Diritto, procedura, esecuzione penale  -  Redazione P&D  -  11/11/2023

Il femminicida scarcerato perché obeso, la rabbia della mamma della vittima

“PROVO SOLO DISGUSTO, È UN’ALTRA COLTELLATA”

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Biella, dopo sei anni è stato trasferito ai domiciliari per obesità. La mamma della vittima: «Ero certa che non avrebbe scontato la condanna in cella»

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Ci sono rabbia e sconcerto nelle parole di Tiziana Suman, la madre di Erika Preti, alla notizia che DF, l’assassino della figlia, è stato trasferito agli arresti domiciliari per motivi di salute. Questo anche per il modo in cui la notizia è arrivata, all’improvviso. «Ero al lavoro, con il telefono spento e non ho saputo nulla fin quando non sono rientrata a casa». Ad annunciargliela un messaggio whatsapp da La Stampa. Prima risponde con un altro messaggio: «Sono rimasta senza parole e non riesco a esprimere il mio disgusto e il mio senso di ingiustizia». Poi chiama, un po’ per saperne di più oltre che probabilmente per sfogarsi. «All’inizio non capivo, mi sembrava impossibile che avessero preso un simile decisione senza dirci niente, mi sembra una cosa assurda».

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Sua figlia Erika è stata uccisa nell’estate del 2017 dal fidanzato con cui era in vacanza a casa di amici a San Teodoro, in Sardegna. Il corpo della ragazza è stato straziato da 57 coltellate e F aveva continuato a colpirla anche quando era già a terra. Un femminicidio terribile, che l’uomo aveva cercato di mascherare denunciando l’aggressione da parte di uno sconosciuto, versione che aveva sostenuto per un mese prima di confessare. È stato condannato a trent’anni in via definitiva.

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Il trasferimento di DF, trentacinque anni, nella sua casa di Biella, deciso dal Tribunale di Sorveglianza, è avvenuto martedì su richiesta dell’amministrazione penitenziaria, vista l’impossibilità di gestirne i problemi di salute all’interno della struttura carceraria. Fin dall’inizio, quando era ancora a Ivrea, F aveva avuto problemi ad adattarsi alla vita da recluso, sia per problemi con gli altri detenuti, visto il delitto per cui era stato condannato, che per la cura a base di psicofarmaci a cui era sottoposto ancora prima di essere arrestato. Problemi che sarebbero aumentati dopo il trasferimento a Torino. Si tratta sempre di un disturbo psichiatrico di tipo depressivo. Negli ultimi mesi, trapela dal carcere, avrebbe iniziato a non lavarsi e a rifiutarsi di uscire dalla cella, peggiorando quindi i rapporti con gli altri detenuti. Sarebbe inoltre aumentato di peso fino a sfiorare i 200 chili, sviluppando una forte dipendenza per le sigarette, oltre a presentare episodi ricorrenti di epilessia.

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Il suo rientro a casa ha reso più dolorosa la ferita per la morte della figlia che in Tiziana Suman non si è mai rimarginata. «Già l’anno scorso era stato contattato il nostro legale, ci avevano chiesto se eravamo d’accordo nel concedere gli arresti domiciliari a D. Subito abbiamo detto di no, quello che ha fatto è troppo grave e non mi rassegno all’idea che sia già tornato a casa, con sua madre che lo accudisce». Anche con la famiglia F i rapporti si sono deteriorati fin dai tempi del processo che li ha visti su posizioni opposte. «Sui suoi è meglio che non parli».

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La voglia adesso è soprattutto di capire come possa essere successo che, dopo sei anni, chi ha ucciso sua figlia sia uscito dal carcere, pur restando ai domiciliari, e di dar sfogo a un malessere che gli anni passati da quella tragica estate non sembrano aver attenuato. Tanto che la donna si lascia andare anche a dichiarazioni forti: «Sta male? Spero di poter vedere il suo manifesto funebre. Mi verrebbe voglia di andare ad aspettarlo fuori da casa sua, poi naturalmente non lo farò ma è stato davvero un colpo sapere tutto senza che a noi o al nostro avvocato venisse comunicato in anticipo, senza che neppure ci abbiano chiesto cosa ne pensassimo. Che giustizia è questa? Già ero certa che non avrebbe passato in carcere tutti i trent’anni della condanna, ma non pensavo che potessero farlo uscire così presto».

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Anche nel suo caso, come per il marito Fabrizio Preti, apprendere la notizia della scarcerazione dell’assassino di loro figlia è stato «come ricevere una coltellata, il dolore per la morte di Erika è vivo oggi come sei anni fa e non se ne andrà mai». —

 




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