l breve articolato in dieci punti del testo unificato assunto come testo base per le nuove disposizioni in materia di responsabilità professionale del personale sanitario suscita, per il vero, più di una preoccupazione.
Chi scrive non ha lesinato critiche ai precedenti disegni di legge, su questa stessa rivista, siano stati essi di destra (sul punto "RESPONSABILITA' MEDICA: L'ENNESIMA PROPOSTA DI LEGGE. CHE SIA UNO SCHERZO?" - Nicola TODESCHINI) ovvero di sinistra (si veda "MALASANITA', LA SFACCIATA PROPOSTA DI LEGGE DEL PD" - Nicola TODESCHINI) ampiamente commentati, e tali pessime esperienze mi hanno purtroppo liberato da quell'ingenuità adolescenziale che ancora mi faceva sperare in un intervento serio ed equilibrato del legislatore.
Il testo, accanto ad alcune scelte sulla carta quasi innovative e potenzialmente produttive, peraltro destinate a rimanere solo teoriche, è esemplificativo delle pressioni concentriche in buona parte derivanti dalle lobby delle compagnie di assicurazione sul tema della cosiddetta malasanità, ed in particolare sulla disciplina della responsabilità civile dei sanitari.
Gia la legge Balduzzi (in argomento alcuni contributi), esempio di amatorialità del legislatore, così come l'interpretazione, forzatamente ambigua, offerta in particolare dal Tribunale di Milano (ex multis “LE 50 SFUMATURE DI GRIGIO DELLA LEGGE BALDUZZI – Nicola TODESCHINI”), nonché il continuo sventolio della bandiera mediatica rappresentata dalla cosiddetta medicina difensiva, costituiscono in qualche modo antecedenti il-logici del testo in commento e spiegano come l'unica categoria che non trova sufficiente rispetto e le cui istanze raramente trovano accoglienza nelle peggiori giornate che il legislatore dedica al tema della responsabilità civile, è proprio quella dei danneggiati.
Che si tratti di sinistro stradale, ovvero di responsabilità professionale del medico, prevale ormai l'incomprensibile -ed in parte pure illegittimo- ricorso a manovre urgenti ed esasperate, in luogo della coerente programmazione; a guisa di quelle, invereconde, che riguardano i provvedimenti di pseudo perdono adottati tra amnistie ed indulti, come soluzioni, appunto d'emergenza, per affrontare il sovraffollamento delle carceri ed in luogo alla ben più coerente e preventiva realizzazione di nuovi posti di dignitosa espiazione della pena.
E proprio ad alimentare la presunta urgenza che il tema della responsabilità professionale medica consiglierebbe, gli sprechi che nella sanità vorrebbero accreditarsi alla cosiddetta medica difensiva ( in tema: “LE BUGIE DELLE COMPAGNIE DI ASSICURAZIONE - Nicola TODESCHINI), guarda caso disegnata quale reazione legittima alla protervia del danneggiato, che addirittura si mette in testa di chiedere il risarcimento del danno patito per cure errate, spiega quale sia il gioco delle lobby, che purtroppo, pure di un disattento legislatore: spiegare le deficienze organizzative, gli sprechi clientelari, la necessità di continuare ad ingrassare le lobby delle compagnie di assicurazione, accusando la vittima d'essere l'artefice addirittura della destabilizzazione di un sistema.
E così le soluzioni, come quando si debbono svuotare le carceri, sono quelle di diminuire le opzioni risarcitorie, ridurre l'entità dei risarcimenti, addirittura limitare il ricorso all'Autorità giudiziaria, financo riducendo il termine di prescrizione.
Insomma non v'è alternativa se non alle scelte diversive, alle opzioni che incidano sulle regole esistenti, creando tra l'altro nuove gravi discriminazioni (perché i medici si e gli ingegneri no?) e alimentando l'impressione di uno Stato sempre più barbaramente colluso con i poteri forti.
