-  Santuari Alceste  -  15/04/2012

FARMACIE: SI ATTENDE ANCORA LA CORTE EUROPEA DI GIUSTIZIA -T.A.R. Lombardia 895/2012 - A.SANTUARI, L.GIORDANI

Farmacie: ancora una volta si attende la Corte Europea di Giustizia

Tar Lombardia, ord. n. 895/2012

Come è noto il termine "farmacia" rappresenta un concetto di sintesi,  che indica un sistema fatto di professione, struttura (azienda) e servizio: una professione sanitaria che si esplica nel contesto di una struttura organizzata in azienda, per l"erogazione del servizio di assistenza farmaceutica. (cfr. B.R. Nicoloso "Il sistema Farmacia" ed. 2010)

Tali elementi connotano tanto la farmacia privata, ovvero la farmacia la cui titolarità e gestione (inscindibili) sono in capo a soggetti privati, quanto la farmacia comunale, ovvero quella farmacia la cui titolarità è in capo al Comune, mentre la gestione può essere affidata anche ad altri soggetti, pubblici o privati.

La farmacia, sia essa privata, comunale o ospedaliera (che è una articolazione del presidio ospedaliero in cui è inserita), costituisce il presidio sanitario, organico al Servizio Sanitario Nazionale (SSN), che ha il compito di garantire l"assistenza farmaceutica territoriale che è elemento fondante del diritto alla salute di cui all"art. 32 Cost. ovvero, il "diritto alla qualità e alla dignità della vita garantito attraverso la cura della salute e la terapia del dolore". (cfr. B.R.Nicoloso op.citata)

Da questa premessa fondamentale ne consegue che la dispensazione dei medicinali al dettaglio non è una comune attività lucrativa, (il farmacista è un imprenditore commerciale non commerciante) ma è il contenuto di una prestazione e, come tale, possiede peculiarità che la distinguono da tutte le altre prestazioni e che la rendono meritevole di una disciplina specifica.

Come ha osservato la Corte costituzionale, "sotto il profilo funzionale, i farmacisti sono concessionari di un pubblico servizio" (sent. n. 448 del 2006) e tale servizio è "preordinato al fine di assicurare una adeguata distribuzione dei farmaci, costituendo parte della più vasta organizzazione predisposta a tutela della salute" (sent. n. 430 del 2007).

La tutela del diritto fondamentale alla salute non pregiudica, anzi, in un certo senso "impone" una costante tensione verso una gestione efficace, efficiente ed economicamente sostenibile del servizio farmaceutico, il che non significa "liberalizzazione" ma "razionalizzazione" dello stesso,  dal momento che il titolare di farmacia prima di essere un imprenditore commerciale, è un" operatore sanitario ed un esercente un pubblico servizio (così L. Giordani, "La concessione amministrativa per l"esercizio del servizio farmaceutico non può essere liberalizzata, ma semmai razionalizzata", in www.giustamm.it, n. 11/2011, p. 1).

In questa "cornice", deve collocarsi la questione relativa alla vendita dei farmaci di fascia C all"interno delle cd. "parafarmacie", rimasta "sopita" per effetto dell"art. 32 della Legge n. 214/211 che, come è noto, conferma l"interdizione alla vendita dei farmaci di fascia C al di fuori delle farmacie, rinviando a un successivo provvedimento la stesura di una lista di medicinali da escludere dalla fascia in questione e quindi da "concedere" anche ai cd. "parafarmacisti".

Con l"ordinanza del Tar Lombardia, Sezione III, del 22.3.2012 n. 895 è stata rimessa, ai sensi dell" art. 267 del TFUE alla Corte di Giustizia delle Comunità Europee la seguente questione pregiudiziale: "Se i principi di libertà di stabilimento, di non discriminazione e di tutela della concorrenza di cui agli articoli 49 ss. TFUE, ostano ad una normativa nazionale che non consente al farmacista, abilitato ed iscritto al relativo ordine professionale ma non titolare di esercizio commerciale ricompreso nella pianta organica, di poter distribuire al dettaglio, nella parafarmacia di cui è titolare, anche quei farmaci soggetti a prescrizione medica su "ricetta bianca", cioè non posti a carico del SSN ed a totale carico del cittadino, stabilendo anche in questo settore un divieto di vendita di determinate categorie di prodotti farmaceutici ed un contingentamento numerico degli esercizi commerciali insediabili sul territorio nazionale".

