Malpractice medica  -  Nicola Todeschini  -  27/03/2015

Il medico di fronte alle condotte inescusabili - Cass. Pen. 10972/2015

Una delle richieste che più di frequente il mondo dei sanitari avanza, anche nelle occasioni di formazione loro dedicate alle quali ho occasione di partecipare quale docente, attiene alle condotte c.d. inescusabili.

I sanitari, in altri termini, lamentano, spesso per il tramite dei propri rappresentanti sindacali, il mistero che avvolgerebbe le regole in materia di colpa professionale, di recente affrontato -con amatorialità suggestiva delle capacità del legislatore - dalla legge Balduzzi (cfr “Balduzzi novellato da Milano?”, in personaedanno.it).

Ne deriverebbe una sorta di incapacità del sanitario di dominare le proprie scelte tanto da essere costretto a pratiche difensive che secondo lo slogan, ormai soprattutto mediatico, della c.d. medicina difensiva graverebbero il sistema di uno spreco pari al 10% della spese complessiva in materia e quindi di circa 12-14 miliardi di euro.

Al di là della malizia (“Medicina difensiva, verità o menzogna”, in personaedanno.it) con la quale il ritornello viene inopportunamente ripresentato, e sulla quale non mi dilungo ulteriormente (rimandando per l'approfondimento ai precedenti miei contributi) alla domanda dei sanitari è necessario rispondere.

L'occasione, tra le altre, mi è data dalla recente pronuncia n. 10972 della Corte di Cassazione Penale, (già commentata ed allegata in un precedente commento al quale rimando in questa stessa rivista).  La pronuncia è utile per l'allusione che fa alle condotte inescusabili con evidente per quanto non espresso richiamo proprio al significato da attribuire all'art. 2236 c.c. (per maggiori approfondimenti rimando anche a “Cassazione penale: quando la legge Balduzzi si applica”, in personaedanno.it).

Nonostante le proposte di legge in materia di responsabilità medica ex multis cfr “Malasanità, la sfacciata proposta di legge del PD”, in personaedanno.it), per lo più proposte proprio da medici, diano conto dell'ignoranza, assoluta, che di tale regola i proponenti dimostrino, e per quanto anche l'ania (Malasanità, la ricetta malziosa dell'ANIA”, in personaedanno.it), inopportunamente, insista nel considerare nebulose le regole in materia di colpa, la giurisprudenza civile ha raggiunto un assetto assolutamente congruo, consapevole, ordinato e facilmente fruibile in materia.

L'art. 2236 c.c., al quale la proposta di legge del PD vorrebbe aggiungere un inutile 2237-bis, al di là della sua formulazione per il vero ab initio interpretata in modo paternalistico, è stato oggetto negli anni di un consolidato orientamento della corte di cassazione che ne ha sigillato il significato: le condotte inescusabili sono quelle ispirate ad imprudenza ed negligenza, mentre solo quelle invece connotate da imperizia possono suscitare un temperamento della severità del giudizio ove il caso presenti una speciale difficoltà.

Tale precisazione, peraltro, si lega indissolubilmente con il principio di diligenza (ex art. 1176, II c., c.c.) ad un tempo criterio di responsabilità e di determinazione del contenuto dell'obbligazione, ed in particolare al riferimento, contenuto nel citato II c., alla “natura dell'attività esercitata”. E' il riferimento non solo alla speciale diligenza pretesa dal professionista, sia che indossi il camice, la toga, imbracci matita e squadra, ma anche alla natura (rectius difficoltà) del caso di specie.

Insomma: quando il caso è estremamente difficile, e quindi in grado di travolgere lo sforzo adempiente attento (e quindi non negligente) e prudente del professionista, la severità del giudizio di responsabilità deve essere temperata. In tal senso va letto il riferimento a colpa lieve e colpa grave contenuto nell'art. 2236 c.c.

Ne discende che se il sanitario sia negligente (dimostri incuria, sciatteria, disattenzione), ovvero imprudente (non calcoli le conseguenze delle sua azioni od omissioni, sia pigro nel programmare controlli) non v'è necessità di verificare se il caso difficile incida nell'errore, perché negligenza ed imprudenza sono sintomi già inequivocabili dell'inadempimento poiché lo determinano di fatto: se il sanitario chiamato dal paziente preferisce continuare a vedere la partita, si dimentichi del paziente, non ne ascolti nemmeno le lamentele ed i dolori; ovvero se dopo averlo sottoposto ad un trattamento non preveda un controllo necessario, e ne derivi un danno al paziente malcapitato, la difficoltà, eventuale, del caso non ha incidenza sulla sua capacità tecnica. Quest'ultima, invero, non ha nemmeno occasione di esprimersi perché impedita dalla sciatteria del contegno inadempiente caratterizzato da imprudenza ed imperizia.

Per semplificare ulteriormente: se il paziente chiama e chiede aiuto, ed il sanitario non lo soccorre per indolenza, l'errore è già pacifico ed inescusabile. Il sanitario, invero, non fa nemmeno in tempo ad essere sovrastato dalla difficoltà del caso, semplicemente perché non se ne occupa nemmeno.

Quando invece è attento, prudente, e mette in campo la perizia (capacità tecnico scientifica) media da lui pretesa per titolo, specialità, eventuale ulteriore specializzazione, e la difficoltà del caso lo inganna perché si manifesta in forme equivoche, non prima studiate a sufficienza, affrontabili con trattamenti diversi ma sulla carta ugualmente indicati, allora le ragioni della “scusabilità” entrano in gioco, perché non si può pretendere che scopra per la prima volta, che vinca la difficoltà del caso nuovo senza averne esperienza.

Tali principi, ben inteso, e lo dico in particolare a chi invochi un novella, normativa, che definisca la colpa dei sanitari, non possono essere enucleati se non genericamente, non potendo prestarsi, proprio per la necessità che hanno di adattarsi a mille e diverse condizioni di specie, ad una definizione partita caso per caso.

Ecco allora, pur nella brevità del mio contributo odierno, che non si può affermare che un mistero avvolga la condotte inescusabili, perché tali sono quelle connotate da negligenza ed imprudenza.

Nè si può affermare che dal medico si pretenda un risultato che questi non possa conseguire, perché la regole attuali consentono, come spiegato, una calibrazione della severità del giudizio di responsabilità ove l'imperizia incontri la speciale difficoltà del caso. Ed un tanto avviene, come già hanno chiarito le sezioni unite, a prescindere dalla pluridecorata ed inflazionata distinzione tra obbligazioni di mezzi e di risultato, sconosciuta al codice e semmai utile solo docendi causa.

 




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