In una sanità pubblica alla quale sono avvinghiati ambienti delinquenziali, spesso collusi con la peggior politica, nella quale le liste di attesa sono vergognosamente alte, le disfunzioni organizzative sotto gli occhi giornalmente di tutti, gli errori ahimè fortemente pesanti, in un contesto nel quale le compagnie di assicurazione hanno goduto,
quantomeno dalla legge 57 del 2001 in poi, di continui aiuti da parte dello Stato, vedendo ridotte della metà l'entità dei risarcimenti che riguardano l'80% dell'esposizione delle compagnie di assicurazione medesime; in un contesto, infine, nel quale possono leggersi in termini di milioni di euro le liquidazioni dei top manager delle compagnie di assicurazione che ammettono dal 2001 in poi un pressoché dimezzamento della loro esposizione per i sinistri in genere, gli interventi più incisivi che vengono prospettati sono finalizzati, diciamocelo pure con estrema franchezza, ad impedire, al maggior numero di persone possibili, il ricorso al diritto a conseguire il risarcimento del danno.
Non v'è chi non veda, nell'ipocrita proposta di ridurre il termine di prescrizione una scelta che deve indurre alla vergogna, poiché le statistiche dimostrano che in particolar modo, di fronte ad alcuni errori, le vittime hanno tempi di reazione assai lunghi nel tempo, e proprio in funzione della difficoltà che il loro dolore provoca e per profittarne, vigliaccamente, si proporne di impedire loro addirittura di avanzare la richiesta del danno, appunto per intervenuta sempre più breve prescrizione.
Si tratta di un metodo scientifico per impedire anche a chi ne abbia il diritto di essere risarcito.
E lo stesso Stato che ad un tanto mira, è quello che dovrà farsi carico, con le proprie risorse, del sostegno anche previdenziale di chi, fuori dai tempi -ridotti- massimi, non avrà ancora potuto reclamare il proprio diritto e si troverà a ricevere attenzione solo dal misero peraltro sostengo dello Stato.
Lo Stato quindi regala alle compagnie un peso che in buona parte scarica del tutto sui suoi cittadini in parte direttamente, in altra parte indirettamente, dovendosene prendere cura a spese della collettività.
Ma ogni proposta di legge o di riforma incredibilmente partigiana della responsabilità professionale reca, nelle sue premesse, odi incondizionate alla sicurezza delle cure, al diritto alla salute dei cittadini, al principio del consenso in quel perfetto stile al quale ci hanno abituato le pur divertenti caricature di Albanese quando impersona Cetto La Qualunque: così anche il testo unificato in commento all'art. 1 ammette, suggestivo e malizioso, che la sicurezza delle cure è parte costitutiva del diritto alla salute, ed è perseguita nell'interesse dell'individuo e della collettività.
Aggiunge che presupposto fondante della liceità dell'atto sanitario è il consenso del paziente, e proprio perché la sicurezza della cura ed il diritto alla salute sono prioritari, propone poi di cancellare la responsabilità contrattuale del sanitario, di depenalizzare la sua responsabilità penale salvo colpa grave e/o dolo, e addirittura limita la scelta del consulente di parte costringendolo nell'elenco dei soggetti iscritti all'albo del tribunale adito (impedendo quindi di scegliersi il proprio consulente iscritto ad un qualsiasi altro tribunale!).
E' proprio vero, la sicurezza ed il diritto alla salute, sono in testa ai pensieri del legislatore.
L'art. 2, che riguarda l'attività di gestione del rischio sanitario, in modo assai condivisibile, ricorda che “la piena realizzazione delle attività di prevenzione e gestione del rischio sanitario rappresenta un interesse primario del servizio sanitario nazionale”; propone quindi l'attivazione di percorsi di audit finalizzati allo studio dei processi interni e delle criticità più frequenti, con addirittura la segnalazione anonima del “quasi errore e l'analisi delle possibili attività finalizzate alla messa in sicurezza dei percorsi sanitari. Promuove la rilevazione del rischio di inappropriatezza, predisponendo attività di “sensibilizzazione e formazione continua del personale, nonché l'assistenza tecnica verso (? n.d.r.) gli uffici legali della struttura sanitaria” nel caso di contenzioso.
Non c'è che dire quando si impegna con il politichese, il legislatore sembra veramente ispirato, novello Ippocrate,
(o ipocrite ?) a volere il meglio per i suoi consociati.
Peccato che tutta questa splendida attività di promozione della gestione del rischio sanitario sia destinata a rimanere sulla carta, poiché non si individuano veri poteri di indirizzo né sanzioni (non dimentichiamoci che siamo in Italia) per chi o coloro non rispettino tali indirizzi.
