“IL VERO MOSTRO È MIO NIPOTE. TI RENDI CONTO CHE MI HA MANDATO IN GALERA?”
L’uomo davanti al giudice non ha mostrato pentimento per le violenze commesse
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«Il mostro non sono io, il mostro è lui perché la denuncia non la doveva fare». Non basta la violenza sessuale che secondo la procura di Roma l’uomo ha commesso nei confronti dei nipotini.
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Ieri mattina, rispondendo alle domande della pm Maria Gabriella Fazi, il 69enne ha addirittura accusato il piccolo di averlo messo nei guai: «Ma ti rendi conto che mi ha mandato in galera, ma che sono un criminale io?».
Una possibile risposta a questa domanda si trova negli atti con cui la procura ha chiesto e ottenuto il processo: l’uomo deve infatti rispondere di aver costretto il nipotino di 15 anni a subire atti sessuali, arrivando a proporgli un rapporto completo, e di essersi denudato di fronte alla sorellina di 12 anni.
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È stata la preside della scuola ad accorgersi che il ragazzo stava attraversando un momento di sofferenza e a contattare i genitori. La mamma e il papà, preoccupati, hanno dunque deciso di accompagnare il figlio da uno psichiatra, nella speranza che il supporto lo aiutasse a stare meglio.
Non potevano saperlo, ma è stato proprio lui ad avere un ruolo chiave nella vicenda: è stato il medico infatti ad aiutare il ragazzo a confidarsi, arrivando alla denuncia messa nero su bianco ai carabinieri nel giugno del 2022.
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La sorellina ha invece accusato lo zio poco tempo dopo davanti ai magistrati. Poi la decisione del gip di mandare il 69enne in carcere, il processo e le parole shock dell’imputato: «Sì, mio nipote mi ha toccato, gliel’ho chiesto io. Il motivo? Non lo so, ho sbagliato». E poi prosegue: «Ma lui non ha avuto nessun danno, la denuncia uno la fa se ha un danno».
L’uomo ha poi negato tutte le altre accuse, affermando inoltre di non essersi denudato di fronte alla nipotina né di non averla mai toccata: «Era una bambina, mio nipote l’ha voluta coinvolgere nella denuncia perché è malvagio».
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La deposizione shock non è stata ascoltata dai due ragazzi, parti civili con i familiari assistiti dall’avvocato Vittorio Palamenghi, non essendo presenti in aula. Durante il processo saranno utilizzati i verbali dell’audizione protetta, evitandogli di rivivere il trauma.
Gli adolescenti venivano affidati allo zio quando i genitori andavano a lavorare: un rapporto familiare apparentemente normale, non avrebbero mai potuto immaginare, infatti, quello che secondo gli investigatori avveniva in quelle mura.
Sono stati per primi i docenti della scuola del ragazzo ad accorgersi che qualcosa non andava. E poi altri familiari lo hanno messo in guardia: «Cerca di non frequentare tuo zio».
Ieri l’uomo, che ha dichiarato di aver fatto il medico prima di finire in carcere, è stato accompagnato in tribunale dalla polizia penitenziaria. Dopo la sua deposizione, la parola passa prima alla procura e poi alla difesa.