamina dei flussi di ingresso e di uscita, anche alla luce della esatta individuazione delle risorse disponibili (ad esempio, il più volte citato "piano carceri"), atti a garantirne l"equilibrio.

Rispetto a quello estivo, il decreto qui in discussione affronta un ventaglio più ampio di aspetti che potrebbero (auspicabilmente) incidere sul sovraffollamento.

L"articolo 1, modificando l"art. 275-bis c.p.p., inverte i termini nella valutazione del giudice che, nel disporre gli arresti domiciliari, non sarebbe più chiamato a valutare se i mezzi di controllo elettronico siano necessari, bensì se non lo siano. In questo modo il controllo elettronico o con altri strumenti tecnici diverrebbe la norma, l"eccezione la non adozione. La misura appare, neppure troppo nascostamente, finalizzata a "rassicurare" il giudice sulla effettività della permanenza al domicilio del soggetto sottoposto alla misura cautelare, all"evidente scopo di ridurre il numero di persone non in espiazione di condanna irrevocabile ristrette in istituto di pena che, alla data del 30/11/2013, erano (vd tabella) 23.923, di cui 11.873 in attesa di primo giudizio e 12.050 con condanna non ancora definitiva. L"intento, in sé, potrebbe considerarsi adeguato e condivisibile, non fosse che per due fattori vincolanti: l"effettiva disponibilità dello strumento tecnico da parte della polizia giudiziaria (elemento sul quale non si dispone di dati attendibili) ma, ancor più, il consueto vincolo dell"invarianza degli oneri a carico del bilancio dello Stato (articolo 9). Sorge quindi un dubbio: anche nell"ipotesi che per ciascuna delle 11.873 persone in attesa di primo giudizio sia ravvisabile la possibilità di soddisfare le esigenze cautelari sostituendo alla custodia in carcere l"applicazione di strumenti tecnici, se questi non sono disponibili od utilizzabili con quali risorse acquisire quelli necessari?

La modifica dell"art. 678 c.p.p., dal canto suo, sembrerebbe voler agevolare il perseguimento dello scopo dichiarato dal decreto focalizzando l"attenzione sull"aspetto procedurale, sottolineando cioè l"incombenza a provvedere "senza formalità" nel procedimento di sorveglianza; nella nuova formulazione dell"articolo si osserva da un lato una più puntuale suddivisione tra materie di competenza del tribunale o del magistrato (1° co.) o del solo magistrato (2° co.), dall"altro l"ampliamento delle materie: nella precedente formulazione, infatti, non venivano ricomprese le richieste di riabilitazione e la valutazione dell"esito dell"affidamento in prova al servizio sociale, anche in casi particolari.

L"articolo 2 introduce due modifiche al d.p.r. 9.10.1990, n. 309. Da un lato, la pena per la produzione, traffico e detenzione illecita di sostanze stupefacenti viene ridotta nel massimo, per i casi di minore gravità, da sei a cinque anni; rimangono invariate la soglia minima della pena detentiva ed il range della pena pecuniaria. In questo caso, in tutta evidenza, l"effetto deflattivo punta sulla ridotta entità della pena detentiva. Di ben diverso impatto è la norma di cui al 2° comma, che abrogando il 5° co. dell"art 94 rimuove il limite dei due affidamenti al servizio sociale in casi particolari previsti per i tossico-alcoldipendenti che avevano in corso un programma terapeutico, o ad esso intendevano sottoporsi, nel momento in cui venivano chiamati ad eseguire una pena detentiva. L"abrogazione di questo limite risponde, oltre che alle esigenze deflattive summenzionate, anche ad un elementare principio di equità ed uguaglianza dei cittadini (art. 3 Cost.), posto che un"analoga soglia al numero di affidamenti in prova al servizio sociale "ordinari" ex art. 47 l. 354/1975 non è contemplata. Non è stimabile, ad oggi, quale impatto potrà avere questa misura sulla popolazione carceraria. Nel 2012 (fonte: Dipartimento Politiche antidroga, Relazione al Parlamento 2013 sui dati 2012) sono stati registrati 18.285 ingressi in carcere di persone tossicodipendenti (-18.4% rispetto al 2011), ma non è dato di sapere quante di queste persone, per le loro caratteristiche soggettive e giudiziarie, fossero candidabili ad un affidamento in prova ex art. 94 d.p.r. 309/1990. Vi è inoltre da osservare che, in maniera quasi corale, per l"espiazione della condanna in regime di affidamento in prova ex art. 94 d.p.r. 309/1990 il programma terapeutico privilegiato, agli occhi dei Tribunali di sorveglianza, è l"inserimento in comunità terapeutica, i cui oneri ricadono sul Servizio sanitario regionale. Posto che la retta giornaliera di una comunità terapeutica è, normalmente, di gran lunga inferiore al costo medio per detenuto (valutato dal Ministero della giustizia, per l"anno 2013, in € 123.78/die), per agevolare l"effettiva applicazione della norma potrebbe essere utile valutare se stornare il costo attualmente sopportato dall"amministrazione penitenziaria a favore del pagamento della retta comunitaria piuttosto che della mera permanenza in carcere, per non gravare sui già esangui bilanci del Servizio sanitario regionale. Merita inoltre di essere preso in considerazione il fatto che rendere potenzialmente senza limiti il numero di affidamenti in prova concedibili potrebbe costituire, per una persona con conclamati problemi di tossico-alcoldipendenza, un disincentivo alla responsabilizzazione o, in altro senso, un incentivo a non considerare con la dovuta attenzione l"occasione offerta non solo per espiare diversamente la pena detentiva, ma soprattutto per prendersi seriamente cura di sé e della propria condizione patologica. D"altro canto, per la persona non tossicodipendente, ma meramente assuntrice od abusatrice di stupefacenti, rischia di costituire, ancor più di quanto già accada oggi, occasione preziosa per tentare di gabellare per "dipendenza" un semplice abuso od uso. Per prevenire efficacemente questo fenomeno, potrebbe risultare utile un maggior dialogo tra Tribunale di sorveglianza, avvocatura e Servizi per le dipendenze, allo scopo di individuare soluzioni atte a non far rientrare in un unico "contenitore semantico" persone dipendenti, abusatrici o mere assuntrici di sostanze stupefacenti. Un esempio paradigmatico di questa possibile sovrapposizione di tipologie diverse di assuntori, indipendente dalla concreta problematicità individuale, è rinvenibile nell"ordinanza 19.6.2013 del Tribunale di sorveglianza di Torino (in questo stesso sito), nella quale viene rigettata un"istanza di affidamento in prova in casi particolari utilizzando un criterio meramente cronologico (ricostruzione puntuale dei periodi di assunzione e di astensione dall"uso di cocaina) ma ignorando nella sostanza la pur citata diagnosi del Ser.D. ("abuso", codice ICD-9 305) che, per sé sola, esclude la dipendenza, la quale costituisce invece il presupposto per la concessione della misura (art. 94, 1° co., che richiede la certificazione di "dipendenza", codice ICD-9 304).