L'argomento dell'art. 3 (ufficio regionale del Garante del diritto alla salute) parrebbe voler smentire il mio pessimismo, giacché prevede l'istituzione del Garante per il diritto alla salute nelle regioni e nelle province autonome di Trento e Bolzano, salvo dimenticarsi il significato del verbo “potere”, ahimè preferito a quello di “dovere”; prevede infatti che “le regioni e province autonome di Trento e Bolzano possono istituire il Garante.
Vale la pena soffermarsi sull'inutilità di una tale ipocrita formulazione?
Il Garante dovrebbe esercitare il ruolo di difensore civico in ambito sanitario, potendo essere adito gratuitamente da ciascun soggetto destinatario di prestazioni sanitarie e agire a tutela del diritto leso, previ i necessari accertamenti.
Ma vi è di più.
Presso il Garante è istituita pure la struttura tecnica dell'Osservatorio regionale sulla sicurezza in sanità, con il compito di raccogliere i dati regionali sul contenzioso e sugli errori sanitari e trasmetterli all'organismo di riferimento nazionale.
Peccato che tutto questo splendido progetto non “deve” essere attuato, ma “può” essere attuato, a spese delle regioni e delle province autonome di Trento e Bolzano, che vorranno farsi paladine del funzionamento di questa risibile riforma.
Tanto che all'art. 4 è previsto che con decreto “del Ministero della Salute è istituito l'Osservatorio nazionale sulla sicurezza in sanità”, le sue meravigliose funzioni vanno dalle istituzioni di un sistema informativo per il monitoraggio degli errori, raccoglierà in modo omogeneo (?) tutti i dati regionali forniti dal Garante (ma se le regioni non istituiranno l'ufficio regionale del Garante, che tipo di statistiche avrà a disposizione il Ministero?), rivolgendo altresì azioni di coordinamento e di impulso nei confronti delle regioni: le stesse regioni che possono letteralmente fregarsene e nemmeno istituire l'ufficio del Garante per il diritto alla salute, che avrebbe il compito di fornire i dati all'osservatorio nazionale.
Ma state sereni! L'osservatorio comunque redigerà annualmente un proprio rapporto, magari relativo al solo Molise se in quest'ultima regione sarà, bontà del suo governatore, istituito l'ufficio regionale del garante del diritto
alla salute. Non riesco a togliermi di mente l'immagine di Cetto La Qualunque che, unto, unge il meccanismo dell'ipocrisia; certo, alle risa seguono amarezza e senso d'impotenza.
Raccontando in auto a mio figlio questa storia incredibile e quanto possano essere stolti gli adulti, il suo sguardo attonito mi ha, per un verso, promesso che non sarà anche lui annoverato tra gli adulti stolti, per l'altro, che è venuto il momento di usare toni decisamente più accesi.
Non va dimenticato che discutiamo di un legislatore che nella passata legislatura ha istituito la Commissione parlamentare sulla sanità cooptando al suo interno, insieme ad alcuni medici, pure un veterinario un geometra, un architetto, un perito industriale ed un'insegnante di ginnastica. (se non ci credete leggete QUI).
L'art. 5 si occupa invece della trasparenza dei dati stabilendo che “le attività sanitarie erogate dalle strutture pubbliche e private accreditate, o da singoli professionisti, sono soggette all'obbligo di trasparenza”.
Prevede che in 15 giorni vi sia l'obbligo di fornire la documentazione necessaria per la valutazione del caso e che sul web siano resi disponibili i dati relativi al complesso delle attività di contenzioso ed ai risarcimenti erogati nell'ultimo quinquennio.
Ancora una volta non prevede chi dovrà farsi carico di un tanto, tanto meno chi dovrà vigilare, figuriamoci se può immaginare le sanzioni nell'ipotesi in cui tale trasparenza rimanga, ancora una volta, sulla carta.
La responsabilità penale.
Ma è con l'art. 6 che il testo unico si comincia ad occupare dei profili maggiormanete legati alla responsabilità, premettendo anzitutto che le prestazioni medico sanitarie erogate nel rispetto delle buone pratiche e nelle regole dell'arte non costituiscono offesa all'integrità psicofisica e che v'è necessità, nel nostro codice penale, di un nuovo articolo, il 590 ter, c.p. che sotto la rubrica “morte o lesione come conseguenze di condotta colposa in ambito medico e sanitario” dovrebbe prevedere la punizione solo in caso di colpa grave o di dolo del sanitario che in presenza di esigenze preventive, diagnostiche, terapeutiche e riabilitative, risponderà penalmente ove cagioni la morte o una lesione personale del paziente.
