Fragilita, storie, diritti  -  Michela del Vecchio  -  28/06/2016

Esisto anchio – Michela del Vecchio

Mio malgrado (o per fortuna chissà) sono stata coinvolta in una competizione territoriale in cui si discuteva, fra le altre istanze, di temi relativi all'accessibilità dei servizi che si offrivano alle persone "svantaggiate" : dibattiti in cui si teneva però conto solo del lato per così dire "patologico" della quotidianità di queste persone ma non delle loro istanze e dei loro effettivi bisogni spesso, per quanto mi accingo a raccontare, non necessariamente e solo materiali.

In tale frangente erano stati inclusi nelle posizioni di "svantaggio" indistintamente soggetti con difficoltà deambulatorie o portatori di handicap fisici o mentali e soggetti il cui unico "handicap" è la difficoltà di esprimersi, di confrontarsi o di essere ascoltate.

E così ho osservato atteggiamenti assistenzialistici e di pietà verso i deboli. Ho sentito parlare di barriere architettoniche da abbattere (molto giusto per carità), di sostegni economici da elargire per agevolare la quotidianità del vivere di questi soggetti (forse condivisibile secondo le modalità di attuazione), di contributi di vario tipo da articolare a protezione della fascia di popolazione in difficoltà.

Nonostante avessi prestato sufficiente attenzione alle argomentazioni in merito, in nessuna occasione di confronto ho sentito parlare di "persona" lì dove i dibattiti si concentravano quasi esclusivamente sugli aspetti economici e patrimoniali caratterizzanti le posizioni di "svantaggio" sociale.

Tale, a parer mio, è stato ed è il limite dei dibattiti amministrativi quando, analizzando la situazione territoriale, si individuano aree di depressione urbana da "sanare" o "riorganizzare" senza però soffermarsi alla valutazione delle "cause" o all'"ascolto" delle persone che vivono in difficoltà.

E' evidente che è impensabile classificare le situazioni di difficoltà che vanno dall'aspetto effettivamente meramente economico a quello invece affettivo esistenziale. A mio parere, proprio la difficoltà se non l'impossibilità di costituire aree di distinguo fra l'uno o l'altro aspetto, limita e relativizza gli interventi di solo "sostegno" economico che non si affiancano ad interventi anche di sostegno "affettivo".

L'esperienza vissuta mi ha consentito infatti di relazionare con soggetti che, sì, possono definirsi "deboli" in relazione alla comune esperienza umana (persone anziane e malate, disabili, persone sole ed emarginate dalla società in quanto con difficoltà di vario tipo e simili) ma che in realtà nascondono un vissuto di emozioni, di aspettative, di volontà di riscatto.

Ascoltare questi soggetti "deboli" aiuta a comprendere che il "sussidio" economico spesso non è la soluzione ottimale perché non consente loro di costruire o ricostruire in modo autonomo la loro quotidianità, di affrontare le difficoltà ed i limiti interiori o posti dall'ambiente circostante per superarli con le loro forze.

E' questo ultimo aspetto, per quanto ho potuto constatare, proprio la chiave – o almeno una delle chiavi - di risposta alle necessità dei soggetti deboli: domandare loro chi sono, farsi raccontare il loro vissuto, ascoltarli e collaborare proprio con loro nella ricerca di soluzioni per così dire "sartoriali" ovvero che si adattino alle loro effettive esigenze sovente risolventesi nell'affermazioni "esisto anch'io, sono anch'io portatore di interessi, ho anch'io diritti e devo essere in grado anch'io di esercitarli".

Cercare con loro ed in collaborazione con le istituzioni anche e soprattutto territoriali lo strumento che consenta a questi soggetti di esercitare in modo autonomo i propri diritti e di affermare i propri interessi consente di restituire dignità ai soggetti privati, temporaneamente o irreversibilmente, della "normalità" del vivere quotidiano.

 




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