L"articolo 3 contiene, inizialmente, norme miranti principalmente alla tutela dei diritti della popolazione detenuta, quindi non suscettibili di influire sulla sovrappopolazione degli Istituti di pena, se non per quanto attiene ad una maggior tutela nei procedimenti disciplinari che, come noto, per la popolazione detenuta costituiscono un importante elemento di valutazione ai fini della concessione della liberazione anticipata. Viene inoltre modificato l"affidamento in prova ex art. 47 l. 26.7.1975, n. 354, prevedendo un"estensione della pena massima da espiare, anche residua, da tre a quattro anni (comma 1.c, che inserisce il nuovo comma 3-bis nell"art. 47); inoltre, la novellazione del 4° co. art. 47 introduce l"applicazione provvisoria dell"affidamento in prova (misura già prevista per l"affidamento in prova in casi particolari), che può essere disposta dal Magistrato di sorveglianza. La misura si presenta finalizzata ad incentivare l"accesso alle misure alternative alla detenzione, la cui prevalenza al 30/11/2013 (fonte: Ministero della Giustizia) era la seguente: affidamenti in prova al servizio sociale dalla libertà 5.093, dalla detenzione 2.542; affidamenti in prova in casi particolari dalla libertà 973, dalla detenzione 1.904, provvisori 423, totale 10.992; semilibertà 838; detenzione domiciliare 10.189 (di cui L 199: 2.533). Farebbe piacere pensare che questa pulsione all"ampliamento della platea dei condannati ammessi all"affidamento in prova fosse basata non soltanto sull"esigenza di ridurre la sovrappopolazione degli istituti di pena, ma soprattutto (ci si contenterebbe, in realtà, di un semplice "anche") sul riconoscimento del fatto che vari studi, alcuni dei quali promossi dallo stesso Ministero della Giustizia, evidenziano un tasso di recidiva nel delitto molto minore tra quanti hanno avuto accesso alle misure alternative alla detenzione rispetto a quanti non ne hanno usufruito. Se così fosse, la logica conseguenza sarebbe una revisione degli organici dei Tribunali di sorveglianza e degli Uffici di esecuzione penale esterna (o, quanto meno, della copertura degli organici attualmente previsti in teoria ma inattuati e sofferenti nella realtà), ma sul punto il decreto in esame nulla dispone.

L"abrogazione del co. 4-bis dall"art. 47-ter, (punto f del comma 1.c) appare di poco pregio, in quanto il testo abrogato viene in gran parte recepito nel nuovo art. 58-quinquies, il quale rinvia all"art. 275-bis c.p.p. Ancora nella linea della sollecitazione all"auto-impulso dell"autorità giudiziaria, a prescindere dalla richiesta di parte, il novellato art. 51-bis, che onera il pubblico ministero di avvertire immediatamente il magistrato di sorveglianza in caso di sopravvenienza di nuovi titoli privativi della libertà a carico di persone già ammesse alle misure alternative alla detenzione, nonché di formulare contestualmente le proprie richieste.

