Diritto, procedura, esecuzione penale  -  Redazione P&D  -  13/10/2023

I requisiti di validità dell'informazione e del consenso - parte VIII - Cecilia De Luca

7. L’identità tra intervento acconsentito ed intervento eseguito

Il consenso prestato dal paziente per un determinato intervento non può essere valido anche per un trattamento diverso. Anche questo aspetto, apparentemente scontato, può dar luogo a controversie sulla legittimità dell’operato medico. Nel caso, ad esempio, in cui il medico, in specie chirurgo, nel corso di un intervento riscontri nel soggetto anestetizzato una patologia non diagnosticata, oppure più grave di quella diagnosticata, presentandosi come necessario medicalmente un intervento chirurgico diverso o ulteriore, con un diverso rapporto tra costi e benefici, che sarebbe più logico eseguire contestualmente all’operazione già in corso, ma che il paziente non è in grado né di accettare né di rifiutare, essendo narcotizzato, la giurisprudenza tende a trovare la soluzione nella liceità del trattamento diverso o ulteriore solo se sussiste uno stato di necessità ex art. 54 c.p.  Negli altri casi, la modifica dell’operazione è fonte di responsabilità.

8. La capacità legale

Coerentemente con la logica dell’art. 32, comma 2, Cost. e con l’esigenza che la relazione terapeutica sia effettivamente incentrata sulla fiducia da parte del paziente e sulla compartecipazione del medico al suo stato di malattia, il consenso deve provenire direttamente dalla persona che necessita la prestazione diagnostico-terapeutica. Però l’importanza centrale che in questo modo viene ad assumere la libera autodeterminazione del paziente fa sì che diventino essenziali l’individuazione e l’accertamento della ricorrenza pratica delle condizioni di capacità del soggetto, da una parte, e, dall’altra, come il medico deve comportarsi quando è impossibile per il malato raggiungere una scelta consapevole. Il Comitato Nazionale per la Bioetica ha affermato che il paziente, per consentire validamente, deve non solo essere capace di intendere e di volere, ma anche avere capacità legale, ossia essere maggiorenne, e sano di mente. Relativamente al primo requisito, l’articolo 2 del codice civile dispone che al compimento del diciottesimo anno sorge la capacità di compiere tutti gli atti per i quali non è prevista un’età diversa. Di conseguenza, non esistendo per quanto concerne i trattamenti sanitari alcuna disposizione speciale, in tale ambito il minore non ha la capacità di consentire validamente e dunque il consenso informato deve essere acquisito dai suoi genitori di “comune accordo”, ex art. 316 c.c.. La rigidità di questa disposizione è mitigata dall’art. 317 c.c. ai sensi del quale “Nel caso di lontananza, di incapacità o di altro impedimento che renda impossibile ad uno dei genitori l’esercizio della potestà, questa è esercitata in modo esclusivo dall’altro”. Considerando l’importanza degli interessi coinvolti, appare prudente che il medico acquisisca il consenso informato di un unico genitore solo quando l’altro sia effettivamente impossibilitato a ricevere un modulo informativo ed a farlo pervenire firmato. Nel caso in cui genitori non intendono prestare il consenso informato “al trattamento necessario e indifferibile” per il minore, l’art. 37, ultimo comma, del c.d.m. stabilisce che “il medico è tenuto ad informare l’autorità giudiziaria; se vi è pericolo per la vita o grave rischio per la salute del minore e dell’incapace, il medico deve comunque procedere senza ritardo e secondo necessità alle cure indispensabili”. La medesima regola trova applicazione nel caso in cui i genitori prendano decisioni tra loro discordanti. Infatti, nel caso in cui il consenso espresso da un solo genitore non appare valido perché l’art. 316 c.c. prevede che la potestà genitoriale si esercita “di comune accordo”. Tuttavia, l’incapacità d’agire del minore ex art. 2 c.c. è dettata dall’esigenza di certezza degli atti negoziali. Di conseguenza, questa norma non appare vincolante in materia di trattamenti medici perché il consenso del paziente è estraneo al traffico giuridico. Per diversità di ratio è necessario trovare soluzioni differenti a seconda che l’atto di disposizione riguardi la sfera patrimoniale o quella personale. È da precisare che l’art. 2 va letto ed interpretato alla luce di altre fonti e disposizioni che riconoscono e garantiscono i valori di libertà, anche, terapeutica