Malpractice medica  -  Nicola Todeschini  -  28/04/2015

Da Balduzzi al dialogo "corretto" tra giuristi

In un recente contributo (“L'argomento (responsabilità medica), la legge (legge c.d. balduzzi), e il giudice (oggetto di critica): in difesa di un dialogo corretto tra giuristi” - Giuseppe Buffone) vorrebbe rispondere ad un mio contributo, di poco antecedente (Il medico dipendente dopo Balduzzi e nonostante la tesi milanese)  lo stimato giurista Buffone mi invita ad una riflessione, che accetto di buon grado.

Per consentire un'ordinata analisi delle Sue note, e delle mie, riproporrò di seguito la stessa articolazione da lui utilizzata:

1.1 La prima osservazione riguarda l'aggettivazione “tesi milanese”, che a suo dire utilizzerei impropriamente (“partiamo con l'errore”, osserva) in riferimento alla sentenza del tribunale di Milano, sez. i civ., 17 luglio 2014, Giudice Gattari: ricorda che dopo la Balduzzi si è acceso il dibattito sul significato da assegnare in particolare all'art. 3, e grazie ad alcune pronunce di merito, anche di altri Tribunali, si è posta in discussione anche la tesi del c.d. contatto sociale. Milano, poi, si sarebbe distinta con una pronuncia che contiene “argomentazioni più ragionate” di quelle di merito che lo hanno preceduto, ma senza creare né inventare nulla. Esclude, peraltro, categoricamente che quella del dott. Gattari sia stata una pronunzia isolata poiché invece si tratta dell' “l'indirizzo della Prima Sezione Civile del Tribunale di Milano”.

Ma allora, dico io, se rappresenta l'indirizzo della prima sezione, e non è isolata, perché mai sarebbe sconveniente definirla “tesi milanese”?

1.2. Ricorda, inoltre, che il dibattito sulla legge Balduzzi ha vocazione nazionale e che pure lui ha dedicato un saggio all'argomento. Critica però decisamente la mia opinione circa l'inopportunità di alcuni contegni.

Avevo infatti sostenuto:

Ma se sul merito della forzata ermeneusi che propone si potrebbe discutere a lungo, pur se le parole utilizzate dal legislatore non corrispondono, per nulla, a quelle che la tesi milanese (o ex milanese?) vorrebbe fossero state pronunciate, sull'opportunità del pensiero del dott. Gattari, consentitemelo, qualche occasione di ripensamento andrebbe discussa.

Scrivere una pronunzia che accoglie gli sforzi inconsulti delle compagnie di assicurazione, dell'Ania, dei sindacati più estremisti dei sanitari è possibile accada, ma riproporsi, in saggi successivi nei quali il magistrato sente l'obbligo di spiegare urbi et orbi la propria tesi (dovrebbero già provvedervi le motivazioni in sentenza), con l'occasione giungendo a spiegare che il fine ultimo, al di la di Balduzzi, è proprio quello di smontare la tesi della Corte di Cassazione sul c.d. "contatto sociale", è qualche cosa, diciamocelo, di più.

Un conto è interpretare una regola, seppur legittimamente in spregio del parere della Corte di Cassazione (e ci mancherebbe), altro è scegliere, inopportunamente, di scrivere subito dopo un contributo per una nota rivista di diritto non solo spiegando la propria sentenza, ma anche andando oltre e dimostrando a che cosa miri l'interpretazione creativa ivi contenuta.

Ed è chiaro il mio tragico errore: “il saggio è stato pubblicato prima della sentenza!” tuona Buffone.

E allora? Dico io, che differenza fa? 

Se è così, e non ne dubito se lo sostiene lui, è anche peggio di come avevo immaginato!

Penso a chi attende la pronuncia del magistrato, magari da mesi, e che viene violentato anche nel suo pur flebile anelito di giustizia (che non si poggia su pronunce già scritte, ma sulla chance di stimolare una risposta in diritto del caso concreto anche diversa da quella di altro magistrato pur della stessa sezione) su di un argomento delicato della pronuncia leggendo, prima della pubblicazione della stessa, la tesi che anticipa il pensiero del magistrato in argomento. Le sentenze non servono più, sono sufficienti i contributi che le precedono, quindi?