L"articolo 4 è, all"interno della norma in esame, quello a più evidente e immediata potenzialità deflattiva. Viene introdotto, con effetto retroattivo di ben quattro anni ed in maniera automatica per tutti i detenuti (tranne per i condannati per uno dei reati di cui all"art. 4-bis l. 354/1975, per i quali la misura è potenziale e concedibile previa valutazione di alcuni parametri individuati dalla norma) un considerevole aumento della liberazione anticipata, che passa dagli attuali 45 a 75 giorni per semestre: di fatto, poco meno di metà della pena. Dall"applicazione della misura sono esclusi i condannati ammessi all"affidamento in prova ed alla detenzione domiciliare. Non sono previste esclusioni per specifiche tipologie di reato (tranne per quanto attiene al già menzionato limite dell" art. 4-bis l. 354/1975), circostanza questa che, in sede di conversione del decreto, ha buone probabilità di non rimanere inosservata, specie se correlata al considerevole aumento dello "sconto" di pena.

L"articolo 5 rende strutturale una norma che, soltanto tre anni fa, era stata presentata come "emergenziale": l"esecuzione presso il domicilio delle pene detentive non superiori a diciotto mesi, introdotta con l. 26.11.2010, n. 199, modificata con l. 17.2.2012, n. 9, la cui vigenza era prevista sino al 31.12.2013, vede scomparire la scadenza e diventa, in questo modo, strutturalmente ricompresa nell"ordinamento. Malgrado i timori iniziali, la norma ha sortito un buon effetto: al 30/11/2013 risultano usciti dagli istituti di pena grazie alla l. 199/2010 (fonte: Ministero della Giustizia) ben 12.741 condannati (di cui 3.679 stranieri). Curiosamente, i soggetti ammessi a questa misura non sono espressamente esclusi dai beneficiari dell"aumento della liberazione anticipata di cui all"articolo precedente, in tal modo creando una vistosa disparità tra persone ammesse ad espiare la pena detentiva in due modi che, al di là del diverso nomen iuris (detenzione domiciliare piuttosto che espiazione della pena presso il domicilio) sono, di fatto, sostanzialmente sovrapponibili.

L"articolo 6 apporta all"art. 16 del d.lg. 25.7.1998, n. 286 alcune modifiche che sono, a loro volta, nella traccia del principio di auto-impulso della pubblica amministrazione (la direzione dell"istituto di pena sollecita il questore e, in caso di esito favorevole, trasmette gli atti al magistrato di sorveglianza) allo scopo di snellire e accelerare il procedimento di espulsione del condannato straniero. Permane il limite della pena (due anni), viene inserita (5° co.) la possibilità di procedere con l"espulsione dello straniero anche se non è stata ancora espiata l"eventuale porzione di pena relativa a reati ostativi all"espulsione.

L"articolo 7 si appalesa del tutto ininfluente rispetto alla questione del sovraffollamento, ma segna comunque un passo importante nella direzione del monitoraggio delle condizioni di espiazione della pena, anche mediante visite non preannunciate da parte del Garante nazionale, con obbligo di riferire annualmente ai Presidenti dei due rami del Parlamento ed ai Ministri dell"Interno e della Giustizia.

Infine, l"articolo 8, nel suo prorogare i termini per l"adozione dei decreti in merito ad agevolazioni e sgravi fiscali per i datori di lavoro disponibili ad occupare detenuti ed internati, rischia di "remare contro" l"impianto e gli scopi del provvedimento. È del tutto intuibile che l"assenza di certezze (ad una settimana dalla fine dell"anno di riferimento) rischia di disincentivare i datori di lavoro dall"assumere detenuti ed internati, i quali in questo modo temono di veder pregiudicato il loro trattamento intramurario, la cui compromissione a sua volta potrebbe ripercuotersi anche nella concessione delle misure alternative alla detenzione, per tacere delle ben diverse condizioni di espiazione della detenzione tra chi lavora e chi non lo può fare.

In conclusione, il decreto qui in commento appare, grazie all"azione sinergica delle misure proposte, in grado di incidere sul sovraffollamento degli istituti di pena. Non è dato stimare in che misura questo sarà possibile, posto che non viene proposta all"attenzione del lettore degli atti del Parlamento alcun cenno epidemiologico atto a valutare l"effetto atteso.

Resta l"impressione che, come per il decreto estivo, si tratti di una norma meramente emergenziale, in quanto tale poco idonea ad introdurre nell"ordinamento le modifiche strutturali necessarie a ridurre gli ingressi in istituto di pena e, parallelamente, incentivare le uscite, unico modo che, a parere di chi scrive, può regolarizzare i flussi e ridurre in maniera permanente il sovraffollamento. Permane inalterata, inoltre, la questione delle risorse che si ritiene di dover investire (non "spendere") per debellare il fenomeno del sovraffollamento e, ancor più, avvicinare il "sistema-giustizia" alle esigenze ed alle aspettative dei cittadini.




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