Diritto all'equa durata del processo
Applicazione della legge 89/2001 - legge Pinto
"La complessità del caso" è valutazione di merito e non spetta al giudice di nomofilachia - l'astensione dell'avvocato non è addebitale a ritardo del "sistema giustizia".
Si prende in esame una recentissima sentenza della Corte di Cassazione Civile (sez. VI 15 settembre 2015 n. 18118) in tema di equo indennizzo da durata irragionevole di giudizio l. 89/2001 - Legge Pinto.
Il fatto, in breve: S.G. chiedeva la condanna del Ministero della giustizia al pagamento del danno non patrimoniale sofferto a causa della irragionevole durata di un giudizio civile avente ad oggetto il risarcimento dei danni derivanti dalla illegittima costituzione di un cartello assicurativo; giudizio iniziato in data 8 novembre 2005, innanzi alla Corte d'appello di Napoli, competente per materia, e non ancora conclusosi alla data della domanda;
La Corte d'appello menzionata, tuttavia, in data 3 ottobre 2013, rigettava il ricorso sulla base del rilievo che l'eccedenza del termine di durata ragionevole del processo fosse "minimale", attesa la "non comune complessità" della causa e la circostanza che alcuni rinvii non fossero stati giustificati da esigenze difensive;
Il ricorrente in Cassazione denuncia violazione e falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2, censurando il decreto impugnato quanto alla determinazione della durata indennizzabile, infatti, per il soggetto che lamenta il pregiudizio, la Corte d'appello si sarebbe limitata a definire apoditticamente il giudizio presupposto di "non comune complessità", senza tuttavia svolgere alcuna valutazione in concreto a tal riguardo; inoltre, la Corte d'appello avrebbe errato nel detrarre per intero la durata dei rinvii, determinati dalla adesione dei difensori alla astensione dalle udienze che la parte ricorrente sostiene anch'essi non individuati in concreto -, atteso che i detti rinvii non potevano essere integralmente imputati al comportamento del S., ma dovevano altresì essere addebitati alle carenze dell'ufficio giudiziario;
Per i giudici di Piazza Cavour il ricorso è infondato.
In primo luogo, infatti, la Suprema Corte chiarisce che " la complessità del caso, il comportamento delle parti e la condotta dell'autorità - cosi come la misura del segmento, all'interno del complessivo arco temporale del processo, riferibile all'apparato giudiziario, in relazione al quale deve essere emesso il giudizio di ragionevolezza della relativa durata, risolvendosi in un apprezzamento di fatto, appartiene alla sovranità del giudice di merito e può essere sindacato in sede di legittimità solo per vizi attinenti alla motivazione"
In secondo luogo, ancora più importante, la Corte di Cassazione sancisce che, quanto alla denunciata erronea detrazione dei rinvii conseguenti all'astensione degli avvocati dalle udienze, deve rilevarsi che, contrariamente a quanto prospettato da parte ricorrente, il rinvio delle udienze per effetto dell'astensione dei difensori dall'attività di udienza non è in sè imputabile all'organizzazione dell'ufficio giudiziario, essendo riferibile ad una scelta consapevole del difensore, per tale ragione addebitabile, in sede di equa riparazione, alla parte rappresentata che lamenti la irragionevole durata del processo nel quale la detta astensione è avvenuta.
Va, infatti, condiviso il principio in base al quale "l'equa riparazione di cui alla L. 24 marzo 2001, n. 89 integra un credito a contenuto indennitario, non risarcitorio, prescinde da atti o contegni illeciti od illegittimi, deriva dall'oggettivo verificarsi d'inosservanza dell'art. 6, paragrafo 1, della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, con lesione del diritto della persona alla definizione della causa in un termine ragionevole, in dipendenza dell'inefficienza dell'organizzazione giudiziaria, e, dunque, abbraccia tutte le "violazioni di sistema", ivi incluse quelle riconducibili a scelte legislative che determinino o concorrano a determinare l'eccessivo protrarsi della lite. Fra le indicate "violazioni di sistema" non può essere compresa l'omessa emanazione di norme di legge per disciplinare l'esercizio del diritto di astensione dalle udienze degli avvocati, giacchè la mancanza di dette norme non è causa o concausa, secondo i comuni parametri in tema di nesso eziologico, del rinvio dell'udienza per l'adesione dei difensori a manifestazione di protesta, detto rinvio restando riferibile a libere scelte dei competenti ordini professionali e dei loro iscritti, nell'esercizio di diritti a rilevanza costituzionale che quella disciplina non potrebbe comunque compromettere, e, quindi, rimanendo imputabile a fattori esterni ed estranei all'organizzazione giudiziaria" (Cass. n. 2148 del 2003; Cass. n. 15143 del 2005; Cass. n. 29000 del 2005; e di recente: Cass. n. 7323 del 2015);
che, in conclusione, il ricorso va rigettato, con conseguente condanna del ricorrente, in applicazione del principio della soccombenza, al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, come liquida te in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta, il ricorso; condanna, il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 500,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della 6 - 2 Sezione civile della Corte suprema di Cassazione, il 11 giugno 2015.
Depositato in Cancelleria il 15 settembre 2015