E perché mai, caro Buffone, avrei voluto alterare la realtà raccontando che il saggio avrebbe seguito, e non anticipato la pronunzia? Perché mai avrebbe dovuto essere utile alla mia tesi?

Il punto è un altro, conveniamone serenamente, come si conviene tra persone sagge, seppur io non lo sia affatto: da fastidio che ci si permetta di manifestare un'opinione sull'opportunità di un contegno espresso da un magistrato.

In altri tempi sarebbe giunta al Prof. Cendon una telefonata: “quel Todeschini ha rotto le scatole, non farlo più scrivere, da noia”, ma per fortuna la rivista Persona e Danno conferma il suo grande valore di accoglienza anche di tesi non allineate. 

E perché si invoca la mia presunta censura per poi...censurare il mio pensiero? Forse esiste una censura che sfugga al suo negativo significato?

No, non credo, e proprio per la stima che ho di Buffone sono dell'idea che abbia interpretato precipitosamente le mie parole, come se non convenire su di una scelta significhi denigrarne l'interprete (con il che dovrei sentirmi denigrato anche io dalla sua critica).

Ad ogni modo, già che ne ho occasione, lo ribadisco: trovo inopportuno (non illegittimo!) che un magistrato prima, dopo, durante, la scrittura e pubblicazione di una sentenza che tocca argomenti assai delicati, corredi la sua tesi abrogatrice di un orientamento assai consolidato e foriera di conseguenze tragicamente importanti per i diritti di migliaia di persone in attesa di “giustizia”, di occasioni collaterali di promozione del suo pensiero sia che esse consistano in pubblicazioni che in convegni. E non certo per ragioni di diritto, ma di opportunità, come ho sempre affermato e scritto.

La campagna stampa che ha accompagnato la sentenza Gattari, senza che lui ne potesse nulla, sia chiaro, è sotto gli occhi di tutti gli interpreti: gni pronuncia, ben inteso, può prestarsi a strumentalizzazioni, ma quella, con tutto il rispetto, solo di merito (non delle sezioni unite della Cassazione), e quasi pionieristica, rispetto al diritto vivente, è stata oggetto, o se si preferisce, vittima, di una campagna stampa che nemmeno le quartine autunnali hanno potuto vantare allora. 

Ebbene, dinanzi a tale strumentalizzazione (alcuni hanno titolato: la responsabilità medica  non è più contrattuale dopo Milano) mi permetto di pensare, e lo riconfermo, che non fosse opportuno se non spegnere i riflettori ed attendere che altri si esprimessero senza offrire l'impressione di voler forzare la mano. Un tanto, mi perdoni Buffone, seppur quella tesi sia quella, granitica, come lui ci ricorda, di tutta la sezione.

Una sentenza di merito di far palrare di sé, a mio avviso, con la sua motivazione, e non prestarsi, in un momento in cui il legislatore è frastornato da richieste, anche maliziose, di svuotare di significato la responsabilità medica, far da baluardo, da simbolo della carica dei 101 contro la teoria del contatto sociale. Ed un tanto non perché una tesi vada sottomessa alla cattiva aria che tiri in un certo momento storico, ma per evitare di essere strumentalizzati.

Ragioni di opportunità, insomma, che rivendico il diritto di poter illustrare.

Anche la mia libertà di esprimere un'opinione, che può dare fastidio, ma che non è espressa travalicando la correttezza, ingenerosamente richiamata, né la continenza, va annoverata tra quei “semplici diritti di libertà” che vengono giustamente invocati, ma che valgono per tutti.

1.3. Sarebbe, inoltre, “palesemente smentita” la mia tesi circa le reali intenzioni di Balduzzi. Per contrastarla, prudentemente come si conviene a chi inviti altri a farlo in punta di fioretto, Buffone cita una dichiarazione di Balduzzi successiva alla pronuncia della sentenza Gattari. 

Eh si, perché l'interpretazione delle regole giuridiche si articola grazie alle interviste, postume, del legislatore, e non grazie all'ermeneusi, prudente e non creativa, delle parole utilizzate dallo stesso legislatore.

