"Si, io lo voglio sposare!
In chiesa, con i fiori e con l'abito bianco. Come quello delle principesse, come in televisione, come la figlia della vicina".
"Perchè lui? Perchè è gentile. Perchè mi sorride, mi guarda. Mi parla, anche se parla una lingua strana e non lo capisco tanto. E, quando vado a fare la spesa con la tata (la accompagno volentieri proprio perchè so che lo incontrerò) ed andiamo al negozio della frutta, dove lui lavora, appena il padrone non vede, mi regala sempre una mela o una banana".
"Quando ci siamo dati il primo bacio? Ma questo è personale! Si tratta della mia, della nostra intimità! Perchè lo devo dire a te?! Io non ti conosco, non so neanche chi sei!"
"In fondo c'ha ragione!" - pensava tra sè e sè, sorridendo per la considerazione schietta e sincera espressa dalla ingenua fanciulla di tarda età.
Qualche volta, per qualche attimo, balenava anche a lei l'idea che in fondo si trattasse di una sfera troppo intima e personale per potervi accedere, per poterla violare.
Ma la prerogativa della riservatezza è destinata a cedere di fronte alla necessità di protezione, di cura della persona, della tutela dei suoi interessi personali ed esistenziali, oltre che patrimoniali.
E proprio tale finalità giustifica quel dover entrare (anche se sempre in punta di piedi, s'intende, o almeno bisogna sforzarsi di farlo) nella vita delle persone di cui era chiamata ad occuparsi nell'esercizio della sua funzione di giudice tutelare.
Come far capire alla ragazza che se le chiedeva di quel bacio era solo per proteggerla?
Perchè aveva il dovere, oltre che l'esigenza, di verificare, di comprendere, di valutare, di riscontrare nella realtà della sua storia personale, la sussistenza di elementi da cui poter desumere ed accertare se lei fosse solo un po' "flippatella" ma comunque in grado di capire e decidere, oppure no; e se il suo "innamorato" le volesse davvero bene, se fosse sincero, o fosse invece solo una questione di interesse.
Avrebbe voluto farle capire che lei era sì un'estranea, ma che il suo compito era di tutelarla. Che avrebbe tenuto conto delle sue aspirazioni e dei suoi bisogni, e rispettato, se possibile, le sue scelte, il suo diritto all'autodeterminazione, compresa la decisione di sposarsi; ma che era suo dovere accertare che non fosse vittima di raggiri ed avesse la piena consapevolezza del significato del matrimonio e delle sue conseguenze, in termini di responsabilità ed effetti giuridici, personali e patrimoniali.
Spesso nel suo lavoro era chiamata a valutare richieste di amministrazione di sostegno (di interdizione nessuna più da tanto tempo, per fortuna - ma comunque, anche in tal caso, avrebbe optato per il più moderno e sensibile strumento di protezione) avanzate dai familiari di persone a vario titolo in difficoltà (a causa di uno stato di fragilità o di una più o meno grave incapacità di intendere e volere ovvero di un deficit delle facoltà cognitive intellettive e/o psichiche), preoccupati dalla decisione del congiunto di sposarsi.
E sovente quei timori si rivelavano effettivamente fondati: tanti i casi di approfittamento della vulnerabilità affettiva di giovani "toccatelle" o di anziani facili da incantare (talvolta di vere e proprie condotte a rilevanza penale: circonvenzione di incapaci, truffa), tale da indurli alle nozze con chi era mosso in realtà da motivi che nulla avevano a che fare con le ragioni del cuore ed i sentimenti più puri, ed attenevano invece, ad esempio, a questioni meramente patrimoniali ed ereditarie o di acquisto della cittadinanza da parte di extracomunitari privi di permesso di soggiorno.
Ed in questi casi aveva dovuto impedire il matrimonio, ma lo aveva fatto con provvedimenti di incapacitazione, di natura temporanea e revocabile, tali da costituire non già una mortificazione della persona e della sua dignità, bensì presidio idoneo a tenerla al riparo e preservarla da eventuali futuri disastri sentimentali e patrimoniali.
Andata via la ragazza, l'udienza successiva: entrava in aula un signore, elegante, distinto, di una certa età.
"Gentile dottoressa, siamo qua perchè i miei 'cari' ritengono che io mi sia rimbambito!
D'accordo non sono più un giovincello, ma - le assicuro - sono lucido e ragiono benissimo.
E lo dimostra proprio il fatto che i miei figli adducono per dimostrare invece che sarei uscito fuori di testa.
La verità è che ad un certo punto mi sono reso conto che ho trascorso la vita a far felici gli altri. Ho lavorato indefessamente per garantire alla mia famiglia una vita serena ed agiata.
E mentre io ero chiuso dalla mattina alla sera nel mio studio a stipulare atti (sono un notaio - ora in pensione), mia moglie si divertiva senza di me ed i miei tre figli facevano la bella vita scialacquando le mie sostanze e non concludendo nulla, ahimè, tant'è che ancora adesso, che hanno una certa età anche loro, campano sulle mie spalle. Ed è questo il vero motivo per cui si interessano tutti alle mie vicende.
Ad un certo punto, però, io mi sono svegliato ed ho capito che ora tocca a me! Il tempo che mi rimane lo voglio dedicare alla mia felicità!
E la mia felicità è lei!
Si, è bellissima, è rumena ed è giovane, molto più giovane di me.
Le dirò che metto anche in conto che stia con me per interesse - ed in questo non sarebbe poi diversa da mia moglie e dai miei figli.
Posso anche pensare che forse preferirebbe stare con un avvenente giovanotto a prendere il sole sulle spiagge di Ibiza e ballare con lui tutta la notte, anzichè stare con me, seduta sulla panchina di un parco a tenermi la mano.
Ma il fatto è che lei ci sta. Con me. Su quella panchina.
E già solo per questo io voglio garantire anche a lei un futuro senza più incertezze. Voglio che sia lei a godere, con me, di quello che mi resta, del mio tempo e delle mie risorse. Già non potrò darle tutto quello che vorrei, tutto quello che hanno avuto loro.
A Lei, dottoressa, devo dimostrare che non sono confuso, ottenebrato, rimbecillito, che non sono stato raggirato dalle doti di seduzione di una ammaliante sirena che finirà per divorare me ed il mio patrimonio... per cui non le dirò, non posso dirLe che, invece, lei mi ama!
Anche se io lo so, intimamente lo sento che lei mi ama. Certe cose si sentono.
Si! Ama me! Davvero, profondamente, disinteressatamente.
E sono certo che non vorrebbe stare in nessun altro posto fuorchè su quella panchina, con me.
Sono certo che non approfitterà di me, che non mi abbandonerà, che non mi spezzerà il cuore.
Anzi, se vuole sapere la verità, - lo so, sembra paradossale - sono io che faccio soffrire lei, che la rendo gelosa, la trascuro e non la faccio sentire amata, come vorrebbe, come meriterebbe.
Ma lei mi ama!
A nessuno sembra possibile. Tanto meno a mia moglie ed ai miei figli - il che la dice lunga sui loro sentimenti e sulla loro considerazione di me: non mi amano e non credono che mi si possa amare.
Le dirò soltanto che a questo punto della mia vita io voglio e devo esser libero di fare quello che desidero.
Finalmente libero di disporre di me stesso, dei miei beni e della mia vita, come meglio ritengo.
Sarò libero, finalmente, di fare quel che più mi aggrada?!
Ed io, si, la voglio sposare!".