Deboli, svantaggiati  -  Paolo Cendon  -  01/01/2022

Leggete la storia di Loredana qui sotto (Da Rifiorire, Corsiero , 2021, p.57) e poi ditemi ....

“Di Campobasso Loredana, quarantatré anni”.

Bruna di capelli, mai stata bella; è cresciuta nella bambagia, mite di carattere, romantica.  A vent’anni, in una stazione sciistica degli Appennini, conosce Guido. Lei studentessa a Scienze della Formazione, lì coi genitori; non alta, già un po’ in sovrappeso. Lui factotum in un grande albergo, venticinque anni; bello di viso, aitante, una somiglianza con Alain Delon.

Si rivedono nei tre anni successivi, sempre sulla neve; Guido   comincia a corteggiarla seriamente: la famiglia di lei, abbiente in quegli anni, disapprova.  È anche il primo uomo che si interessi alla ragazza però.

 Ancora due anni e si sposano: lei innamorata come il primo giorno, lui meno attaccato, e si vede. Non male i primi tempi: amante focoso Guido, l’uomo più avvenente del Molise secondo Loredana. Due figli nel giro di trenta mesi. 

 In seguito lui farà la guardia giurata, posto che gli ha trovato il suocero; lei casalinga, segue i bambini. A un certo punto l’azienda agricola del padre, che già accusava segni di stanchezza, va in liquidazione; i quattromila euro che Loredana riceveva ogni mese dal padre, come appannaggio, cessano di colpo. Pochi mesi dopo Guido ha una rissa sul posto di lavoro; c’era stato un furto, ha reagito male col direttore generale, l’ha preso a pugni: licenziato.  

 Da allora tutta una china discendente. Loredana si mette a fare la rammendatrice, le aveva insegnato sua madre; lavori semplici, non è tanto esperta. Sfiorisce fisicamente, si trascura: alta un mero e sessantaquattro, pesa adesso oltre settanta chili; ha sempre addosso un odore di lacca per capelli, di ferro da siro.

Guido in palestra, bello più che mai, ha i baffi ora: ha preso a uscire ogni sera, rincasa tardi. Sala biliardo, poker, in giro con gli amici; micro tatuaggio, forse c’è un’altra donna, qualcuno dice più di una.

 Una sera rincasa alticcio, vola qualche sberla. Dopo tre giorni la cosa si ripete, urla, rumore di mobili smossi; i vicini di casa avvertono la polizia: i figli, Lucia sedici anni, Massimo tredici, confermano le violenze. Loredana un occhio nero, zoppica; copre il marito però, dice che è caduta. 

 Seguono nuovi episodi.  Guido qualche notte dorme fuori adesso; sbraita sempre, pretende soldi da lei. Arriva il momento che il giudice dispone   un allontanamento; lui non si sa come finisce in Francia.

Da qualche giorno telefona però; sembrerebbe voler tornare, lei che confabula a lungo al cellulare, in dialetto; l’espressione complice, rapita di sempre. I figli scuotono la testa”.

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Ed esistono casi – AGGIUNGO - anche peggiori di questo; donne  che per ragioni loro, per mancanza di reattività, per non rompere il ménage coniugale, o in nome di assurde speranze romantiche, o annichilite dal buio della depressione, per non coinvolgere i figli in una separazione, per paura di ritorsioni, o vittime del ricordo di qualche momento felice trent’anni prima, per colpa magari di una famiglia originaria paurosa o bigotta, per una sorta di inclinazione ad auto-illudersi, a non ammettere la verità, per timore della solitudine ………..  ebbene si lasciano schiacciare-asfissiare-intristire da un marito oppressivo, anaffettivo, cupo, dispotico, tirchio, subdolo, ingrato, che le svuota sempre più, le umilia, le sottomette, le spegne, le immalinconisce –

 

I doveri dall’art. 143 c.c. sarebbero anzitutto quelli di far fiorire il consorte, giusto?

 

E allora dico io ecco il PATTO DI RIFIORITURA, il giudice tutelare che interviene, anche se il sangue non è ancora scorso, ma c’è già un omicidio del cuore e dell’esistenza in atto, e il giudice che interviene e con l’amministrazione di sostegno, attorniato da un’équipe di esperti, ecco il giudice che interviene a dire “BASTA RAGAZZA MIA, HAI GIÀ SPRECATO UN BEL PO’ DELLA TUA VITA, DA OGGI CI SIAMO QUA NOI, NON PUOI PIÙ CONTINUARE COSÌ, VEDIAMO COSA SI PUÒ FARE …”

 

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VI SEMBRO MATTO?

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