-  Spinelli Stefano  -  16/01/2009

L'INTERPOSIZIONE DI MANODOPERA - Stefano SPINELLI



Con il termine interposizione si intendono tutte quelle situazioni nelle quali un datore di lavoro (cd. “committente” o “interponente”), anziché assumere direttamente il personale di cui ha bisogno per la propria attività, si avvale di forza lavoro fornita da un terzo soggetto (cd. “appaltatore” o “interposto”), i cui dipendenti svolgono la prestazione a favore del primo, detto anche “utilizzatore”.
Il fenomeno, trilatero, è caratterizzato dall’esistenza di due rapporti negoziali: quello tra il lavoratore e l’intermediatore (di regola un contratto di lavoro subordinato); e quello tra l’imprenditore/utilizzatore e l’interposto (che può assumere la specie di un contratto di appalto, o di una mera somministrazione di manodopera, oppure di un distacco temporaneo di manodopera).
La nuova disciplina consente di ricorrere all’acquisizione di forza lavoro mediante intermediari o interposti, in ordinaria e stabile alternativa al contratto di lavoro subordinato diretto, nei limiti legali previsti.
Il ricorso a forme di somministrazione di manodopera non è (più) di per sé stesso contra legem, bensì diventa – pur con le dovute cautele legali – lecito e percorribile dalle parti; rimanendo illecita la mera interposizione attuata da soggetto non autorizzato, irregolare in quanto posta in essere al di fuori dei limiti e delle condizioni previste dalla legge, e/o fraudolenta, in quanto elusiva delle norme inderogabili di legge e di contratto collettivo a tutela dei lavoratori. 



La disposizione si inserisce nel quadro del più vasto fenomeno del decentramento produttivo, termine con cui si indicano tutte le pratiche volte a dislocare al di fuori dell’azienda fasi più o meno rilevanti del ciclo produttivo di una impresa, e quindi anche mediante interposizione di manodopera. 



La questione sicuramente più dibattuta, che mantiene tuttora la sua rilevanza anche nel nuovo assetto normativo, è sicuramente quella di ben delimitare le ipotesi di interposizioni lecite da quelle illecite, soprattutto in relazione a decentramento di segmenti di attività produttiva (cd. appalti interni), discriminando tra le fattispecie di appalto “genuino” ed invece mera interposizione di manodopera nelle situazioni cd. di “pseudo-appalto”, in cui si maschera – mediante l’affidamento “apparente”, a propri dipendenti, di lavori “interni” da eseguirsi utilizzando altri lavoratori, assunti e pagati dal subappaltatore – invece un rapporto di lavoro “reale” dei lavoratori utilizzati con l’imprenditore utilizzatore, con intento elusivo da parte di quest’ultimo delle norme a tutela dei lavoratori subordinati. 



Il criterio per distinguere un contratto di appalto dalla somministrazione di lavoro, elaborato dalla giurisprudenza, ha trovato sostanziale riconoscimento nella nuova disciplina normativa, ex art. 29 del d.lg. 276/2003, che fa riferimento alla “organizzazione dei mezzi necessari da parte dell’appaltatore, che può anche risultare, in relazione alle esigenze dell’opera o del servizio dedotti in contratto, dall’esercizio del potere organizzativo e direttivo nei confronti dei lavoratori utilizzati nell’appalto”, nonché alla “assunzione, da parte del medesimo appaltatore, del rischio d’impresa”.
Ai lavoratori “somministrati” si applica il principio di parità di trattamento economico, ossia non inferiore a quello a cui hanno diritto i lavoratori “interni”.
In caso di somministrazione irregolare o di pseudo-appalto il lavoratore interposto può chiedere la costituzione di un rapporto di lavoro alle dipendenze del committente.




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