Il caso sottoposto all'attenzione della Corte EDU, ritenuto irricevibile con decisione n. 18860/19 resa dalla IV sez. in data 6 gennaio 2022, ci offre l'opportunità di approfondire il tema del sottile discrimen fra violazione dell'art. 8 e 14 della Convenzione EDU e rispetto delle libertà consacrate negli artt. 9 e 10 della medesima Convenzione.
La riflessione deve originarsi dalla sintetica ricostruzione dei fatti di causa.
Il ricorrente Gareth Lee, associato all'organizzazione “Queerspace” per la tutela dei diritti della comunità LGBT, in concomitanza con la “Settimana della Transfobia” proclamata nell'Irlanda del Nord, aveva organizzato per il 17 maggio 2014, un evento privato volto a promuovere la legalizzazione del matrimonio fra persone dello stesso sesso secondo la legislazione approvata, proprio in quell'anno, in Inghilterra, Scozia e Galles. Aveva, pertanto, commissionato alla pasticceria “Ashers” la realizzazione, per l'evento suddetto, di una torta recante il logo dell'organizzazione “Queerspace” e la scritta "Support Gay Marriage". A distanza di pochi giorni dall'ordine, la ditta Ashers comunicava telefonicamente al sig. Gareth Lee la impossibilità di realizzare la torta con lo slogan richiesto in quanto contraria, per motivi religiosi, al messaggio politico "Support Gay Marriage" di cui sarebbe, contro la sua volontà, divenuta promotrice. Il sig. Gareth Lee, ritenendosi vittima di un comportamento discriminatorio basato sul proprio orientamento sessuale, proponeva, col sostegno dell'Equality Commission dell'Irlanda del Nord, azione legale nei confronti della pasticceria “Ashers”.
I coniugi Mcarthur, titolari della ditta “Ashers”, invocando l'art. 9 della European Convention on Human Rights Act (1) che tutela il diritto di ciascuno di manifestare il proprio credo religioso senza limitazioni ingiustificate, contestarono la domanda attorea ritenendo che la realizzazione sulla torta dello slogan "Support Gay Marriage" richiesto dal sig. Lee, oltre a contrastare con le proprie convinzioni religiose, avrebbe costituito una ingiustificata promozione della campagna di legalizzazione dei matrimoni gay, del tutto incoerente con le convinzioni religiose della coppia. Il Tribunale, pur riconoscendo il diritto dei resistenti di mantenere le proprie convinzioni religiose e di manifestarle, non riteneva valida la contestazione sollevata deducendo che l'apposizione dello slogan sulla torta non avrebbe rappresentato una condivisione e conseguenziale promozione del messaggio politico da parte della pasticceria. Ciò premesso la Corte precisava, altresì, che la tutela invocata dai coniugi Mcarthur non trovava applicazione nel caso di specie trattandosi di una azione promossa contro l'attività commerciale nei confronti della quale non poteva trovare ingresso la tutela dell'art. 9 della Convenzione; la pasticceria veniva, pertanto, condannata al risarcimento del danno per condotta discriminatoria.
Conforme anche la sentenza di appello.
La Corte Suprema, investita della questione, ribaltava completamente la decisione ritenendo legittimo il comportamento tenuto dai titolari della pasticceria. Gli stessi, infatti, non avevano rifiutato la richiesta del sig. Lee per il suo orientamento sessuale, reale o percepito, ma sulla base di una obiezione religiosa connessa alla non condivisione del messaggio espresso dallo slogan preteso dal committente. Non era, pertanto, l'orientamento sessuale a determinare il comportamento dei sigg.ri Mcarthur quanto, piuttosto, il proprio credo religioso in contrasto con la campagna di promozione del matrimonio gay che avrebbero di fatto sostenuto con la realizzazione dello slogan sulla torta. Richiamando la sentenza Buscarini e altri c. San Marino (N. 24645/94, Corte EDU, Grande Camera, 18 febbraio 1999), la Corte Suprema aveva affermato che “Obbligare una persona ad esprimere una convinzione che non condivide, equivale ad una restrizione dei suoi diritti ai sensi dell'art. 9 della Convenzione”.
La pasticceria “Ashers”, pertanto, si vedeva riformata la sentenza di condanna con riconoscimento del diritto a manifestare il proprio credo religioso attraverso il legittimo rifiuto a realizzare lo slogan richiesto.
La Corte EDU, come detto, ha dichiarato irricevibile il ricorso presentato dal sig. Lee ritenendo che lo stesso, in violazione dell'articolo 35, paragrafi 1 e 4 della Convenzione, non avesse esaurito i mezzi di ricorso nazionali per le denunce ai sensi dell'articolo 8, 9 e 10 della Convenzione, letti singolarmente e insieme all'articolo 14.
E' noto, infatti, che il ricorso alla Corte EDU ha carattere sussidiario ed è esperibile solo quando risultino “esaurite le vie di ricorso interne”; tanto al fine di consentire alle autorità nazionali di prevenire o porre rimedio alle asserite violazioni.
Nel caso di specie la Corte Edu ha ritenuto che il ricorso proposto dal sig. Lee innanzi alle Corti interne non avesse riguardato la violazione del diritto al rispetto della vita privata letto in combinato disposto con l'art. 14 della Convenzione quanto, piuttosto, la violazione delle norme interne che tutelano il consumatore dalle condotte discriminatorie degli imprenditori. Come detto, seppure irricevibile, la fattispecie in esame ci permette di indagare sommariamente gli elementi distintivi della condotta discriminatoria basata sull'orientamento sessuale alla luce del quadro CEDU. L’articolo 14, infatti garantisce la parità di trattamento «[n]el godimento dei diritti e delle libertà» riconosciuti nella Convenzione consentendo a tutti gli individui di accedere in modo equo e paritario alla vita sociale.
