-  Redazione P&D  -  19/01/2015

P.A.: IL GIUDICE AMMINISTRATIVO NON PUÒ SOSTITUIRSI ALLAUTORITÀ- C.S. 6029/2014- C. MICELI

 

  • Istanze concorrenti di assegnazione in concessione di beni pubblici

  • "Riserva di amministrazione"

  • Il Cons. St. ha statuito che il g.a. non può sostituirsi al Comune, effettuando valutazioni invece riservate alla sfera amministrativa

La decisione in commento è di particolare interesse per tornare su una categoria concettuale che non finisce di affaticare giurisprudenza e dottrina, anche all"esito di quella che fu detta la rivoluzione copernicana del cpa: stiamo parlando della c.d. riserva di amministrazione. Nozione che, peraltro, ha impegnato non poco Autori e giudici nell"ammettere la costituzionalità delle cosiddette leggi-provvedimento, seguendo le preziose indicazioni di Mortati. 

Nell"esordio della motivazione, il C.S. richiama il tenore delle argomentazioni spese in prime cure. Il TAR campano aveva evidenziato che ove concorrano istanze di assegnazione in concessione di beni pubblici, è obbligo dell"ente valutare comparativamente quale tra queste sia quella  maggiormente aderente al pubblico interesse.

Nondimeno la ratio decidendi esplicitata in primo grado appare, a dire di Palazzo Spada, viziata poiché attraverso di essa, il Collegio partenopeo si è  sostituito al Comune, spiegando in luogo di questo "le valutazioni invece riservate alla sfera di amministrazione e cioè la comparazione di contrapposte istanze per l"utilizzo di un"area pubblica".  Il TAR ha dunque "esorbitato dai limiti di un giudizio di legittimità… a questo specifico riguardo, deve sottolinearsi che l"amministrazione – e solo essa - è tenuta ad effettuare un simile giudizio, in ragione dei principi di imparzialità, trasparenza e di "riserva dell"amministrazione" che informano il suo agire autoritativo".

Al riguardo, si rammentano altresì le argomentazioni rassegnate dall"Adunanza plenaria (sent. n. 5/2013), ove si stabilisce che anche la concessione di beni pubblici suscettibili di sfruttamento economico da parte di privati deve avvenire previo esperimento di procedure ad evidenza pubblica.

Il Consiglio di Stato disattende, allora, le difese dell"amministrazione, le quali sembrano urtare principi declinati da pacifica giurisprudenza. Alla luce di consolidato orientamento, infatti, la proprietà di un"area vicina e la manifestazione di una concreta aspettativa ad un dato utilizzo, danno luogo un "interesse differenziato" a che anche una propria domanda venga vagliata dall"autorità competente.

Declinando tali principi al caso concreto, vista l"aspirazione ad un impiego privato del bene nota al Comune, attraverso l"istanza del ricorrente anteriore a quella della controinteressata, ne deriva che l"ente locale non avrebbe dovuto concedere l"area in questione a terzi, senza consentire all"odierno appellante di interloquire in sede procedimentale, mediante la comunicazione di avvio del procedimento ex art. 7 l. n. 241/1990.

Tanto delineato, vediamo adesso di rimeditare tali conclusioni, e di svolgere una eventuale funzione di controcanto. Condivisibili gli assunti da ultimo esplicitati, in cui si ribadisce l"obbligo del Comune di aprire il dialogo procedimentale con il cittadino che aveva spiegato la prima istanza di utilizzo dell" area pubblica. Fase che invece è stata trascurata, facendo girare a vuoto la storia del nostro diritto, che ha conosciuto il fondamentale passaggio da un"amministrazione d"ordine a un modello  di prestazione di servizi. Cambiamento essenziale, che vede nella partecipazione del privato che dialoga con il potere, un momento ineliminabile nella manifestazione della funzione pubblica: come evidenziato da autorevole dottrina (Ledda, il quale valorizzava studi di sociologia di Simon), la comunicazione diviene costitutiva della stessa nozione di organizzazione amministrativa.

Deve invece essere rimeditata l"affermazione relativa alla "riserva di amministrazione", sulla cui base si è ritenuto di inibire al g.a. di sviluppare una motivazione che si sostituisca a valutazioni che spettano all"ente pubblico. Ma attenzione a fare buon uso di categorie giuridiche così vischiose, invero ormai in ombra nell"affermazione costituzionale piena e completa della difesa del cittadino che agisce contro il potere illegittimo. Dobbiamo liberarci dai lacci del pudore burocratico, se non vogliamo ancora fare della separazione dei poteri la tesi organizzativa che impedisce il sindacato pieno dell"esercizio della funzione amministrativa. La riserva di amministrazione, invero, non avrebbe cittadinanza nella nostra Carta Fondamentale, che non attribuisce sempre e comunque all"apparato l"esclusiva delle pertinenti attribuzioni gestorie. E, a maggior ragione, dovrebbe escludersi la persistenza di tale ambigua categoria giuridica, se in sintonia con taluni autori, si arrivi a sostenere che il processo amministrativo altro non è che la continuazione del procedimento, ove, a ben vedere, non ci si limita a vagliare la conformità a legge di un atto, ma a stabilire il corretto assetto di interessi sotteso al rapporto amministrativo su cui già si sia consumato l"intervento doveroso della p.a nei termini prescritti. Se dovessimo, altrimenti, ridare larga applicazione alla c.d. riserva di amministrazione, rischieremmo di riportare indietro le lancette della storia di oltre cent"anni come ebbe modo di dire Rupp per una fattispecie di analogo tenore. Altro è invece, preservare le sacche di discrezionalità dell"autorità competente, siccome ancora imposto dall"art. 31 del cpa (ma guai a tradurre da ciò un sistema di tutela dimezzato).

Potremmo ancora indagare temi connessi, e insistenti sulla natura debole o forte del sindacato intrinseco del potere ma (anche per pigrizia, per carità) credo si possa ancora rinviare alle sagge parole espresse nel decisum n 924 del 2006 del C.S., ove si pone in evidenza come l"effettività della tutela debba essere coniugata alla specificità della controversia, in cui si chiede al giudice non di esercitare un potere, ma di verificare, senza alcuna limitazione, che quel potere sia stato correttamente svolto.

Come insegnano gli antichi, la brevità è misura da osservare e mi accingo quindi a concludere. Nell"attuale fase, dove emerge il diritto dell"emergenza, che tenta difficili equilibri tra la stabilità del vincolo negoziale e la fluidità dell"interesse pubblico, potrebbe non essere salutare per i nostri appetiti processuali legarci ad astratte ossessioni concettuali. Nell" incontro tra descrizione teorica e realtà, la dignità dell"iniziativa economica ha bisogno del dire giustizia, che non soffra alcun limite, dinnanzi all"edizione del potere pubblico. Che poi questa affermazione rechi scomodità, pazienza..Fors" altri canterà con miglior plettro…




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