Diritto, procedura, esecuzione penale  -  Redazione P&D  -  19/06/2023

I requisiti di validità dell'informazione e del consenso - Cecilia De Luca

La funzione del consenso in rapporto al quantum ed al quomodo dell’informazione

La stessa locuzione “consenso informato”, come già sottolineato, rende intuitivamente evidente che la manifestazione di volontà del paziente sia valida solo se preceduta da un’attività informativa da parte del professionista. A sua volta, l’informazione deve presentare determinate caratteristiche per rendere valido il consenso ed escludere, quindi, la responsabilità professionale. Prima è opportuno riflettere sulla funzione del consenso informato. L’informazione è un momento di centrale importanza nel rapporto medico-paziente. Si può, anzi, affermare che il trattamento medico è finalizzato alla salvaguardia della salute, ex art. 32, comma 1, Cost., intesa principalmente come integrità fisica, così l’informazione è funzionale al rispetto della libertà di autodeterminazione ex art. 32, comma 2 Cost.. Tuttavia, sarebbe riduttivo ricostruire il rapporto tra il primo e secondo comma dell’art. 32 Cost. in termini di autonomia dei beni giuridici e delle condotte volte a difenderli. Infatti, la violazione dell’integrità fisica limita anche la libertà di autodeterminazione, costringendo il danneggiato a sottoporsi a trattamenti per porre riparo alle conseguenze lesive o a soffrire le restrizioni derivanti da danno biologico permanente. Analogamente, la restrizione della libertà di autodeterminazione è suscettibile di riflettersi in un’offesa all’integrità fisica o al benessere, il quale rientra nel concetto di salute dato dall’O.M.S. ed accolto sia in giurisprudenza sia nel codice deontologico, in quanto anche il trattamento terapeutico, non chirurgico, costringe il paziente a determinate rinunce o ad alterazioni delle proprio abitudini di vita privata e sociale. L’impostazione per cui la violazione della libertà di autodeterminarsi di ciascuno nello svolgimento dell’attività sanitaria di risolva in un’alterazione, anche solo temporanea, delle condizioni di vita, e quindi del benessere della persona, inducendo a ritenere che l’obbligo di informazione tuteli anche il benessere del paziente, è più sensibile alla valorizzazione della volontà del paziente e dell’interazione tra i due commi dell’art. 32 Cost. ed è anche più fedele alla realtà della pratica medica e delle sue conseguenze. Così ne deriva l’obbligo per il medico di comunicare non solo i dati che permettono di scegliere se sottoporsi ad un determinato trattamento, ma anche quelli utili a decidere se sottoporvisi altrove o se posticiparlo, in relazione ad imminenti progressi tecnologici o ad impegni del paziente incompatibili con la riabilitazione o con gli effetti collaterali propri di quel trattamento. Infatti, secondo la giurisprudenza il consenso informato tutela la libertà di autodeterminarsi in ordine alla propria salute mediante l’obbligo per il medico di trasmettere tutte le informazioni utili a promuovere il benessere del paziente durante e dopo il trattamento. Dunque, l’informazione deve essere bilaterale: ossia deve consistere in uno scambio e non in una trasmissione unilaterale di dati e di avvertenze. Per realizzare al meglio il suo interesse, il medico deve tener presenti le condizioni del malato, sapere, ad esempio, cosa è importante per lui, quali sono le sue esigenze, “la sua attività lavorativa e di relazione ed in definitiva sia le sue personali aspettative, sia le sue obiettive esperienze terapeutiche”. Ne deriva che il contenuto dell’informazione, cioè il quantum di conoscenze da trasmettere al paziente, deve essere personalizzato, non può essere completamente stabilito prima dell’incontro col paziente stesso, ma necessita di opportune integrazioni in relazione al particolare stato d’animo e di salute del singolo paziente, rapportandosi alle sue esigenze familiari o di lavoro, che possono indurlo a preferire una metodica di intervento piuttosto che un’altra, oppure, più semplicemente, a procrastinare il trattamento. Sono queste esigenze che è necessario considerare per realizzare il diritto dell’assistito ad una scelta consapevole, ma che il medico, tuttavia, non può conoscere se non entra in rapporto umano con il malato. Oltre che oggettiva, la personalizzazione dell’informazione deve anche essere oggettiva, ossia calibrata sul paziente attraverso il dialogo, l’unico strumento che consente al medico di capire il livello intellettivo del paziente e di adeguarvi le modalità delle informazioni in modo da renderle più intellegibili. Inoltre conoscere i bisogni dei pazienti, che sono portatori di esigenze o di aspettative ben difficilmente prevedibili e standardizzabili in un modulo di consenso informato, gli consente di comunicare i dati che in un modello prestampato avrebbe considerato superflui. La “medicina difensiva”, efficace locuzione coniata per indicare l’uso della modulistica finalizzata a mettere il medico al riparo da conseguenze giudiziarie anziché ad indirizzare il paziente verso una scelta libera e consapevole, distoglie i medici dalla loro missione solidaristica. Così facendo, se li difende da possibili condanne, non li mette al riparo dal contenzioso, perché la conflittualità è alimentata proprio dalla tendenza a massificare i pazienti, i quali, invece, sono persone che, proprio per la situazione di fragilità in cui vivono, vogliono sentirsi destinatari di un progetto benefico, e poi scoprono di essere guardati dal medico come un pericolo dal quale doversi difendere. Di conseguenza, chiedere al medico di personalizzare l’informazione, da un lato, ha il limite di appesantire lo svolgimento della sua attività lavorativa, dall’altro, presenta un indubbio beneficio sia di proteggerlo da complicazioni giudiziarie, sia di migliorare la qualità e l’efficacia terapeutica del suo lavoro. Questo non significa che l’utilizzo dei moduli debba essere sempre evitato. Il ricordo alla redazione scritta delle informazioni è utile in quanto crea una “base” di conoscenze che è sempre uniforme per tutti i pazienti sottoposti al medesimo trattamento e che può essere da loro riletta anche dopo la fine del colloquio, ma non è l’unico strumento a tutela della libertà di autodeterminazione per il bisogno di personalizzazione e per la natura fiduciaria del rapporto, fondato sull’incontro umano e professionale. Oltretutto, il modulo consegnato al paziente contiene solo le informazioni e l’opposizione tra consenso e rifiuto, non prevedendo la rinuncia ad essere informato, violando il diritto ad autodeterminarsi, ex art. 32, comma 2, Cost.: tale diritto può essere esercitato rinunciando all’informazione e, quindi, alla possibilità di optare per una o per un’altra terapia, come prevede l’ultimo comma dell’art. 33 c.d.m. secondo cui “La documentata volontà della persona assistita di non essere informata o di delegare ad altro soggetto l’informazione deve essere rispettata”.

In allegato l'estratto integrale con note


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