L’evoluzione del rapporto tra medico e paziente rileva sul piano culturale e deontologico, al quale il diritto non è estraneo: infatti “è alla norma giuridica che si chiede di consolidare e rendere effettiva questa evoluzione, anche attraverso l’allestimento di sanzioni per i comportamenti inosservanti del nuovo principio”. Pertanto, è opportuno iniziare l’analisi partendo dai presupposti giuridici del consenso informato. È diffusa la convinzione che l’acquisizione del consenso informato è un obbligo professionale di rilevanza anche giuridica. Tuttavia, sono ancora controversi sia gli effetti, sia il fondamento normativo di tale regola, questioni fondamentali la cui soluzione influenza gli ulteriori aspetti delle conseguenze sanzionatorie e della rilevanza del rifiuto opposto dal paziente. Il consenso informato è un istituto giuridico destinato a costituire il fattore decisivo di innovazione e rifondazione sul piano culturale del rapporto medico-paziente come rapporto interpersonale in cui confrontano il principio di autolegittimazione del medico ed il principio di autodeterminazione del paziente: questi sono, in sintesi, i due poli che caratterizzano le due posizioni e che in un rapporto considerato in termini di giuridica rilevanza ne costituiscono l’unico aspetto di autentico equilibrio o, rectius, di tensione verso un possibile equilibrio. L’obiettivo, in termini di qualità di contenuti culturali e giuridici, è quello della condivisione di un’esperienza che sia possibile desumere da una documentazione clinica che deve tendenzialmente evolvere a costituire non una cronaca di una malattia, ma la storia di un malato e di un rapporto umano in cui il valore e la dignità della persona, quella del medico e quella del paziente, assumono valenza speciale in un contesto drammatico. Il consenso informato, per iniziare in medias res, nell’ambito della medicina e chirurgia è stato formalmente riconosciuto come presidio per la tutela del diritto all’integrità fisica e psichica della persona nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, nel testo approvato dal Consiglio Europeo di Nizza del 7-9 dicembre 2000 e dunque, dopo i primi due articoli dedicati alla dignità umana e al diritto alla vita, si afferma all’art. 3 in termini assoluti e di primato il “diritto all’integrità della persona”: “1. Ogni individuo ha diritto alla propria integrità fisica e psichica. / 2. Nell’ambito della medicina e della biologia devono essere in particolare rispettati: consenso libero e informato della persona interessata”. Nell’enunciato si possono individuare due profili del diritto di libertà ed alla libertà che sottende necessariamente ogni diritto che non solo sia enunciato ma sia tutelato – e sia concretamente esercitabile, id est politicamente in un contesto autenticamente democratico – e in tutti gli aspetti i cui può essere manifestato per essere integralmente recepito e dunque compiutamente esercitato. Il “consenso libero” sta ad affermare solennemente la facoltà di potersi determinare senza imposizioni e senza ingiunzioni manipolate, senza strumentalizzazioni o scopi più o meno occulti perseguiti in nome di ideologie o regole, che siano in contrasto con il rispetto e la dignità della persona; è prevista in particolare la possibilità per la persona di autodeterminarsi, cioè di valutare la situazione clinica in cui si trova e che le si prospetta, per fare scelte libere perché consapevoli, tanto più libere in quanto consapevoli, tanto più consapevoli in quanto compiutamente informate. Questo istituto giuridico ha trovato una generale formalizzazione nella legge n. 145 del 2001 che ha recepito la Convenzione, stipulata ad Oviedo il 4 aprile 1997, sui diritti dell’uomo e la biomedicina, oltre alla conferma con il recepimento della direttiva 2001/20/CE sulla sperimentazione dei medicinali, con la legge n. 211 del 2003 in cui la preoccupazione della tutela del paziente e soprattutto della sua libertà di scelta è un tema centrale risalente, che muove cioè dalla dichiarazione di Norimberga del 1946 e dalla Dichiarazione di Helsinky fin dalla sua prima formulazione nel 1964 nei successivi aggiornamenti da parte dell’Associazione Medica Mondiale. Anche se la legge 145/2001 non ha avuto modo di conoscere la sua entrata in vigore, non significa che il consenso informato non sia istituto generale del nostro ordinamento giuridico, pur prescindendo dalla considerazione che è previsto in modo anche articolato in varie leggi settoriali. Va rilevato innanzitutto, che la Convenzione di Oviedo all’art. 33 in particolare comma 4 prevede un’entrata in vigore successiva per i Paesi che non siano tra i primi firmatari e per i quali la stessa è fissata nella data del 1° giorno del mese successivo trascorsi tre mesi dalla data del deposito presso il Segretariato Generale del Consiglio d’Europa della legge di ratifica, di approvazione o accettazione; per gli altri Paesi, primi firmatari, è entrata in vigore il 1° dicembre del 1999. Inoltre in buona parte si può ritenere che siano stati realizzati i presupposti contenuti nella riserva di legge ex art. 3, ad esempio, con la legge n. 6 del 2004 che ha introdotto l’istituto dell’amministrazione di sostegno. E va rilevato che l’art. 2 è un esempio di non trasparenza legislativa. Comunque il consenso informato è da considerarsi istituto facente parte del nostro ordinamento non solo come disciplina di settori specifici, ma come normativa di carattere generale. Tuttavia per poter affermare ciò basta considerare che lo strumento di ratifica esiste con l’approvazione del Parlamento Italiano, con la sottoscrizione del Presidente della Repubblica del 28 marzo 2003, con la pubblicazione sulla G.U. n. 95 del 24 aprile del 2001: i decreti legislativi di cui al comma tre sono funzionalmente correlati a far scattare una entrata in vigore che non è rilevante per l’ordinamento giuridico italiano, ma lo è per una disposizione convenzionale europea, l’art. 33 della Convenzione, in base alla quale l’Italia con il deposito della ratifica s’impegna formalmente e solennemente, e di fronte alla Comunità Europea, a rispettare e ad applicare nel suo ambito i principi della Convenzione, in modo che possano essere fatti valere nei confronti dello Stato italiano e precisamente, come diritti previsti nell’ambito del suo ordinamento giuridico, da parte di ogni cittadino della Comunità Europea stessa. Ciò significa che nel nostro ordinamento e nei confronti del cittadino italiano la normativa ratificata e pubblicata sulla G.U. è pienamente applicabile ed efficace, nel senso che quei principi costituiscono patrimonio giuridico positivo del nostro ordinamento per ciò stesso, dunque, il consenso informato è istituto che costituisce principio con una disciplina fondamentale e generale nel contesto del nostro ordinamento. Il deposito, dunque, presso il Segretariato Generale del Consiglio D’Europa costituisce un’anomalia procedurale che nella sostanza funzionale non pertiene al protocollo di formazione della legge italiana valida per ogni cittadino italiano. Sul piano sostanziale, il consenso informato è un principio nel nostro corpus iuris e non potrà acquisire nessun valore aggiunto o essere negato per l’imposizione di meri adattamenti o meglio di corollari, che possono richiamare la disciplina del consenso. Come conseguenza questa norma generale ed istituto giuridico è un precetto di legge che attua formalmente i principi di libertà che si sostanziano nella tutela della salute ed i principi che garantiscono il rispetto della dignità della persona affermati nella nostra Costituzione, in base all’enunciazione che i diritti esistono perché esiste la libertà, positivizzati entrambi, anche se i primi preesistono come diritto naturale.
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