Le nozze tra i due sono state celebrate nel giardino dell'hospice "Il Tulipano" dell'ospedale Niguarda di Milano. La donna, malata terminale, ha aspettato di dire "Sì" al suo amato prima di andarsene
==
Ha aspettato prima di andarsene. Ha aspettato di dire “Sì” al suo amato, prima di lasciarlo. Ha aspettato il giorno del suo matrimonio, celebrato dal letto dell’hospice, prima di morire. È la storia di Laura, una donna malata terminale, che ha deciso di sposare l’amore della sua vita, Andrea, all’hospice “Il Tulipano” dell’ospedale Niguarda di Milano. Pochi giorni dopo quelle nozze celebrate nel giardino dell’hospice, Laura si è spenta.
C’era il sole a illuminare quelle nozze. Laura, sdraiata sul letto dell’hospice, tiene tra le mani un bouquet di fiori gialli. Addosso le scarpe da ginnastica, un vestito tra il bianco e il beige, e una corona di fiori sulla testa. Andrea, seduto sul letto accanto alla sposa, indossa un abito scuro, camicia celeste, e come pochette da taschino della giacca un fiore bianco, come quelli della corona che cinge la testa di Laura.
A celebrare quelle nozze c’erano amici e parenti della coppia. Laura, a letto, è stata accompagnata in giardino dal padre e dagli infermieri dell’ospedale. Laura è felice, mostra un sorriso non appena vede il suo Andrea che la stava già aspettando. Anche il padre – fiore bianco nel taschino – guarda lo sposo di sua figlia. Laura e Andrea sapevano di non avere molto tempo a disposizione, ma hanno voluto comunque sancire il loro amore per sempre.
Così si legge nel post condiviso su Facebook dall’ospedale. “È sempre – aggiunge lo staff del Niguarda – un momento molto emozionante, che coinvolge l’intera equipe, volontari compresi. Un momento nel quale tutto lo staff si sente ‘privilegiato’ nel poter accompagnare, anche se con un fondo di tristezza, tappe significative della vita dei nostri pazienti”.
“Purtroppo qualche giorno la celebrazione Laura ci ha lasciato ma i suoi cari hanno voluto condividere questo momento”, scrive nel post su Facebook l’ospedale Niguarda. “Eventi come questi – conclude lo staff – ci spingono a proseguire con sempre maggiore professionalità e umanità il nostro lavoro. Sempre più siamo convinti che curare una malattia sia perdente, se non si prende a cuore la cura della persona nella sua globalità. Questo sempre, non solo in cure palliative o in fase di terminalità”.