“Caro, esci pure a distrarti anche stasera con gli amici, e non preoccuparti se me ne resto qui sola a casa a piangere”. Comunicazioni sghembe allora, tortuose, fondate su un paradosso. “Ignorate questo messaggio”: un ordine che contiene indicazioni distinte, inconciliabili fra loro, nessuna delle quali osservabile da chi lo riceve senza calpestare l’altra.
“Sii spontaneo”: qualora il destinatario disobbedisca, è un palese trasgressore, ma tale sarà anche se obbedisce, visto che fa così qualcosa di non spontaneo.
Negli esempi in letteratura – creature segnate da piccole maledizioni, inconsapevoli del nodo che le attanaglia, allorché aprono bocca – manca di solito il requisito idoneo a giustificare, tecnicamente, una responsabilità. Nessun dubbio sulla necessità di una condanna riparatoria, tuttavia, là dove ermergesse da un lato che l’offuscamento dissociativo non era completo, in chi parlava, dall’altro che i messaggi erano dettati da malevolenza, rancorosità.
Basta immaginare un mix di scarsa innocenza e di compiacimenti affabulatori, in esempi come quello famoso della “sorpresa al lago” (Una madre va trovare il figlioletto in colonia, arriva inaspettata, il figlio la vede da lontano, resta immobile per lo stupore. Lei incoraggiante: “Sono qua carino, sorpresa - cosa fai lì impalato?”. Il bambino spicca una corsa, le getta le braccia al collo, comincia a stringerla felice, e lei irrigidendosi: “Attento piccolo, mi stropicci il colletto, è di seta, mi stai sciogliendo il nodo”. Il bambino blocca ogni trasporto, imbarazzato, e lei: “Ah, ma ha ragione allora la tua mamma a pensare che non le vuoi più bene!”), per convincersi come i danni indotti da torsioni e labirinti del genere, per lunghi periodi, dietro una porta chiusa, non sarebbero affatto irrisarcibili.