- Il 2 aprile 2009 la signora E.V., veneziana di sessant'anni, moriva per un epatocarcinoma causato da una cirrosi epatica, conseguenza di un'epatite che la donna aveva contratto anni prima in ospedale.
La causa della malattia era stata infatti una trasfusione di sangue subita nel 1972 nel reparto di Ginecologia degli Ospedali Civili Riuniti di Venezia, dov'era stata ricoverata per le complicanze dopo il parto di uno dei suoi figli. Una storia alla quale, cinquant'anni dopo, ha messo un punto finale la Terza sezione Civile della corte d'Appello di Venezia che - dopo un andirivieni dalla Cassazione - ha condannato il Comune di Venezia a un risarcimento di 559.417,56 euro in favore degli eredi della donna per la sofferenza del danno patito da quella trasfusione.
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A volere un nuovo processo di secondo grado era stata l'avvocato della famiglia della donna, il legale Enrico Cornelio, che non si era arreso di fronte alla prima decisione con la quale la corte d'Appello ricalcava quanto deciso in primo grado e da una parte condannava il Comune a risarcire i familiari della donna per la sua morte, ma dall'altra confermava la decisione del tribunale di Venezia e dichiarava prescritto il danno per la malattia, diagnosticata nel 1992. Diversa l'interpretazione dell'avvocato della vittima che di fronte alla Cassazione - dove si era arrivati in conseguenza di continue impugnazioni delle sentenze - ha sostenuto come la donna avesse sì saputo di essere malata nel 1992 ma non aveva mai conosciuto quale fosse stata la causa del contagio, stabilita nella trasfusione del 1972 solo da una serie di perizie dei giudici che avevano anche evidenziato come quell'intervento - fatto poco prima della sua dimissione - non fosse nemmeno necessario.
La tesi dell'avvocato della famiglia è stata sposata dai Supremi giudici che hanno quindi rispedito il fascicolo in Appello, dove la sentenza è stata ribaltata ed è arrivata la condanna per il Comune per la sofferenza patita da una malattia causata da una trasfusione oltretutto illecita. Soldi che Ca' Farsetti dovrà girare alla famiglia della donna - da dividersi tra gli eredi in parti uguali, in quanto la trasfusione è avvenuta prima della riforma della sanità del 1978 e gli eventuali risarcimenti per danni causati nelle strutture ospedaliere erano a carico delle amministrazioni comunali e non delle aziende sanitarie.
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Scrive la corte d'Appello, spiegando gli oltre 559mila euro di ristoro stabiliti che «nel quantificare l'importo risarcitorio ritenuto idoneo a soddisfare integralmente il danneggiato del pregiudizio subito, va infatti considerato l'intero danno subito anche a causa del decorso del tempo rispetto al verificarsi dell'evento morte».
E ancora - si legge nella sentenza che la somma «appare pienamente satisfattiva rispetto al pregiudizio subito in vita dalla danneggiata». La sostanza, quindi, è che non si può considerare da risarcire solo la morte della paziente, ma anche tutto quello subito nel corso di più di trent'anni, come la scoperta della malattia e le varie e successive complicazioni subite.