In breve, con tale ordinanza il Giudice Amministrativo ha deciso di rinviare alla Corte di Giustizia Europea la norma che vieta alle cd. "parafarmacie" di vendere i farmaci di fascia C su ricetta. La vicenda è la seguente: la ricorrente, titolare di una parafarmacia nel Comune di Saronno, ha impugnato dinanzi al Tar il diniego del Ministero della Salute alla sua richiesta di vendita di medicinali  di cui all"art. 87 comma 1, lett. a e b) d. lgs 219/06 (ricetta bianca), ovvero di farmaci a totale carico del cittadino acquirente senza richiesta di rimborso da parte del servizio sanitario regionale e nazionale, nonché di tutte le specialità medicinali per uso veterinario soggette a ricetta medica, anch"esse a totale carico del cittadino acquirente, senza richiesta di rimborso da parte del servizio sanitario regionale o nazionale (quest"ultime ormai vendibili anche al di fuori delle farmacie ai sensi e per gli effetti dell"art. 11 comma 14 L. n. 27/2012).

Secondo la ricorrente, la normativa su cui essi sono fondati sarebbe contraria al diritto dell"Unione Europea, nella parte in cui osta alla vendita dei medicinali di c.d. fascia C soggetti a prescrizione ma non a carico del SSN.

Due gli argomenti cardine su cui si fonda il ricorso in questione (che è identico ad altri presentati da farmacisti titolari di parafarmacia in diverse province e Regioni d"Italia ed allo stato pendenti): il farmacista in possesso di laurea e dei titoli riconosciuti dallo Stato, regolarmente iscritto all"ordine, è abilitato a dispensare in farmacia tutti i medicinali; la parafarmacia introdotta con la legge Bersani è un esercizio riconosciuto dalla legge, soggetto alle norme vigenti anche per le farmacie (tracciabilità, conservazione, ecc.) dunque non si comprende la ragione per cui il farmacista che ivi opera possa dispensare solo farmaci non soggetti a prescrizione medica.

Con ordinanza n. 895 del 29.2.2012 il Tar Lombardia ha rimesso la questione alla Corte di Giustizia delle Comunità Europee sostenendo che non vi sarebbero motivazioni per impedire la vendita di questi farmaci anche nelle parafarmacie. Anzi, la disciplina italiana sembrerebbe in contrasto con la normativa europea (art. 49 TFUE) "in quanto idonea a rendere di fatto impossibile lo stabilimento di un farmacista in Italia che voglia accedere al mercato dei farmaci di fascia C, oltre che rendere più difficile lo svolgimento di tale attività economica nel mercato nazionale".

Secondo il Giudice Amministrativo "non sembrano esserci motivi che possano giustificare una tale restrizione all'esercizio di una libertà economica, né vi è alcuna motivazione legata all'obiettivo di ripartire in modo equilibrato le farmacie nel territorio nazionale, né di aumentare la sicurezza e qualità dell'approvvigionamento della popolazione di medicinali, di un eccesso di consumo o di ammontare di risorse pubbliche assorbite". Conseguenza della remissione della questione alla Corte di Giustizia è la sospensione del giudizio fino alla definizione della questione pregiudiziale il che non vuol dire, come molti erroneamente hanno scritto, che in conseguenza di tale decisione, da oggi sia divenuta legittima la vendita dei farmaci di fascia C nelle parafarmacie.

Infatti il sistema del rinvio pregiudiziale, regolato dall'articolo 234 del Trattato istitutivo della Comunità europea (Trattato CE), consente al giudice nazionale di sottoporre alla Corte di giustizia UE una o più questioni di diritto comunitario che dovessero emergere nel corso del giudizio innanzi a sé pendente e dalle quali dipende la soluzione della lite ed è ovviamente il giudice nazionale a dover indicare caso per caso, perché l' interpretazione richiesta è necessaria per pronunciare la sua sentenza.

La "pregiudizialità" di tale procedimento si manifesta non solo nel fatto che il giudice nazionale, una volta sollevata la relativa domanda, deve sospendere il giudizio in attesa della decisione della Corte sul punto o sui punti evidenziati (ferma restando la possibilità di adottare eventuali provvedimenti cautelari che nel caso in esame non sono stati adottai dunque il diniego alla vendita è allo stato legittimo e dunque esecutivo), ma anche nel fatto che la sentenza della Corte di Giustizia precede sia dal punto di vista cronologico che logico, quella del giudice nazionale, essendo strumentale e necessaria rispetto a quest"ultima.