Se sbaglia non gravemente e uccide qualcuno, non verrà quindi punito.
Eh sì, la sicurezza delle cure ed il diritto alla salute prima di tutti, come vogliono le premesse, ipocrite, delle auqli abbiamo discusso in apertura.
Le numerosissime istanze che riguardano la depenalizzazione hanno meritato, in questi anni, le motivazioni più articolate.
Da un lato il coro dei sanitari che si sentono vittime della querela facile del paziente, e per quanto ammettano che nel 98% dei casi il processo finisca con una assoluzione (dati peraltro sostenuti improvvidamente da chi ne ha interesse) ritengono che il rischio di essere condannati pregiudichi la loro serenità.
Mi si perdonerà il banale paragone, ma è come dire che essendo il camionista fondamentale per la circolazione delle merci, ed essendo quest'ultimo preoccupato ed irritato dalla presenza di eccessivi controlli e soprattutto dalla presenza di sanzioni ove venga colto a sbagliare violando le regole di comune e speciale prudenza, sia preferibile non perseguirlo penalmente se cagioni la morte o lesioni di terzi.
Lo stesso ben inteso vale per qualsiasi altro lavoratore, dipendente o autonomo, che ritenga l'esistenza del reato colposo di morte o lesioni eccessivamente fastidioso per la sua quotidiana serenità?
Non si tratta d'impedire il paragone tra il sanitario ed il camionista, volutamente forzato ma non certo del tutto improprio, ma di comprendere adeguatamente la ratio della depenalizzazione, rispettando le esigenze di coerenza e eguaglianza che impongono che non vi siano alcune particolari categorie di cittadini ai quali la forza preventiva
della sanzione penale possa non dover insegnare nulla!
Quindi la proposta del Ministero va addirittura oltre la Legge Balduzzi, depenalizzando anche chi non agisca in adesione a linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica. Eh si, conta, prima di tutto, la sicurezza delle cure.
La responsabilità civile
L'art. 7 invece affronta il tema della responsabilità civile, e prendendo le mosse dall'interpretazione, da chi scrive assai criticata, che della legge Balduzzi ha dato il Tribunale di Milano, contribuendo alla promozione di una corrente di pensiero decisamente filo-assicurativa, da un lato conferma, bontà sua, che la responsabilità civile della struttura pubblica e privata è contrattuale e disciplinata dall'art. 1218 c.c. (è incredibile il legislatore quando conferma sé stesso) ma, dall'altro, cancella l'art. 1218 c.c. quando si tratti di configurare la responsabilità dell'esercente la professione sanitaria, che viene definita solo di natura extracontrattuale, anche se l'avverbio -solamente- non è utilizzato, destinandone la disciplina all'art. 2043 c.c. .
Le conseguenze, note ai più, sono che le regole tipiche della responsabilità contrattuale che valgono per chiunque sia coinvolto in un rapporto obbligatorio (prescrizione di 10 anni, inversione dell'onere della prova, tra le più importanti), grazie a questo colpo di spugna, non valgono più per un solo professionista nel nostro Paese, ovvero per il sanitario.
La ragione è quella di ridurre le chance del malato danneggiato di potersi rivalere sul sanitario, come invece le regole attuali consentono.
La stessa norma prevede che l'esercente la professione sanitaria possa però intervenire in ogni fase e grado del procedimento civile nel quale NON sia stato quindi coinvolto (e che veda come convenuta la sola struttura sanitaria) e che sia tempestivamente informato dal promotore dell'azione di risarcimento. Da un lato, quindi, il legislatore vorrebbe impedire o comunque ridurre le chance di azione nei confronti del sanitario, per privilegiare la responsabilità contrattuale della struttura, imponendo non a quest'ultima ma al danneggiato di informare il sanitario dell'azione che vuole intraprendere fosse anche solo nei confronti della struttura, per consentirgli di essere presente e difendersi affiancando la struttura sanitaria.