Ma poiché la mia opinione non può valere quella di Buffone, varrà invece quella, taciuta, della Corte di Cassazione che, ancora una volta mi da ragione -pur non volendo farlo, ben inteso- proprio nella recentissima sentenza 6243 del 27 marzo 2015 (sulla quale ho già, ahi noi, speso alcune riflessioni in “Errore del medico di base: risponde l'Asl. confermato il “contatto sociale” - Cass. Civ., sez. 3, sen. 6243 del 27.03.2015 - Nicola TODESCHINI), che conferma la tesi, avversata dalla sentenza milanese, del contatto sociale ad ulteriore conferma di quanto scricchioli la tesi abrogativa.

Se c'è quindi una tesi “palesemente smentita”, mi sia consentito ricordarlo, è proprio quella meneghina (meglio della Cassazione, chi può smentirla?) più che la postuma confusa volontà del legislatore espressa in un'intervista.

2. Concludo anche io questa mia breve riflessione rispettando gli argomenti suggeriti dal mio  contraddittore che, in tale ultima sezione del suo scritto, ricorda che spesso si critica il legislatore perché non si è in realtà capaci di comprendere il significato delle sue parole.

Insomma: Balduzzi si è espresso in modo chiaro, siete voi (ma soprattutto io) che non capite.

Eppure non solo l'unico a non capire le scelte lessicali di Balduzzi, o dell'amanuense che in suo luogo ha dato alla luce quel fulgido esempio di chiarezza normativa confezionato nell'articolo 3, poiché la stragrande maggioranza degli interpreti è d'accordo proprio sulla scarsa lucidità del legislatore pur se ne interpreta poi l'intenzione in modo anche diametralmente opposto.

Amo ricordare l'opinione dello Scognamiglio, pubblicata in Resp. Civ. e prev., fasc. 6, 2013, pag. 1988 e segg., che si interroga sulle difficoltà che attraversa la categoria della responsabilità da contatto sociale.

Si chiede -con la prudenza che amerei leggere anche nelle tesi di chi la invochi nelle tesi altrui- richiamando una recente pronunzia del Tribunale di Caltanissetta (che afferma: “il tenore testuale della norma non è affatto chiaro”) se sia “più corretto interpretare una norma in modo conforme ai principi regolatori della materia piuttosto che in modo difforme”, soggiungendo che “a sostegno dell'opzione che non esclude la qualificazione contrattuale della fattispecie di responsabilità medica militano ragioni di carattere sostanziale -essendo evidentemente diversa la situazione del medico che nell'esercizio della sua professione arreca danno, rispetto a quella del “passante” che occasionalmente arrechi danno- che sono state espresse dalla miglior dottrina nell'ambito di un percorso argomentativo particolarmente fruttuoso e che sono state poi recepite e fatte proprie dalla giurisprudenza di merito e legittimità, tanto da costituire oggi “diritto vivente”.

Nel mio contributo, avversato così alacremente pur senza che gli argomenti veri, che pur lo connotano, siano stati analizzati e semmai discussi criticamente, vi sono chiari riferimenti al significato della teoria del contatto sociale sui quali, bontà sua, è d'accordo pure lo Scognamiglio, seppur sappia dar sostegno alla sua tesi con maggior profitto.

Che inoltre la stessa Cassazione abbia avvertito la necessità di rispondere all'offensiva, che dalle parole dello stesso Buffone sembra ormai serrata, contro il “contatto sociale”, così da far ripiombare la responsabilità del medico dipendente alle soglie di quella extracontrattuale (e ci mancherebbe di credere che ne dovrebbe essere addirittura lieto il paziente danneggiato!) risulta chiaro proprio dal suo più recente arresto del marzo scorso, poc'anzi citato.

