-  Redazione P&D  -  31/05/2015

PUBBLICA AMMINISTRAZIONE: APPALTI DI SERVIZI ED ESCLUSIONE- C.S. n 1861/15- Carmelo MICELI

-Gara d"appalto

-Impostazione sostanzialistica dei requisiti di partecipazione alla gara

-Insussistenza di esclusioni per mere carenze formali

La sentenza posta alla vostra attenzione si pone nel solco dell"impostazione "sostanzialistica" inerente ai requisiti di partecipazione alla gara, suffragata dall"Adunanza Plenaria con la sentenza n. 16 del 2014, e in armonia con la ratio di cui all"art. 39 del D.L. n. 90/2014. A mente di tale opzione interpretativa, si ravvisa una inequivoca voluntas legis di evitare nella fase del controllo delle dichiarazioni e, quindi, dell"ammissione alla gara delle offerte formulate, esclusioni dipendenti solo da difetti formali.

Con maggior impegno esplicativo, e secondo il tenore delle argomentazioni rassegnate nel suddetto decisum plenario, il Collegio evidenzia che "poiché la dichiarazione sostituiva relativa all'insussistenza delle condizioni ostative previste dall'art. 38 d.lgs. n. 163 del 2006 non deve contenere la menzione nominativa di tutti i soggetti muniti di poteri rappresentativi dell'impresa, quando questi ultimi possano essere appunto agevolmente identificati mediante l'accesso a banche dati ufficiali o a registri pubblici, la stessa regola deve valere per i soci, dovendosi in caso contrario evidenziare un"inammissibile disparità di trattamento nella disciplina dell"accesso alle procedure di gara".

Ne deriva che, in relazione ai soggetti diversi dal titolare e/o dal legale rappresentante dell"impresa, si può addivenire all"esclusione unicamente nel caso di riscontro della mancanza del requisito di moralità richiesto, situazione questa non palesatasi nella vicenda in esame.

La decisione di Palazzo Spada si inscrive in una più ampia logica che governa l"azione dei pubblici poteri: una logica che vede la dequotazione di meri vizi formali che non hanno incidenza sostanziale sullo svolgimento dell"azione autoritativa. Mutuando da esperienze giuridiche straniere, anche da noi, si sono succedute riforme che hanno posto l"accento sulla dinamica sostanziale degli assetti di interessi contrapposti. Il vizio di valore che può inficiare l"episodio di esercizio del potere, deve provarne l"effettivo sviamento dal modello normativo.

E, sia pure a fronte di resistenze concettuali che ribadiscono sulla scia del ricordo di Laferriére, che il legislatore non può stabilire il superfluo e come quindi non debba essere trascurata la categoria dei vizi formali, è indubbio ormai che la legalità di risultato che guida la veste autoritativa, abbia profondamente mutato anche i margini di annullamento dei provvedimenti.

L"evoluzione in particolare dell"eccesso di potere, che ha condotto a un sindacato penetrante sulla correttezza della funzione esercitata, mostra come le vie della malizia tra amministrazione e cittadino siano giustiziabili non per meri peccati di forma, ma per sviamenti contenutistici della funzione istituzionale. Si assiste, ormai, come lumeggiato in dottrina, a una rivincita del principio di buon andamento su quello di legalità formale, anche come sintesi dei rimedi giurisdizionali assicurati contro la patologia amministrativa.

Simili conclusioni appaiono coerenti anche alla luce della più ampia dimensione che interessa il rapporto tra ente pubblico e concorrenza, in cui vanno equilibrate l"esigenza di giustizia contro i vizi di legittimità, da una parte, e quelle di salvaguardia della fiducia che il mercato ripone nel contratto della p.a., dall"altra.

Come insegnano i più recenti studi economici, proprio la concorrenza per il mercato (franchising) e nel mercato (regolamentazione), ci danno la misura della trasformazione dell"intervento pubblico nell"ambito dell"economia, in cui la correzione di forze asimmetriche deve muovere da vizi sostanziali.




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