-  Cristofari Riccardo  -  22/09/2015

MUTUO: FONDAMENTO GIURIDICO DELL'ART. 1815. 2° CO., C.C. - Riccardo CRISTOFARI

La familiarità rispetto ai meccanismi rappresentati dalla distinzione fra nullità parziale e totale e dalla sostituzione automatica aveva consentito di risolvere la questione della natura dell"art. 1815, 2° co., c.c. nella sua versione originaria («se sono convenuti interessi usurari, la clausola è nulla e gli interessi sono dovuti solo nella misura legale») inquadrando tale disposizione nello schema dell"art. 1419, 2° co., c.c.

Di fronte alla nuova formulazione della disposizione in esame («se sono convenuti interessi usurari, la clausola è nulla e non sono dovuti interessi») non appare altrettanto agevole trovare una confacente soluzione al problema qualificatorio.

Parte della dottrina per risolvere il problema del fondamento giuridico dell"art. 1815, 2° co., c.c. ha creduto di poter fare ricorso alla figura della conversione legale. Precisando, peraltro, che la conversione del mutuo oneroso in mutuo gratuito nulla avrebbe a che fare con il principio di conservazione del negozio e con la volontà ipotetica dei contraenti, rappresentando, piuttosto, una «sanzione civile» dell"usura (Collura).

Altri, tenuto conto della circostanza secondo la quale la tutela apprestata appare tale da sanzionare il comportamento, riprovato, della pattuizione di interessi qualificabili come «usurari», finendo con l"avvantaggiare chi abbia ricevuto a mutuo, ha proposto il riferimento all"istituto della «pena privata», i cui tratti caratteristici, secondo tale opinione, dovrebbero essere rintracciati «nel quid che, al contempo, sanziona ed "avvantaggia"» (Bonilini).

Non manca chi ha preferito rifarsi alla più ampia categoria delle «sanzioni civili» qualificate «indirette» o «punitive» (Meruzzi).

Il profilo qualificatorio è destinato a perdere gran parte delle sue tinte di problematicità per coloro che ritengono l"art. 1815, 2° co., c.c. riformato inquadrabile negli artt. 1339 e 1419, 2° co., c.c. A tale conclusione si dovrebbe pervenire secondo tale impostazione sulla base del fatto che la nullità testuale della clausola relativa agli interessi usurari comporterebbe, ai sensi delle due norme richiamate, la sostituzione di pieno diritto della pattuizione degli interessi «con la non debenza degli interessi stessi» (Carbone).

Per cercare di risolvere la crisi di identità in cui versa il capoverso dell"art. 1815 c.c. riformato, a nostro modo di pensare, occorre prendere le mosse dall"autonomia privata.

Questa, secondo l"impostazione preferibile, può essere resa sul piano delle situazioni soggettive nei termini di diritto soggettivo (inteso così come lo intende Bigliazzi Geri, cioè quale «interesse che l"ordinamento eleva al rango di situazione di vantaggio conformandola in modo tale da assicurarne il soddisfacimento attraverso l"esercizio di facoltà che vengono a costituirne il nucleo»; ed ivi anche il ruolo svolto dall"interesse rispetto al diritto soggettivo nel procedimento di qualificazione normativa).

Derivando il proprio riconoscimento dall"ordinamento giuridico, tale diritto, oltre a subire l"incidenza dei principi di solidarietà, uguaglianza e parità di trattamento, sicurezza, libertà, dignità umana, funzione ed utilità sociale contenuti nella Carta del 1948, incontra limiti cosiddetti «interni» (tali sono quelli che tracciano i confini del contenuto del diritto, cioè la linea oltre la quale la facoltà di agire non può spingersi), tra i quali quello rappresentato dalla necessità che il regolamento di interessi realizzato corrisponda ad un interesse meritevole di tutela («In quanto situazione eteronoma o, se si preferisce, non originaria, esso incontra tuttavia i limiti segnati dall"ordinamento giuridico, dal quale deriva il proprio riconoscimento: subisce pertanto l"incidenza (anche) di princìpi (solidarietà, uguaglianza e parità di trattamento, sicurezza, libertà, dignità umana, funzione ed utilità sociale) ai quali non può ormai sottrarsi senza che ciò equivalga ad una sua trasformazione da situazione eminentemente di libertà in situazione di necessità. Sotto tale profilo, l"autonomia incontra un primo limite (interno) rappresentato dalla necessità che il regolamento di interessi realizzato corrisponda ad un interesse meritevole di tutela. Esigenza che non può ritenersi senz"altro soddisfatta nei casi in cui l"atto appartenga ad un tipo casualmente predefinito, rispetto al quale l"autonomia si manifesti sotto il profilo della Gestaltungsfreiheit. La previsione del 2° comma dell"art. 1322 cod. civ., apparentemente ferma alla contrattazione atipica, si rivela infatti riduttiva, posto che non è detto che l"astratta appartenenza dello strumento utilizzato ad un tipo ne garantisca la corrispondenza ad un interesse che possa dirsi, non solo in astratto, ma anche in concreto meritevole di tutela. Onde, anche in tal caso, l"inefficienza (nullità) stricto jure dell"atto stesso ove esso risulti diretto ad un fine non consentito perché contrario a norma imperativa, all"ordine pubblico o al buon costume (art. 1418 in rel. art. 1324, 1343, 1345, 1346, 1349 2° comma, 1350, 1354, 1355, ecc., cod. civ.) o invece la sua (totale o parziale) irrilevanza giuridica ex fide bona (con eventuale correzione della fattispecie realizzata) quando il predisposto regolamento di interessi si riveli, alla luce delle circostanze anche sopravvenute del caso concreto e tenuto conto degli interessi coinvolti nella singola vicenda, incongruente e per tanto incompatibile con i principi generali dell"ordinamento e segnatamente con quelli, indicati, contenuti nella Carta del 1948»: Bigliazzi Geri).

