Deboli, svantaggiati  -  Alceste Santuari  -  23/11/2022

PNRR, partenariati pubblico-privati e valutazione dell’impatto sociale

Come molti commentatori e studiosi hanno già evidenziato, il PNRR dedica ampio spazio al finanziamento di attività, progetti e interventi che contemplino una collaborazione tra enti pubblici e soggetti privati.

Per quanto riguarda, nello specifico, la M5C2, dedicata a “Infrastrutture sociali, famiglie, comunità e terzo settore”, risulta evidente il perimetro di applicabilità delle partnerships tra gli enti locali (e per la missione 6 le aziende sanitarie, unitamente agli enti locali) e soggetti privati, in specie non lucrativi.

Non sembra superfluo, in questa sede, richiamare che i partenariati pubblico-privati, nozione giuridica di derivazione eurounitaria, possono declinarsi in diversi modelli, siano essi “contrattuali” ovvero “istituzionalizzati”. Nei primi, la P.A. e il soggetto privato sottoscrivono un accordo/contratto/convenzione per l’esecuzione di un’opera o la prestazione di un servizio (es. project financing) e, pertanto, non costituiscono alcuna struttura giuridica. Nel caso dei partenariati istituzionalizzati, la P.A. e il soggetto privato convengono sulla necessità/opportunità/utilità di creare una entità terza e distinta ex novo, finalizzata all’esecuzione di un’opera ovvero all’organizzazione ed erogazione di un servizio di pubblica utilità.

Le formule di partnerships pubblico-private rappresentano una interessante e valida soluzione da valutare e adottare nell’ambito dello svolgimento di attività di interesse generale, quali quelle riconducibili agli ambiti socio-assistenziale e socio-sanitario. Per la realizzazione di tali attività, gli enti locali, le società da questi partecipate e le ASL possono esaminare le ipotesi di strutture forme di collaborazione con organizzazioni, in specie non profit, attraverso le quali sperimentare soluzioni innovative per rispondere a determinate esigenze che promanano dalle comunità locali.

Anche i fondi previsti dal PNRR sembrano rafforzare la consapevolezza che per rendere gli interventi maggiormente efficaci, efficienti e sostenibili è necessario individuare soluzioni organizzative, gestionali ed erogative che non contrappongano gli “universi”, tradizionalmente distinti, delle organizzazioni privati e dei soggetti pubblici. Anzi, enti pubblici e soggetti privati sono chiamati a condividere non soltanto l’obiettivo ultimo da realizzare, ma anche le specifiche modalità giuridico-organizzative attraverso le quale quell’obiettivo deve essere conseguito in un’ottica di beneficio per la comunità in cui l’opera, l’attività, il servizio ovvero l’intervento si realizza.

Ancorché ad esito di un cammino non sempre lineare e compreso, le collaborazioni pubblico-private sembrano oggi proseguire spedite verso una loro legittimazione, non soltanto giuridica, ma anche culturale, soprattutto laddove debitamente e correttamente implementate, esse richiedono di poter essere valutate, al fine di evidenziarne le potenzialità e i rischi. In quest’ottica, uno strumento che il Codice del Terzo settore ha previsto per valutare l’azione degli enti non profit, segnatamente, la Valutazione di impatto sociale (VIS), potrebbe risultare la “misura” adeguata per dimostrare i benefici, le ricadute e le potenzialità di sviluppo delle partnership pubblico-private sui territori e nelle comunità di riferimento.

Le “Linee guida per la realizzazione di sistemi di valutazione dell'impatto sociale delle attività svolte dagli enti del Terzo settore”, approvate con decreto 23 luglio 2019 del ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, ribadiscono che la VIS “ha per oggetto gli effetti conseguiti dalle attività di interesse generale da essi svolte”. Gli indicatori di impatto, tra l’altro, misurano la qualità e la quantità degli effetti di lungo periodo generati dall’intervento e descrivono i cambiamenti registrati a seguito di quell’intervento.

In altri termini, alla (presunta) bontà dello strumento giuridico-organizzativo, si aggiunge uno “stress test” della capacità del medesimo di produrre effetti positivi per la comunità di riferimento. Si pensi, al riguardo, quanto questo metodo e approccio possano risultare utili nella presa in carico dei pazienti-utenti-cittadini più fragili, al fine di disegnare soluzioni di intervento che sappiano, allo stesso tempo, garantire la fruizione dei livelli essenziali delle prestazioni e assicurare una continuità assistenziale nel tempo.

In questa prospettiva, gli enti pubblici risulterebbero rafforzati nella loro azione di “spinta gentile”, di coordinamento, di monitoraggio e di vigilanza, mentre i soggetti privati non profit, adeguatamente valorizzati, sarebbero maggiormente in grado di apportare il loro contributo autonomo e originario in una dimensione di amministrazione condivisa, così come ribadito dal Giudice delle Leggi nella nota sentenza n. 131 del 2020.




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