Nel film di F. Truffaut “La chambre verte”, del 1978, vediamo il protagonista (redattore di un giornale di provincia, esperto in necrologi) il quale sceglie di dedicare, a un certo momento, l’intera
sua esistenza al culto dei morti.
Penserà solo alla moglie prematuramente defunta, col suo intenso profilo, da allora in avanti; e insieme ai tanti compagni di scuola caduti in guerra (sulla Marna, lui no invece). Si vestirà con severità, rinunciando ad ogni comodità della vita: rifuggendo, pur non senza esitazioni, dall’amore di una fanciulla rimasta toccata dalla sua malinconia, pronta a donargli il cuore.
Devolverà ogni risparmio a far confezionare statue, a edificare cappelle funebri, piene di ceri e lumini sempre accesi.
Che dire al riguardo?
E’ dubbio se in frangenti simili ci sia materia per interventi “forti” del diritto, a scopo di tutela personale, sanitaria: in casi estremi verosimilmente sì; nelle altre ipotesi vi è spazio comunque (ecco il dato da sottolineare) per le indicazioni che fornisce il senso comune, la morale, la stessa religione.
Sacrosanto onorare la memoria, e le sembianze magari, di chi non è più accanto a noi (pochi fra coloro che hanno perduto una persona cara mancano, dopo il funerale, di raccogliersi a sfogliare vecchie lettere, fotografie, di annusare e accarezzare maglie dismesse).
Male però i languori ossessivi, prolungati nel tempo e nello spazio: non è proprio chi ci ha lasciati a sperare per primo - non che altri occupino il “suo” posto, ma - che vi sia al mondo qualcuno pronto a sollevare chi sta ancora piangendolo (se è vero che l’affetto era reciproco) con nuovi motivi di speranza, altre occasioni per essere felice?