Stranieri, immigrati  -  Cesare Menotto Zauli  -  19/07/2023

Illegittimo trattenimento presso un centro di identificazione e di espulsione – danno risarcibile – Nota a Cass. Civ. sez. I, 11.02.2022 n. 4562

Si segnala la seguente sentenza: -In tema di immigrazione, l'illegittimo trattenimento presso un Centro di identificazione e di espulsione di un cittadino straniero produce un danno da ingiusta detenzione, atteso che esso determina la lesione di un diritto inviolabile costituzionalmente garantito come la libertà personale; ne consegue che, ai fini della liquidazione, è applicabile l'art. 315 c.p.p., dettato per l'ingiusta detenzione, essendo evidente l'analogia tra detenzione penale e trattenimento strumentale all'esecuzione dell'espulsione, che comportano entrambi la privazione della libertà personale, come già riconosciuto dalla Cedu, a partire dalla sentenza 8 febbraio 2011 Seferovic c.Italia. Così Cassazione civile sez. I, 11/02/2022, n.4562.

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Il caso, da cui muove la summenzionata sentenza, è il seguente: una cittadina cinese aveva mosso causa (vittoriosamente) al Ministero dell’Interno, per averla ingiustamente trattenuta presso un C.I.E. (centro di identificazione ed espulsione) per circa due mesi e mezzo, con conseguente condanna della predetta Amministrazione a titolo di risarcimento del danno, al pagamento della somma di € 18.629,78 oltre interessi. Il trattenimento presso il C.I.E. era stato giudicato illegittimo con provvedimento passato in giudicato, in quanto adottato al di fuori dei presupposti di legge.

Ricorreva, contro la sentenza della Corte d’Appello, il Ministero, con ricorso affidato a due motivi, che però veniva rigettato da parte della Suprema Corte.

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Ebbene, il risarcimento del danno da ingiusta detenzione, introdotto con DPR n. 447 del 1988, poi modificato con legge 16 dicembre 1999 n. 476, è regolato dagli artt. 314 e 315 del c.p.p.: in simili casi, l’oggetto della pretesa risarcitoria consiste nel danno subito in ragione della privazione della libertà che si sia rivelata ingiusta (come nei casi in cui l’innocenza dell’imputato venga poi accertata con sentenza irrevocabile di proscioglimento per non avere commesso il fatto, perché il fatto non costituisce reato o poiché il fatto non è previsto dalla legge come reato; allo stesso modo, la detenzione è da reputarsi ingiusta nell’ipotesi in cui intervenga un provvedimento di archiviazione o una sentenza di non luogo a procedere).

La peculiarità della fattispecie in oggetto, decisa dalla Corte di Cassazione, sez. Civile, e non penale, è che non si trattava di una ingiusta detenzione, sebbene di un ingiusto trattenimento di una cittadina cinese presso il C.I.E. di Bologna, per circa due mesi e mezzo, al di fuori dei presupposti di legge.

La Corte Suprema di Cassazione, dunque, nel caso di specie così giudica:

“Deve, inoltre, ritenersi corretta, ai fini delle concreta liquidazione del danno, l'applicazione in via analogica, al caso di specie, dell'art. 315 c.p.p., dettato per l'ingiusta detenzione, evidente essendo l'analogia tra "detenzione" penale e "trattenimento" strumentale alla esecuzione dell'espulsione, comportando entrambi la privazione della libertà personale. Ne', infine, è accoglibile la tesi dell'Avvocatura dello Stato secondo cui il danno sofferto dalla cittadina cinese non sarebbe risarcibile in conseguenza della mancanza di una normativa ad hoc relativa all'illegittimo trattenimento nel C.I.E. Sul punto, il diritto al risarcimento danni è già stato da tempo riconosciuto dalla Corte Europea dei diritti dell'Uomo a partire della sentenza del 8 febbraio 2011 (ricorso n. 12921/04 - Seferovic c. Italia)”.

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Quindi può dirsi, il presente, un caso di applicazione in via analogica della procedura di riparazione del danno da ingiusta detenzione disciplinato dagli artt. 314 e 315 del codice di procedura penale.

In un altro caso, la Corte ha invece stabilito che: Nonostante sia indubitabile che il TSO illegittimo colpisca la persona in modo simile all'ingiusta detenzione perché determina la restrizione della sua libertà personale ed effetti negativi sull'immagine, le relazioni ed il campo lavorativo, non è applicabile in via analogica in simile ipotesi la speciale disciplina dettata dagli artt. 314 e 315 c.p.p. per le fattispecie di detenzione cautelare ingiusta disposta ed eseguita in un ambito penale. Così Cassazione civile sez. III, 05/09/2019, n.22177

Con la pronuncia che si commenta, dunque, la Suprema Corte pare aprire ipotesi di responsabilità dello Stato, contro le precedenti pronunce (per lo più della Cassazione penale) caratterizzate per lo più dal duplice obiettivo di sbarrare la strada a interpretazioni analogiche delle norme di cui agli artt. 314 c.p.c. ss. e di evitare possibilità di duplicazioni risarcitorie.




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