Nonché limiti cosiddetti «esterni», perché non attinenti alla struttura e, dunque, alla configurazione fisionomica della situazione cui ineriscono, bensì diretti a reagire, nella loro portata di fattori contingenti ed occasionali, sulle modalità del suo esercizio («L"esigenza ricordata ed il suo colorarsi di «socialità» dovrebbero dunque consentire di escludere che l"autonomia privata possa essere davvero intesa come «autonomia della volontà», espressione del più assoluto arbitrio individuale. Libertà destinata, del resto, ad ulteriormente ridursi per la presenza di limitazioni ulteriori (questa volta «esterne» perché estranee alla struttura e dunque alla configurazione fisionomica della situazione cui ineriscono) dirette a reagire, nella loro portata di fattori contingenti ed occasionali, sulle modalità del suo esercizio. Nel qual senso basterebbe pensare alla disciplina dei prezzi imposti, che non tocca l"autonomia in sé, ma quelle manifestazione di essa che si svolgono in un ben preciso settore dell"economia e degli scambi; o, ancora, alla previsione contenuta nell"art. 1339 c.c. Rispetto al quale non sembra da condividere l"affermazione secondo cui la norma mostrerebbe «l"insufficienza di una configurazione dei limiti imposti per legge unicamente sotto il profilo della compressione esterna dei poteri attribuiti alle parti» dal momento che «questi cosiddetti limiti non» avrebbero «soltanto un valore negativo, ben potendo concretarsi in modifiche interne della situazione considerata». Giacché una simile affermazione, se non abbiamo mal compreso, parrebbe denunciare – già sotto un profilo più generale – una concezione puramente negativa del limite, frutto della trasposizione sul piano giuridico del significato corrente del termine»: Bigliazzi Geri).

È tra questi ultimi che sembra da ricondurre anche l"art. 1815, 2° co., c.c., visto quale limitazione che non tocca l"autonomia in sé, bensì reagisce su quella modalità del suo esercizio rappresentata dall"utilizzazione dello schema contrattuale del mutuo oneroso. Detto altrimenti, la stipulazione di un contratto di mutuo, quale espressione della facoltà di scegliere e di liberamente conformare lo schema che consente (o che dovrebbe consentire) la realizzazione del risultato cui le parti aspirano e, dunque, del contenuto del diritto soggettivo di autonomia privata, incontra il limite «esterno» rappresentato dal non potere pattuire interessi se non in misura tale da non risultare «usurari». Nell"ipotesi in cui il limite fissato dall"art. 1815, 2° co., c.c. risulti oltrepassato, la tutela si realizza comminando la nullità della clausola con la quale gli «interessi usurari» sono stati pattuiti e prevedendo, al contempo, che «non sono dovuti interessi». Con ciò raggiungendo il risultato di avvantaggiare sicuramente il mutuatario, che potrà continuare a disporre delle cose mutuate senza sopportare alcun sacrificio, e da penalizzare il mutuante, rispetto al quale il prestito si traduce in un"operazione in perdita non essendogli consentito vantare pretese di sorta con riferimento agli interessi convenuti.

In questo ordine di idee – volto a ricondurre la norma in questione nell"ambito delle limitazioni esterne dell"autonomia privata ed inserirla nel fenomeno dell"integrazione del regolamento contrattuale (a proposito del quale, v., specialmente, Rodotà 2004, 38), ciò che deve essere rimeditato, tenuto conto della premessa dalla quale muove il ragionamento, è il problema che si sostanzia nella possibilità o meno per il giudice di rilevare d"ufficio la nullità di cui alla disposizione in questione (Trib. Velletri 30 aprile 1998, FI, 1998, I, 1607 ss.; Trib. Roma 10 luglio 1998, FI, 1999, I, 343).

Nella specie, infatti, non sembrerebbe essere tanto (o, se si vuole, non sembrerebbe essere solo) una questione di applicazione delle regole che disciplinano la nullità e, tra queste, di quella che consente al giudice di rilevarla d"ufficio (art. 1421 c.c.), quanto piuttosto (o, se si preferisce, quanto anche e soprattutto) un problema di fonti del regolamento contrattuale, di costruzione «tecnica» dell"atto di autonomia, che si realizza, in modo automatico e inderogabile, per il tramite di una norma cogente (art. 1815, 2° co., c.c.; e v. anche artt. 1322, 1339, 1374, 1419, 2° c.c.). Si dovrebbe essere di fronte, in altre parole, ad una ipotesi di concorso tra «fonte privata» e «fonte legale», che della «determinazione legale» sembrerebbe presentare i caratteri tipici dell"«automaticità» e dell"«inderogabilità». Con la conseguenza che di essa il giudice non potrebbe che prenderne atto, sempre che, naturalmente, risultino allegati e provati i fatti che ne costituiscono il presupposto (circa il principio espresso con il brocardo latino iura novit curia, in relazione ai decreti ministeriali, v. Cass. civ., sez. II, 20 luglio 2007, n. 16089) (sull"intera questione, v. R. Cristofari, Il Mutuo, in Artt. 1766-1881 Deposito-Comodato-Mutuo-Conto corrente-Contratti bancari, Commentario al codice civile a cura di Paolo Cendon, Giuffrè, 2009, pag. 330-333).




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