e di rispetto della persona in tutte le sue estrinsecazioni, con l’entrata in vigore della carta repubblicana nel 1948. Anche in materia sanitaria, vi sono disposizioni specifiche che, in deroga al principio della incapacità d’agire al di sotto dei diciotto anni, prevedono ipotesi in cui al minore è riconosciuta la facoltà di scelta autonoma su tematiche di forte connotazione individuale. In particolare, i minorenni, ad esempio, hanno diritto di usufruire da soli delle strutture per la cura delle tossicodipendenze e la loro riservatezza deve essere tutelata anche nei confronti dei genitori; possono accedere alla contraccezione presso strutture sanitarie e consultori, ma su prescrizione medica ex art. 2 della legge n. 194 del 1978. Dunque, vi è una crescente rilevanza della volontà del minore capace di discernimento in ordine ai trattamenti sanitari che trova esplicito riconoscimento in alcune disposizioni normative. Altre, dalla portata sopranazionale, si limitano a stabilire l’obbligo per gli adulti di tenere conto della volontà del minore se matura e consapevole. In proposito, l’art. 84 della Carta europea dei diritti fondamentali dell’Unione europea afferma che i bambini “possono esprimere liberamente la propria opinione: questa viene presa in considerazione sulle questioni che li riguardano in funzione della loro età e della loro maturità”. Anche la Convenzione di Oviedo fa riferimento alla posizione del minore, affermando all’art. 6 che “nei casi in cui secondo la legge un minore non possiede la capacità di dare il consenso a un intervento, quest’ultimo può essere effettuato solo con l’autorizzazione del suo rappresentante, o di un’autorità o di un organo designato dalla legge”.  Attraverso questi esempi emerge chiaramente che è rilevante la volontà del minore a seconda dell’età, della maturità e della sua capacità di discernimento, soprattutto dopo l’avvento della carta costituzionale, che ha introdotto un mutamento del sistema di valori e della considerazione del minore all’interno della famiglia e nella società. Detto ciò, non si può prescindere, per l’accesso ai trattamenti sanitari, dal coinvolgimento dei genitori del minore: riconosciuta al minore è la facoltà di scelta autonoma. Il legislatore, così non ha voluto salvaguardare la libertà di autodeterminazione in ordine alla tutela della salute, bensì ha scelto di proteggere la riservatezza e l’equilibrio psicologico della persona minorenne, permettendole di non coinvolgere il genitore qualora viva in modo patologico o ansiogeno la sua presenza e conoscenza dei fatti. In questa prospettiva, si colloca anche l’’art. 38 del codice deontologico medico che valorizza la volontà del minore, statuendo che: “Il medico, compatibilmente con l’età, con la capacità di comprensione e con la maturità del soggetto, ha l’obbligo di dare adeguate informazioni al minore e di tenere conto della sua volontà. In caso di divergenze insanabili rispetto alle richieste del legale rappresentante deve segnalare il caso all’autorità giudiziaria”. Dunque, il medico non ha alcun obbligo di attenersi alle scelte del minore capace di autodeterminarsi, come invece deve fare quando l’assistito è maggiorenne. Se il medico considera l’assistito capace di autodeterminarsi, l’eventuale contrasto tra la volontà del minore e del legale rappresentante obbliga il medico, in primo luogo, a comporlo e successivamente, in caso di impossibilità di pervenire ad una decisione unanime, il professionista deve portare il caso a conoscenza del Tribunali per i minorenni, competente ex art. 38 disp. att. c.c. Per quanto riguarda la persona interdetta, la soluzione va trovata nell’articolo 424 c.c., che estende agli interdetti le disposizioni sulla tutela dei minori, e nell’articolo 357 c.c., ai sensi del quale “tutore ha la cura della persona del minore, lo rappresenta in tutti gli atti civili e ne amministra i beni”. La soluzione, qui, è diversa, dato che l’interdizione impedisce alla persona solo gli atti negoziali. Secondo la tesi maggioritaria, di conseguenza, il consenso informato ha natura non negoziale e la manifestazione di volontà dell’interdetto è valida, purché capace di intendere e di volere. La disciplina deontologica illustrata per i minori, in virtù dell’espresso richiamo dell’art. 38 del c.d.m., si applica anche agli interdetti.

In allegato l'estratto completo di note


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