E' assai originale che si imponga proprio al soggetto al quale si sottrae chance di rivalsa, l'obbligo di avvisare il destinatario di simile vantaggio, delle chance che quest'ultimo ha di venirsi a difendere anche se non chiamato. Può insomma il sanitario intervenire per difendersi anche se non direttamente coinvolto, ma potendo godere della miglior posizione che gli garantisce il titolo di responsabilità extracontrattuale.
L'azione di rivalsa della struttura:
E' previsto altresì che la struttura sanitaria possa esercitare azioni di integrale rivalsa nei confronti dei propri prestatori d'opera, dipendenti e non, dice la regola, solo però se il fatto sia stato commesso con dolo.
Come è noto il dolo è coscienza e volontà del fatto e non sarà anche ai non addetti ai lavori improprio comprendere che le condotte rilevanti dal unto di vista della responsabilità professionale, che siano connotate dal dolo, siano pressoché, grazie a Dio, inesistenti, poiché è evidente che quando si discute di responsabilità professionale non si intende colpire il sanitario che insegua nottetempo per le corsie dell'ospedale un paziente munito di scimitarra con la chiara consapevolezza di volerlo affettare.
In caso quindi di danno derivante da colpa e non da dolo, la struttura può esercitare l'azione di rivalsa nei confronti del dipendente, solo nella misura massima di un quinto della retribuzione, e per un periodo di tempo non superiore a cinque anni, cosicché il sanitario possa, immagino che sia questa la ratio della regola, poter trovare sul mercato una compagnia di assicurazione che lo garantisca dalla rivalsa, a costi più contenuti.
Dimentica però il legislatore, se tale sia effettivamente il suo fine, che in ogni caso il sanitario può essere chiamato in giudizio, ex art. 2043, e quindi non sarà comunque per lui una passeggiata individuare una compagnia di assicurazione che lo voglia assicurare senza tema, soprattutto se la compagnia di assicurazione ben sa che nella nostra cultura, pubblica e privata, la gestione del rischio è l'ultimo dei problemi che gli interessati si pongono, e quindi il rischio che l'evento di verifichi non sia certo contenuto.
L'obbligo di assicurazione:
L'art. 8 quindi prevede l'obbligo di assicurazione per tutte le aziende del servizio sanitario nazionale, le strutture e gli enti privati operanti in regime autonomo o di convenzione col servizio sanitario nazionale, e tutte le altre strutture o enti che a qualunque titolo rendano prestazioni sanitarie, ad eccezione di quelle che si avvalgono delle forme di autoassicurazione pur previste dal comma 4 della stessa norma.
Pure il personale sanitario che eserciti la propria attività al di fuori di una struttura sanitaria, deve essere quindi provvisto di propria copertura assicurativa per la responsabilità civile verso terzi.
Cosi è tenuto ciascun esercente la professione medica o sanitaria operante a qualunque titolo in presidi sanitari pubblici o nelle aziende del servizio sanitario o in strutture private, a stipulare un'adeguata polizza di assicurazione per garantite l'efficacia dell'azione di rivalsa, pur nei limiti più sopra esposti.
Sono concesse, dal citato comma 4, forme di autoassicurazione delle aziende del servizio sanitario nazionale operante nel territorio regionale, salva la garanzia assicurativa di tutela contro i grandi rischi.
Il Fondo di solidarietà:
Il successivo art. 9 prevede che con un regolamento adottato con decreto del ministro della salute -che se tali norme verranno confermate sarà, chissà in quale era vedrà la luce- si istituisca il Fondo di solidarietà per l'indennizzo (non per il risarcimento!) delle vittime da alea terapeutica.
Si tratta di una novità poiché si discute della possibilità di erogare una somma non a titolo di risarcimento del danno, ma di indennizzo a fronte dell'alea terapeutica e non tanto e non solo dell'errore.
Il comma 2 precisa infatti che “il Fondo è destinato all'erogazione di indennizzi per danni derivanti da prestazioni sanitarie prodottisi in assenza di evidente errore personale del sanitario, sulla base di tabelle di invalidità percentuale e di indennizzo determinate in conformità con quanto previsto negli ordinamenti degli Stati membri dell'Unione Europea.”
Dovranno quindi essere stabiliti i tipi di sinistro indennizzabili dal fondo di solidarietà e tra questi sono già citati espressamente le infezioni nosocomiali, i contagi tra trasfusione e le reazioni avverse da farmaci, come se queste ultime siano ipotesi di danni da alea terapeutiche e non da errore del sanitario.
