Flessibilità della misura
Dopo aver esaminato la disciplina dell’amministrazione di sostegno, ci si accinge ora a presentarne quelle che, secondo chi scrive, sono le caratteristiche più positive. Si metterà in risalto, alla luce di tali pregi, anche la marcata differenza tra il nuovo istituto e le due tradizionali misure di protezione, al fine di dimostrare come il nuovo strumento offerto dalla legge sia di gran lunga più idoneo a dare risposta alle esigenze dei soggetti deboli. La prima qualità che emerge studiando la disciplina dell’amministrazione di sostegno è la flessibilità154. Invero, l’istituto presenta una “notevole adattabilità del contenuto dei provvedimenti assunti dal giudice alle concrete caratteristiche della situazione di vita del soggetto beneficiario”155; lo strumento è così in grado di far fronte alle condizioni di debolezza di ogni genere: ogni beneficiario avrà un “abito su misura”, pensato in base alle sue difficoltà ed ai suoi bisogni156. Ciò è reso possibile, in particolare, dalle disposizioni sull’oggetto dell’incarico e sugli atti di competenza dell’amministratore: non è la legge a prestabilire i compiti di chi assiste l’incapace, ma il giudice tutelare, in base alle concrete condizioni del soggetto debole, e tenendo conto di quali negozi sia opportuno che vengano conclusi157; la condivisibile scelta del legislatore di non fare ricorso alle classiche categorie di ordinaria e straordinaria amministrazione dovrebbe spingere i giudici ad elencare con precisione gli atti oggetto dell’incarico, almeno attraverso l’uso di categorie ristrette di negozi158. Inoltre, l’art. 407 c.c. consente al giudice di modificare in ogni tempo le decisioni assunte con il decreto di nomina: è in tal modo possibile mutare, anche a più riprese, la struttura dell’amministrazione, per tenere conto dell’evoluzione delle condizioni del beneficiario e rispondere ad esigenze che siano nel frattempo sorte. Al magistrato, inoltre, spetta anche la decisione sulla durata dell’incarico, che può essere a tempo determinato: possibilità, questa, che arricchisce l’amministrazione di ulteriore duttilità159. Alla flessibilità dell’istituto si accompagna la proporzionalità: sin dall’art. 1 della legge 6/2004 si evince il chiaro intento del legislatore di conservare la capacità d’agire in capo ai soggetti deboli, per quanto possibile. Di conseguenza, i limiti posti all’autonomia devono essere del minor grado possibile, oltre che strettamente necessari alla tutela della persona e del suo patrimonio. Il rapporto tra capacità ed incapacità, che prima della riforma era sempre stato estremamente rigido, diviene ora “mobile e fluido”160. Tutte queste caratteristiche non sono certo proprie delle due originarie misure di protezione, ed in particolare dell’interdizione: nello schema di tali istituti, alla pronuncia del giudice consegue l’attribuzione all’infermo di uno status: la persona è riconosciuta come completamente (o almeno in parte) incapace, e di conseguenza le viene nominato un tutore. La flessibilità è del tutto assente nella disciplina dell’interdizione, almeno nella sua formulazione originaria161: l’interdetto non può compiere nessun atto, dato che non residua in lui alcuna capacità d’agire. Né, tantomeno, pare ravvisarsi proporzionalità nell’istituto dell’interdizione, in quanto il relativo regime non muta né a seconda della gravità della patologia, né in base alle necessità da soddisfare ed agli atti da compiere; al tutore è semplicemente affidata la totalità delle situazioni giuridiche soggettive in capo all’interdetto. La Corte costituzionale, nella recente sentenza sui poteri dell’amministratore di sostegno in ambito di trattamenti sanitari162, nel motivare la decisione ha sottolineato le caratteristiche di duttilità e proporzionalità dell’amministrazione: riguardo alla prima, il giudice delle leggi argomenta: “L’amministrazione di sostegno è, insomma, un istituto duttile, che [...] può essere plasmato dal giudice sulle necessità del beneficiario, anche grazie all’agilità della relativa procedura applicativa”163; sul grado di limitazione della capacità, la Corte afferma: “Attribuendo al giudice tutelare il compito di modellare l’amministrazione di sostegno in relazione allo stato personale e alle condizioni di vita del beneficiario, il legislatore ha inteso limitare «nella minore misura possibile» la capacità di agire della persona disabile: il che marca nettamente la differenza con i tradizionali istituti dell’interdizione e dell’inabilitazione, la cui applicazione attribuisce al soggetto uno status di incapacità, più o meno estesa, connessa a rigide conseguenze legislativamente predeterminate”164.
Centralità della persona
Procedendo nell’illustrazione dei pregi (...)
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