La Corte non può entrare nel merito specifico della scelta degli strumenti per perseguire le varie finalità a livello Paese. Il diritto alla salute e la libertà di impresa sono entrambi presenti nel Trattato delle Comunità Europee come lo sono nella Costituzione Italiana e se un Legislatore nazionale afferma di aver posto dei vincoli alla concorrenza è perché, nella sua sovrana valutazione, questi sono importanti per la tutela della salute: ecco perché la Corte di Giustizia non può sindacare il "quantum", ma si limita a riconoscere la coerenza interna della legge nazionale con la normativa comunitaria.

Spetterà poi al giudice nazionale il compito di trarre dalla decisione della Corte le conseguenze utili alla risoluzione della lite, disapplicando le norme nazionali eventualmente configgenti con la soluzione interpretativa della Corte.

Ciò posto,  nel caso in esame le motivazioni addotte dal Tar a sostegno della decisione di rinvio alla Corte sono così sintetizzabili:

a) non vi è alcuna motivazione legata  all"obiettivo di ripartire in maniera equilibrata le farmacie nel territorio nazionale e di assicurare in tal modo a tutta la popolazione un accesso adeguato al servizio farmaceutico;

b) non vi è la motivazione di aumentare la sicurezza e la qualità dell"approvvigionamento della popolazione in medicinali;

c) non vi è il rischio derivante da un eccesso di consumo, neppure in termini di ammontare di risorse pubbliche assorbite.

A fronte di tali argomentazioni un"altra, forse pregiudiziale, si impone e cioè che l"art. 5 del D.L. 223/2006 (Decreto Bersani) come modificato dalla legge di conversione n. 248/2006 non parla di parafarmacie (termine coniato dai farmacisti) ma di "esercizi commerciali diversi dalle farmacie" ovvero: − gli esercizi di vicinato, ossia quelli aventi superficie di vendita non superiore a 150 mq. nei comuni con popolazione residente inferiore a 10.000 abitanti e a 250 mq. nei comuni con popolazione residente superiore a 10.000 abitanti; − le medie strutture di vendita, ossia gli esercizi aventi superficie superiore ai limiti di cui al punto precedente e fino a 1.500 mq nei comuni con popolazione residente inferiore a 10.000 abitanti e a 2.500 mq. nei comuni con popolazione residente superiore a 10.000 abitanti; − le grandi strutture di vendita, ossia gli esercizi aventi superficie superiore ai limiti di cui al punto precedente.

Come è noto all"interno di questi esercizi commerciali è consentita la vendita di farmaci OTC o SOP purché a determinate condizioni: durante l"orario di apertura dell"esercizio commerciale; nell"ambito di un apposito reparto; alla presenza e con l"assistenza personale e diretta al cliente di uno o più farmacisti abilitati all"esercizio della professione ed iscritti al relativo Ordine.

Questo per dire che, ove venisse accolta la tesi prospettata dal Tar nell"ordinanza in commento e la Corte di Giustizia si pronunciasse in tal senso, le conseguenze potrebbero essere diverse e maggiori di quelle previste ovvero non limitarsi alle cd. "parafarmacie".

E" chiaro che per un commento definitivo occorrerà attendere l"esito del giudizio dinanzi alla Corte della Corte di Giustizia che, lo si ripete, non può sostituirsi ai policy maker nazionali; né riconsiderare il corpus normativo e regolamentare esistente in una prospettiva di riorganizzazione, ristrutturazione e ammodernamento, ma la questione in esame lascia presagire che le decisioni adottate dal Governo ed approvate dal Parlamento in tema di cd. "parafarmacie" potrebbero non considerarsi definitive e, per usare un eufemismo, ciò che non è uscito dalla porta potrebbe uscire dalla finestra.

In gioco c"è il binomio tradizionale "farmacia-farmaco" che, per la verità, già dall"approvazione del c.d. "decreto Bersani" ha cessato di fungere da argine rispetto agli orientamenti di progressiva liberalizzazione del settore.

Oggi, forse, è più adeguato esprimersi sul binomio "farmacista-servizio",  nel quale, rispetto al precedente, è centrale l"elemento della professione di farmacista e conseguentemente, il suo connotato di operatore sanitario ad alto livello fiduciario.

Indubbia rimane, in questa cornice, la centralità delle farmacie quali "presidi della salute territoriale". In questo senso, le farmacie, in uno con gli ospedali e i servizi socio-sanitari territoriali, sono chiamate a rappresentare un punto di accesso qualificato e credibile per i cittadini al sistema di protezione sanitaria in Italia, specie in un momento in cui si debbono ridefinire i LEA e definire i Livelli essenziali delle prestazioni sociali.




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