Infine è chiarito che accedere all'indennizzo garantito dal Fondo di solidarietà rende impossibile ogni altra domanda di risarcimento da parte del soggetto che ha subito il danno e che dovrà quindi comprendere se accontentarsi di detta forma di indennizzo dalla incerta calibrazione oppure affidarsi alle ordinarie vie della contestazione per inseguire il risarcimento integrale del danno.
I consulenti tecnici:
L'art. 10 infine riguarda la nomina dei consulenti tecnici d'ufficio così come, incredibilmente, pure dei consulenti tecnici di parte e dei periti, prevedendo che “in tutte le cause civili e procedimenti penali aventi ad oggetto la responsabilità professionale sanitaria, i consulenti tecnici d'ufficio, i consulenti tecnici (di parte forse? n.d.r.) ed i periti sono scelti in un apposito Albo, istituito presso ciascun tribunale, e che ciascun consulente possa essere iscritto esclusivamente per la disciplina per cui è specialista.
Nelle cause civili e penali l'Autorità giudiziaria dovrà affidare l'attività di consulenza ad un Collegio, presieduto da un medico legale.
Peraltro, bontà sua, il legislatore prevede che grazie però ad un'autorizzazione motivata del Presidente del tribunale della Corte d'Appello (figuriamoci quanto elaborato sarà invocarla ed ottenerla) i consulenti possano anche essere attinti dagli Albi istituiti presso altri tribunali o anche soggetti diversi, qualora il caso richieda competenze di speciale natura.
E' bene precisare, in materia, che il problema della scelta del consulente tecnico d'ufficio è sempre stata molto delicata: chi scrive, per esempio, invoca sempre l'individuazione di consulenti tecnici d'ufficio iscritti in Albi di tribunali diversi da quello adito, proprio per garantire serenità ed evitare dubbi sulla parzialità del loro operato.
E' ovvio che se invocata in giudizio è la responsabilità di un centro di riferimento regionale importante, magari legato alla vicina università, ed essendo verosimilmente gli Albi del tribunale della stessa città infarciti di consulenti legati proprio alla stessa università, o ad ambienti ad essa attigui, sia quantomai inopportuno pensare di chiedere ad uno di essi di esprimere un giudizio sui colleghi con i quali ogni giorno entra in contatto.
Ed un tanto non solo per la sfiducia che gli esseri umani dovrebbero nutrire nei confronti dei loro simili, ma per evitare anche e solo le condizioni di imbarazzo che finiscono per influenzare pure i consulenti migliori, seppur a volte in modo quasi inconsapevole.
Giusto quindi che il magistrato possa attingere il nominativo anche da albi di altri tribunali, meglio sarebbe addirittura prevedere che in questi casi la nomina vada preferibilmente orientata grazie alla consultazione degli elenchi degli Albi custoditi presso altri tribunali evitando quindi di dover pensare di dover passare attraverso altre autorizzazioni del Presidente del tribunale che potrebbero anche essere negate semplicemente per l'impossibilità di riuscire a gestire tutte le richieste tempestivamente. Si sa che di burocrazia e di inutili autorizzazioni si può anche morire.
Ma l'ultimo comma dell'art. 10 merita attenzione ulteriore, se possibile, perché prevede che le parti scelgano i propri consulenti tecnici o periti (quindi i C.T.P.) “tra i soggetti iscritti nell'Albo presso il tribunale, in relazione alla materia di competenza”. Sembra quindi che il giudice possa nominare, previa autorizzazione motivata del Presidente del tribunale ovvero della Corte d'Appello, anche consulenti iscritti negli elenchi di Albi conservati presso altri tribunali, mentre le parti siano costrette a selezionare i propri tecnici nell'elenco depositato presso l'Albo del tribunale adito, con ciò comprimendosi, inspiegabilmente, il diritto di difesa, alle parti di potersi fare assistere da chi ritengano più capace.
E' come se venisse imposto, per una causa innanzi il Tribunale di Padova, di scegliersi un avvocato iscritto all'Ordine degli avvocati di Padova!
Che dire, in sintesi, di questo testo unificato che sarà adottato come testo base per la discussione delle nuove regole in materia di responsabilità professionale?
Dobbiamo ancora una volta essere assai preoccupati, ma mai mesti né addomesticabili.