Una prima considerazione si impone rispetto alla differenza fra discriminazione diretta e discriminazione indiretta come stabilita dall’art. 2 del D.Lgs. 216/ 2003, che definisce la prima come riferita alle ipotesi in cui “per religione, per convinzioni personali, per handicap, per età o per orientamento sessuale, una persona è trattata meno favorevolmente di quanto sia, sia stata o sarebbe trattata un’altra in una situazione analoga” e la seconda con riferimento ai casi in cui “una disposizione, un criterio, una prassi, un atto, un patto o un comportamento apparentemente neutri possono mettere le persone che professano una determinata religione o ideologia di altra natura, le persone portatrici di handicap, le persone di una particolare età o di un orientamento sessuale, in una situazione di particolare svantaggio rispetto ad altre persone” (Cfr. Tribunale ordinario di Palermo, Sez. lav., 12 aprile 2021 - Dott. Soffientini).
Parliamo, quindi, di discriminazione diretta ogniqualvolta una persona, portatrice di una caratteristica ritenuta «protetta», riceva un trattamento sfavorevole rispetto a quello che avrebbe ricevuto un'altra persona in una situazione analoga. Per la configurazione della condotta discriminatoria diretta è, pertanto, necessario provare il nesso di causalità fra il trattamento meno favorevole ricevuto dalla vittima ed il motivo oggetto del divieto di discriminazione. In altre parole, potrà ritenersi discriminatoria la condotta che ha o avrebbe determinato – in situazioni analoghe - un trattamento meno favorevole in considerazione del sesso, razza, età o condizione diversa, rispetto a uno degli altri motivi oggetto del divieto di discriminazione.
Ricorre, invece, l'ipotesi di discriminazione indiretta quando, da un medesimo trattamento, apparentemente neutro, discendano effetti percepiti in modo diverso da persone con caratteristiche differenti. In questo caso la differenza non risiede tanto nel trattamento, quanto piuttosto negli effetti che esso produce, che sono percepiti in modo diverso da persone con caratteristiche differenti. La discriminazione indiretta rispetto a quella diretta, sposta l’attenzione dalla differenza di trattamento alla diversità degli effetti in presenza di un provvedimento apparentemente neutro.
Ebbene, il caso di specie ci permette di affermare con decisa convinzione che la condotta dei coniugi Mcarthur non rispecchia un comportamento discriminatorio diretto. Non sono ravvisabili, infatti, nella condotta dei commercianti cattolici, i requisiti richiesti dall’art. 2 del D.Lgs. 216/2003; il sig. Lee non può lamentare un trattamento meno favorevole rispetto a quello che avrebbe ricevuto, in una situazione analoga, una persona appartenente ad altro orientamento sessuale atteso che la pasticceria Ashers ha rifiutato la realizzazione della torta solo per ragioni connesse al proprio credo religioso.
Per la configurabilità di una condotta discriminatoria diretta il sig. Lee avrebbe dovuto provare che, in analoga situazione, persone con orientamento sessuale diverso dal suo avrebbero ottenuto dalla pasticceria Ashers un comportamento più favorevole, ossia la realizzazione della torta con lo slogan contestato.
Ma ciò non è!
Come ha chiarito l'istruttoria condotta, i titolari dell'esercizio commerciale avevano proposto al sig. Lee la relizzazione della torta sprovvista dello slogan contestato. Tale dettaglio consente di valutare la ragione del rifiuto manifestato dalla pasticceria: il rispetto del proprio credo religioso ed il diritto a manifestarne il pensiero.
Non è, quindi, sussistente il nesso di causalità fra il trattamento meno favorevole ricevuto dalla vittima ed il motivo oggetto del divieto di discriminazione, ossia l'orientamento sessuale del sig. Lee.
Proiettando il caso di specie nel nostro ordinamento, torna alla mente la pronuncia della Corte costituzionale n. 153 del 4 luglio 2006 ed il richiamo all'art. 187 del R.D. 635/1940 che impone agli esercenti pubblici un obbligo legale a contrarre prevedendo che “Salvo quanto dispongono gli artt. 689 e 691 del c.p., gli esercenti non possono senza un legittimo motivo, rifiutare le prestazioni del proprio esercizio a chiunque le domandi e ne corrisponda il prezzo”. E' evidente che il dettato normativo persegue l'obiettivo di garantire la fruizione di servizi pubblici senza apposizioni di criteri “selettivi” della clientela basati sul sesso, razza, credo politico-religioso, condizioni personali e sociali. La funzione di tutela del principio di eguaglianza e parità di trattamento risuona chiaro.
La dignità della persona merita rispetto in ogni manifestazione dell'agire umano imponendoci la sua tutela da ogni forma di discriminazione.
1. European Convention on Human Rights, Art. 9 “Everyone has the right to freedom of thought, conscience and religion; this right includes freedom to change his religion or belief and freedom, either alone or in community with others and in public or private, to manifest his religion or belief, in worship, teaching, practice and observance. 2. Freedom to manifest one’s religion or beliefs shall be subject only to such limitations as are prescribed by law and are necessary in a democratic society in the interests of public safety, for the protection of public order, health or morals, or for the protection of the rights and freedoms of others”.