In tale pronunzia che, come si dice, capita a puntino (ho avuto un po' di fortuna, lo ammetto) la Corte -pur ammettendo di non essere tenuta ad esplorare l'argomento non essendosi spinto sin là il ricorso- chiaramente riafferma la teoria del contatto sociale accettando la sfida della tesi meneghina quando osserva, in riferimento al titolo di responsabilità del medico in convenzione: 

“è sufficiente osservare che essa è da ricondursi al “contatto sociale”, tenuto conto dell'affidamento che egli crea per essere stato prescelto per rendere l'assistenza sanitaria dovuta e sulla base di una professione protetta. 

La sua prestazione (e per l'effetto il contenuto della sua responsabilità) per quanto non derivante da contratto, ma da altra fonte (art. 1173 cod. civ.) ha un contenuto contrattuale (in tal senso la consolidata giurisprudenza di questa Corte a partire dalla sentenza n. 589 del 22 gennaio del 1999).”

Ammettiamolo: non c'è occasione, o quasi, nella quale la Corte di Cassazione ha avuto occasione di pronunciarsi sulla Balduzzi che non sia stata finalizzata alla riconferma della teoria del contatto sociale e questa insensibilità agli argomenti, complessi e ben esposti, della sentenza Gattari, è forse quella che genera il maggior nervosismo nei mie confronti.

Del resto se l'intera competente sezione si schiera così decisamente in favore di una tesi assolutamente minoritaria, avversata dalla Corte di Cassazione, quale speranza potrà mai nutrire il danneggiato che debba suo malgrado proprio convenire il medico dipendente dinanzi al tribunale meneghino ora che proprio Buffone ci racconta che la diversa sezione che ha espresso un'opinione diversa non si occuperà più di responsabilità medica?

Sa di andare incontro, anche senza che vi sia confronto, ad una pronuncia negativa, e scrivendo l'atto di citazione il suo avvocato deve già preparare l'appello e comunicare al suo cliente che finirà in un modo già scritto, pubblicizzato, difeso, sostenuto strenuamente nonostante la Cassazione, come se si trattasse di una partita tra due squadre antagoniste.

Qualche settimana fa un Presidente di Tribunale del Veneto, dinanzi alla meraviglia di un avvocato che si vedeva respingere un'istanza e per vincere la resistenza del magistrato esclamava: “Ma Signor Giudice, lo sostiene anche il Tribunale di Milano!”, rispondeva, visibilmente seccato: “E basta con questo Tribunale di Milano, non ci sono mica solo loro!”.

3. In conclusione e per fugare ogni dubbio circa l'involontaria polemica ad personam della quale sono oggetto, Buffone scocca l'ultima freccia, accusando il mio scritto d'essere privo di argomenti ma solo finalizzato a contrastare personalmente il suo collega (chissà poi perché, dico io).

La mia modesta opinione, peraltro, è contenuta in più occasioni, brevi, di riflessione, e seppur non condivisibile non può certo dirsi immotivata:

-errore del medico di base: risponde l'asl. confermato il “contatto sociale” - cass. civ., sez. 3, sen. 6243 del 27.03.2015 

-il medico dipendente dopo Balduzzi e nonostante la tesi milanese 

-il medico di fronte alle condotte inescusabili – cass. pen. 10972/2015 

-le bugie delle compagnie di assicurazione 

-"balduzzi e la svolta di milano: ora parla Balduzzi" 

-"balduzzi novellato da milano? commento a Trib. Milano, sez. i civ., 17 luglio 2014"

-corte costituzionale: Balduzzi? non dico -ancora- nulla 

-"cassazione penale: quando la legge Balduzzi si applica" 

-"decreto Balduzzi: alla ricerca di un senso" 

-"decreto Balduzzi: basta dicerie" - cass. civ., sez. III., sen. n. 4030 del 19.02.2013

-"responsabilita' medica e decreto Balduzzi: cosa cambia?" 

Sarà perché non lo ha letto per intero, sarà perché si è soffermato solo su quanto lo infastidiva, sarà la recente presa di posizione della Cassazione che da ragione alla mia tesi e non a quella che vuole difendere lui ma è certo che non è stata esattamente una valorosa occasione di confronto.

Ma sono certo, per la stima che ho di Buffone, pur se non ricambiata, che è stato solo un incidente, non un tentativo, che sarebbe stato poco virtuoso, di censura.




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